/12/ Una lattina di Coca Cola è meglio di un drink

Non ho salutato Kirishima, ho solo alzato una mano in un breve cenno e mi sono caricato svogliatamente la borsa sulla spalla. Avrei voluto qualche stupido avvertimento ad accompagnarmi fino alla porta, ma probabilmente sarebbe stato troppo per lui. Ho un talento nel far indispettire le persone, non lo nego e non potevo aspettarmi di più da lui. Gli ho chiesto fin troppo in questi anni, persino di superare limiti a cui io non riuscivo neanche ad avvicinarmi, e ho finalmente avuto successo nel portarlo all'esasperazione.
Ci sono nuvole scure sopra la mia testa, la pioggia si sta raccogliendo ai lati delle vie ed il maltempo pare esser prossimo ad una fine che mi auspico sia più lenta possibile. La città è dormiente quando piove e non nasconderò di amare la quiete che la permea questa sera.
Farò finta di perdermi quando svolterò l'ultimo angolo, rincorrerò la mia ombra nei riflessi delle pozzanghere e volerò via da queste crepe sul marciapiede che più osservo e seguo con lo sguardo, più mi convinco che vogliano inghiottirmi.
Scoprirai i miei segreti, ne ho la certezza. Quale immagine avrai di me dopo aver attraversato lo specchio? Ritornare in questo mondo sottosopra non sarà piacevole come la prima volta. Ci saranno così tante amarezze ad attenderti. Tuttavia proseguiremo su quest'immensa scacchiera, eviteremo le foreste dei sussurri, consulteremo la saggezza di un folle in cima al muro dei nostri cuori, odore di stucco fresco a pungerci le narici, superfici di cartapesta sotto ai piedi e domande aggrovigliate come gomitoli. Non parrebbe un viaggio spiacevole, sempre che tu sia al mio fianco.
Le luci si stanno affievolendo man mano che avanzo, una vecchia insegna al neon lampeggia in modo incostante e posso immaginarla fulminarsi in un battito di ciglia. Stringo la presa sui manici della borsa. È tutto diverso ed è tutto lo stesso, questo quartiere nascosto agli occhi degli alti grattacieli è grande ed è piccolo, banale e pur tuttavia intrigante per l'aria sinistra che emana. Non ne ho sentito la nostalgia, tornare sui miei passi porta solo un sapore spiacevole in bocca ed i vestiti che indosso sono scomodi. Sfilo una mano dalla tasca del lungo cappotto e la avvicino al collo afferrando il colletto della camicia; sfilo i primi due bottoni e mi sento già più libero. Se mi vedessi alzeresti gli occhi al cielo, non hai mai sopportato questo mio modo di fare. Allungo le dita, le sento un po' intorpidite e mi sistemo meglio i guanti di pelle espirando nell'umido freddo della via quasi del tutto deserta. Non c'è un angolo che non sia decadente, a partire dai mozziconi di sigaretta sparsi nella sudicia sporcizia fino alle finestre dei primi piani dei palazzi, che si alternano nell'esser crepate o del tutto rotte e giusto adesso sto pestando su un puzzle di vetro che scricchiola sotto alle suole. Un paio di vetrine a cui passo davanti non sono messe meglio: negozi abbandonati, derubati di qualsiasi valore, affascinanti ed inquietanti nella loro desolazione, scarti di una vita dimenticata. Non mi meraviglio più come un tempo: ci proponiamo come la società perfetta, meccanismo di cooperazione e onestà, straripanti di benevolenza verso il prossimo, ma quando si tratta di aiutar noi stessi siamo pessimi. Se impiegassimo la stessa energia che usiamo per le apparenze per realizzare il tanto stereotipato ed agognato ideale di egualità che ci proponiamo forse questo posto non esisterebbe o forse, viene quasi da ridere, sarebbe conciato peggio di quanto già non sia. Fogli di riviste ammassati vicino ad un cassonetto, sono stropicciati ed ormai illeggibili, non sono il particolare più evidente, ma credo che sia quello che mi suscita maggior ribrezzo con i segni di impronte sugli angoli in parte stracciati. Sarà perché sanno di vecchio o perché riesco a riconoscere una mia immagine sbiadita stampata su uno di essi, fatto sta che mi sale la nausea solo a passarci accanto.

Finalmente sono arrivato al secondo incrocio, ma invece di prendere la strada di destra i miei piedi girano verso sinistra e un ristretto passaggio fra muri scrostati si staglia fra due edifici come l'ingresso di un qualche averno. La vernice è inumidita dalla pioggia, mi immergo nell'ombroso tunnel e mi faccio piccolo fino a quando, qualche metro più avanti, vengo sommerso da un via vai di persone che si aggirano come un veloce fiume gremito di pensieri e sguardi indagatori. Non è la solita folla cittadina, ci sono teste chine sul proprio cammino, occhi che fuggono, che fissano, che fingono meglio di quanto possano ammettere e che, in fondo, celano una sincerità che ormai si fatica a trovare.
I bassifondi hanno i loro pregi e difetti e non so quale dei due aspetti sia il migliore, se la schietta o la raffinata favola che raccontano. Mi sbrigo ad attraversare e a giungere all'altro marciapiede, senza rendermene conto trattengo il respiro ritrovandomi di fronte ad una vecchia porta, scura e rovinata, visibilmente scardinata e rimessa a posto malamente. Drizzo le orecchie e sento un certo trambusto provenire dall'interno, proprio come mi aspettavo. Tiro la maniglia e mi immergo in un breve corridoio permeato da odore di muffa e fumo, la carta da parati ne è impregnata, il frastuono si fa più intenso man mano che avanzo e sono quasi tentato di coprirmi le orecchie da quanto sia alto il volume della musica ora che sono sbucato in un ampia sala piena di aria opaca e luci che a malapena mi consentono di vedere dove metto i piedi. Il mio corpo vibra mentre mi faccio strada fra le numerose persone ammassate su quella che dovrebbe essere la pista, inciampo, faccio cadere un bicchiere a qualcuno, ma nessuno pare notarlo. Ognuno qui sta badando a sé o alle scollature della ragazza che si ha di fronte e se devo proprio dirla tutta odio sentirmi adocchiare da una parte all'altra della sala da qualche barcollante ragazza. Ancora qualche metro, mi dico spingendomi oltre la folla sgangherata che mi lascio senza alcun dispiacere alle spalle. Che puzza di alcol, mi pizzica il naso.
Non oso abbassare lo sguardo sulla moquette, sono certo che rabbrividirei a sapere su cosa sto camminando. Intravedo segni di bruciature, probabilmente di sigarette, sulla parete di fondo, un orologio appeso per un sottile chiodo ed in parte arrugginito segna quasi mezzanotte e la lancetta dei secondi fa fatica ad avanzare o così mi pare. Improvvisamente la manica della giacca viene tirata, trasalisco, ma mi trattengo dal fare una scenata che attiri l'attenzione quando delle dita dalle unghie nere ed esageratamente lunghe mi agguantano.

<Sembri ricco, che ci fai qua?> una voce liscia accarezza le mie spalle prima di esser portato ad accostarmi alla parete, nel continuo del corridoio. Una camicia sgualcita aperta, top nero attillato, shorts e collant, nessun tipo di calzatura, labbra scure e sottili: la ragazza che ho davanti si sposa perfettamente con l'ambiente che mi circonda. Sto per aprir bocca, dirle di sparire, tuttavia mi stringe il braccio e si avvicina. Vengo squadrato dalla testa ai piedi, tiro un sospiro e la fisso impassibile.
<Nah, non mi piaci> ignoro l'offesa, so che non tutti possono bearsi della mia vista e queste luci non la risaltano, penso cercando di essere ironico e di trovare il lato divertente della situazione.
<Mi scuso per questo> le sorrido <neanche tu sei il mio tipo> concludo e stranamente lei ricambia con una smorfia a metà fra la soddisfazione ed il diletto. Mostra platealmente la mano che teneva a pendere dal braccio e si porta una sigaretta fra le labbra inspirando a fondo. Si stacca ridendo. <Ora mi piaci> afferma rilasciando una lunga scia di fiato grigio mentre si appoggia contro il muro e mi fronteggia con aria di superiorità.
<Cerchi il boss?> mi chiede seria ed abbandonando l'atteggiamento di poco fa. Che fosse il suo modo di adescare? Solo ora noto la sua pelle rosea, un paio di teneri nei sul collo ed i suoi capelli biondi raccolti in una crocchia, i tratti del suo viso sono duri, ma il naso all'insù le conferisce una delicata frivolezza che nulla ha a che fare con la spavalderia che ha avuto nel farsi avanti con il sottoscritto. Sicuramente molti ragazzi questa notte cadranno ai suoi piedi. Ci intendiamo in pochi secondi: non sarò io la sua preda, troverà qualcun altro a cui frugar fra le tasche.
Fa un cenno verso la mia borsa e china la testa verso destra, credo che voglia dirmi di sbrigarmi. <Ti aspetta, sali> con uno scatto mi rimetto in equilibrio. <Con permesso> dico educatamente.
Arrivo ai piedi delle scale e do un'ultima occhiata alle mie spalle. La ragazza è già sparita, chissà dove saranno le sue scarpe.
Inizio a salire, sul pianerottolo qualche coppia non si fa problemi a dar spettacolo e mi affretto ad arrivare al piano di sopra dove respiro finalmente a pieni polmoni un odore di chiuso che è sempre meglio di quello di sudore che c'è di sotto. Il primo passo che faccio fa scricchiolare il parquet che ha preso il posto della moquette, fisso assorto le venature del legno che si confondono con i segni del tempo. Questa superficie è così ruvida. Riprendo a camminare, se non ricordo male lo studio dovrebbe essere l'ultima porta sulla destra. Un cigolio prorompente mi interrompe e alla mia sinistra l'entrata di un bagno si spalanca; un ragazzo barcollante ne esce e mi scansa, lo seguo sparire giù dagli scalini ed una parte di me si preoccupa che possa capitombolar giù, ma non mi getto al suo seguito, dopo tutto questa casa è ricolma di casi disperati come lui ed un tratto mi ritrovo a pensare che non molto tempo fa non ero poi così dissimile da tutti questi individui persi nelle proprie distrazioni. Che bizzarria questi scherzi della mente. Perché ricordo adesso quanto sia stato schifoso vagare per pub e vie isolate, predisposto alla deriva totale della ragione, disperato per la tua mancanza? Torni, torni sempre a tormentarmi e forse sono prossimo alla resa in questo momento, cosa ne pensi?
I miei occhi si sono spostati lentamente e, nel crescere di quest'inaspettato e brusco cambio d'umore, sto giudicando il mio stesso riflesso che vedo emergere dallo specchio del bagno. Ho un inusuale aspetto ordinato con i capelli tirati indietro, guance levigate dalla recente rasatura, lineamenti che non mi sono mai sembrati tanto tesi ed accentuati; ho come l'impressione di aver perso qualche chilo di troppo negli ultimi mesi. Sono rivoltante in questa ostentazione di perfetta imperfezione o forse è il contrario, non lo so, magari mi daresti una spiegazione se fossi qui. Potresti trovarmi al vertice della meraviglia o del disgusto, in ogni caso avresti diritto di giudizio su di me. Accetterei la tua sentenza se riuscissi a mandar giù l'arroganza che mi porto appresso.
Ero io quel ragazzo che a stento stava in equilibrio e che si aggrappava alla ringhiera mentre scendeva, ero io a trattenere i lamenti e a lasciar spazio alla rabbia e alla malinconia; ringrazio e rimpiango che tu non abbia conosciuto questo mio aspetto. È difficile da esprimere con quanta bramosia possa pensare alle tue iridi intente a mettere a nudo il mio animo, ma al contempo sono terrorizzato da un tale rischio. Hai già avuto la possibilità di maneggiare il mio cuore e ne sono uscito devastato. Ed io invece non ho avuto un'occasione simile con te. Ho solo preso, nulla di più. Sono rimasto a piangere sulla ceramica frantumata, a stringere i cocci taglienti che nessuno ha voluto raccogliere e sto estremizzando la situazione, ma tu non sai e devi comprendere. Ho errato per l'ennesima volta. Ora che non ti ho davanti il desiderio di urlare si fa forte, anche se sono ben cosciente che si tratterebbe di parole vuote che in poco tempo si disferebbero nell'aria pesante di quest'edificio. Non ho bisogno di te, non in questo momento, ho solo bisogno di commiserarmi senza l'aggravante del tuo sguardo pronto a darmi maggiori motivazioni per sprofondare nel rimorso.
Rammento il sapore delle cene saltate e dei drink ingurgitati senza un minimo di considerazione per il mio stomaco, ho una vaga immagine di Shouto e Kirishima intenti a rimproverarmi e poi è arrivato l'apice: la calma, l'annullamento derivato dalla battaglia che imperversava al mio interno. Ho rigettato pasti che non ricordo di aver mangiato, provato una paura spropositata per la mia stessa vita senza una buona giustificazione poiché, più che un gran mal di testa ed un po' di malessere ed indolenzimento, non ci sarebbero stati altri problemi ad attendermi alla mattina. Mi nascondevo nella notte per dar sfogo ad un dolore che ho faticato ad accettare e che non sono certo sia passato senza lasciar traccia. Lo immagino ancora bussare alla porta e non ti ho mai raccontato come stessero davvero le cose, quanto fossi atterrito di fronte ai demoni che mi hanno perseguitato da quando la nostra storia ha preso una brutta piega. Sono caduto talmente in basso, Izuku, sono diventato talmente diverso dall'uomo che dovresti amare. Ripudio questi sentimenti senza successo e piuttosto che acquietarsi grazie al tuo ritorno, li ho sentiti acuirsi, affilare le lame e farsi strada sotto la mia pelle. Mi sento dilaniato tutto d'un tratto. Non voglio essere quel riflesso, ma non posso far a meno di ricadere nella cattiva abitudine di dar forma, tramite il mio corpo tremante, ai nefasti pensieri che albergano nella mia testa. Sono nuovamente alla tua mercé, del tuo tagliente amore e non rifiuto il dolore che ne deriva, anzi, non ne sono mai sazio. Anelo ad un destino giusto nella sua iniquità, che possa mandare alla deriva quel che resta delle mie speranze perché provo orrore all'idea di una prospettiva più rosea. Merito questo inferno, non mi importa della tua opinione o della compassione che potresti avere persino ora che ti immagino in collera con me.
Mi allontano per provare di nuovo la tua mancanza in un cinico e vizioso tentativo di tornare indietro nel tempo, a quando eri realmente distante ed imprigionato in un sonno dal quale giorno dopo giorno mi promettevo di destarti. All'epoca appariva tutto facile: dovevo fare i conti solo con me stesso. Ho preso ad amarti con più veemenza, con più sofferenza e non è né un bene, né un male; in questa via di mezzo sono costretto a restare legato e a non aver vie di fuga e hai approfittato con maestria di questo vantaggio, però non hai giocato tutte le tue carte e fatico a respirare mentre tento di figurarmi e prevedere quali saranno le tue prossime mosse. Ho troppe pretese, puoi dirmelo e sbattermi in faccia la realtà dei fatti con la delicatezza che ti appartiene, potrei anche non reagire.
È quest'aspettativa a divorarmi, non credi? Allora perché non le permetti di avanzare? Non è questo che vogliamo entrambi? Fammi soffrire, non sopporto più di vivere sull'orlo del precipizio e di ammirare il mare ed i suoi abissi: li ho esplorati con lo sguardo così a lungo e ne ho provato una tale paura che adesso sogno di conoscerli e di esplorarli. Ma senza te cosa mi è concesso se non tergiversare vicino al confine? E per quale motivo, se questo è il mio fine, sto scappando?

I battiti del mio cuore si sono confusi con il riverbero della musica, sono riportato bruscamente alla realtà una volta che qualcuno che non sono riuscito a veder distintamente entra in bagno e chiude con un forte colpo la porta tagliando il filo dei miei pensieri. Va bene, riesco a sentire i miei polmoni riempirsi, il mostro è rimasto chiuso oltre la superficie di legno scorticato che sto guardando. Come un bambino, scelgo di ignorare l'oscurità dell'armadio in fondo alla cameretta, i miei genitori hanno detto che non c'è alcun pericolo e che le ombre che ho visto muoversi sono solamente vestiti ed i fruscii che ho udito provengono da fuori, sono le foglie degli alberi mosse dal vento. Nessuno verrà a farmi del male e trovo conforto nelle loro rassicurazioni.
Anche se ho come l'impressione di star traballando, giungo di fronte all'ultima entrata e faccio il mio imgresso nella stanza senza chiedere permesso. Avanzo fino alla scrivania e vi mollo la borsa sopra senza molta grazia.
<Per la miseria!> un paio di antenne spuntano fra un ammasso di capelli color fior di ciliegio, si muovono oltre il peso che ho depositato finché due occhi luminosi non riescono ad inquadrarmi per bene.
<Buonasera anche a te, Mina> adocchio una sedia vicino allo stipite e l'afferro per lo schienale trascinandola per poi sedermici scompostamente sopra.
<Hai apportato alcune migliorie> commento sarcastico facendo vagare lo sguardo. Tutti i colori della stanza sono ingrigiti da un sottile strato di polvere, la libreria sulla parete di destra è ricolma di libri dalle rilegature ormai malandate, scatole di cartone straripanti di fogli malamente accatastati e lì, a partire dall'angolo in alto del soffitto, una lunga crepa si dirama fino al "lampadario" mancante. Una piccola e giallognola lampadina spicca al centro del rovinoso affresco di macchie d'umidità ed infine la finestra, almeno solo all'esterno, è ricoperta di sottili ragnatele che ne opacizzano il vetro, mascherano il triste paesaggio delle vie sottostanti.
<Cosa ti aspettavi?> sbuffa spostando la mia borsa e buttando i piedi sul ripiano rimettendosi comoda con le braccia dietro alla testa. La giacca di jeans che indossa si tira, la t-shirt già corta di suo si restringe ed i jeans si tendono, gli stivali che indossa grattano su alcune cartelle che noto solo ora esser sparse sulla superficie che, a darle una miglior occhiata, sembra in mogano (davvero bizzarro per un ambiente del genere).
<Niente, il solito> dico e lei fa spallucce, mi fissa con fare annoiato. Sono solo un uomo di passaggio per lei, lo so.
Non credo che qualcuno dei nostri compagni si sarebbe mai immaginato che un Hero solare come lei sarebbe finito a fare da fulcro di infiltrazione nella malavita della città, eppure si è dimostrata abile come nessun altro nel suo lavoro. Chiunque prima o poi passa da questo ufficio e la mia ultima visita risale a otto anni fa, una cartella con il mio nome è di sicuro archiviata da qualche parte e provvederò a far aggiungere nuove righe a quei rapporti non del tutto veritieri ed onesti sugli affari he ho condotto in questo posto.
<Tu- mi indica assottigliando lo sguardo - dimmi che hai qualcosa di interessante>.
Getto il capo all'indietro a questa sua domanda. Non un attimo di pausa, ancora adesso l'incertezza mi accompagna mentre soppeso le parole che sto per pronunciare.
<Ho accettato l'operazione Kyuu> all'udire delle ultime quattro lettere i suoi occhi brillano, si tira su di scatto e punta i palmi sulla scrivania.
<Ero certa che l'avresti presa!> esclama per poi passare dall'euforia ad uno stato pensoso. Mi guarda insistentemente per svariati secondi, sono certo di aver visto una delle sue antenne muoversi e tendersi nel tentativo di analizzarmi.
<Mpf> una lieve risata e crolla lentamente sui gomiti per poi posar il mento fra le mani e rivolgermi un'occhiata di pacata soddisfazione.
<Che è quella faccia?> alza un sopracciglio come ad invitarmi a risponderle senza indugio. Non è mai stata capace di girare attorno all'argomento, sa essere diretta e nient'altro.
<Sono stanco> mi passo le mani sul viso e tento di levarmi di dosso le preoccupazioni che mi hanno accompagnato fin qua senza un gran risultato visto che mi sento più appesantito di prima.
<Lavoro?> inizio a dondolare sulla sedia e ritorno a guardare fuori dalla finestra. Una distesa di luci mi invita al silenzio, ma le parole passano senza filtri.
<Un po' sì e un po' no, ma per lo più si tratta di - mi blocco per un paio di secondi, poi mi decido a concludere in bellezza la mia breve spiegazione - si tratta di Deku> quasi mi mordo la lingua poco dopo aver pronunciato il tuo nome, ma Mina non mostra alcuna reazione, si abbassa e tira fuori qualcosa dal cassetto della scrivania. Mi prende alla sprovvista quando mi lancia una lattina.
La afferro e la studio preso da uno strano divertimento.
<Coca Cola?>
<Non sarà fresca, ma sempre meglio della schifezza che spacciano per gyn qui sotto> commenta accostandosi alla porta, si appoggia allo stipite e prende due gran sorsi.
Cala una calma che accolgo mentre mi rilasso con il vociferare delle persone nel corridoio e la musica di sottofondo; quest'involucro d'alluminio rosso e argento che stringo fra le dita mi ricorda tanto il tepore delle vacanze estive.
Alla UA, dopo l'istituzione dei dormitori, non abbiamo avuto più modo di goderci appieno l'afa sotto al sole cocente, credo che molti di noi si fossero adagiati nella comodità di quella grande casa ed anche se gran parte della classe decideva di tornare dai propri genitori c'era sempre qualche stanza occupata a fasi alterne. Chi come me preferiva dedicarsi a qualche allenamento extra poteva usufruire dei servizi scolastici, delle palestre soprattutto, e tu eri davvero indaffarato in quel periodo. Non volevi trascurare il tempo libero che ti era stato offerto, avevi elaborato un fitto programma che ti consentisse di trascorrere le giuste ore con i nostri compagni e, per tua premura, con me. Spesso ci davamo appuntamento per esercitarci e fatico a trattenere un fremito all'immagine del tuo corpo scosso dal fiatone ed il tuo gesto di asciugarti il sudore con la maglia una volta conclusa la sessione. Facevamo tappa dalle macchinette, tu prendevi sempre uno strano té rosato, ero io a prendere la dolciastra bibita gasata che tutt'ora sto assaporando. Ci stendevamo sull'erba davanti al dormitorio e ci beavamo del tramonto, poi mi chiedevi se avessi intenzione di preparare qualcosa per cena ed io, lamentandomi di dovermi far carico della richieste di quasi tutta la classe, accettavo solo per farti felice. Ne avevi bisogno, di sorridere intendo.
Già allora avevo il sentore di qualcosa di sbagliato, vedevo in te accrescersi sentimenti che troppo presto ho frainteso. Ho fatto l'indifferente, che idiota. La verità è che non sapevo cosa dirti, ero solo certo di non poterti chiedere di prenderti una pausa e di tornare al tuo appartamento dove nessuno era più ad attenderti con una gustosa tavola ricolma dei tuoi piatti preferiti. Inko ti mancava disperatamente, lo percepivo, e tu stavi iniziando a sentirti in colpa per non esser stato presente quanto avresti voluto nella sua vita, questo almeno da quando avevi intrapreso la tua nuova carriera da eroe. Quando venivi a dormire in camera mia di tanto in tanto saltava fuori l'argomento e ti lamentavi di averle dato troppe preoccupazioni purtroppo inevitabili e che sarebbero peggiorate negli anni poiché la vita da Hero in cui ti eri fatto strada a fatica era un sentiero tortuoso per chiunque. Io, d'altra parte, ti stavo accanto e limitavo le mie uscite dal perimetro della scuola, non ti nascondevo il fatto di oltrepassare i cancelli per andare a fare un salto dai miei e qualche volta sei anche venuto con me, forse non con l'umore migliore però. Era vero che avevi trascorso alcuni mesi a casa mia, ma quando pareva che ti fossi acquietato nell'affetto non solo mio, ma di mio padre e di mia madre in particolare, ne fosti allontanato. Allora, fra lezioni scolastiche e senza il solito tragitto fino alla stazione grazie alla comodità di abitare proprio entro i confini della UA, avevi bruscamente realizzato di non poter sostituire con nulla l'amore che ti era stato sottratto. Poiché tu amavi ciecamente, non sapevi fare altro, straripavi di premure per chicchessia anche in quel difficile periodo in cui avevi perso un punto di sfogo per questo tuo eccesso.
È morta in un modo così banale, ti sfogasti una sera ed io, per quanto volessi contraddirti, ti ascoltai senza intervenire per svariati minuti. Eri terrificante e stupendo con quei tuoi occhi lucidi nella brezza che filtrava dalla finestra spalancata e la sola luminescenza delle stelle a delineare i tuoi musculi tesi. Stavi sul mio letto ed io stavo accasciato sulla sedia a poca distanza, intento ad osservare con quanta forza ti stessi precludendo una malinconia che avresti rimpianto. Ad un certo punto arrivasti ad accusare te stesso per quello stupido incidente che aveva portato via una delle persone più importanti della tua vita ed io, esclusivamente per quella volta, ti dissi che no, non avevi nessuna colpa, che Inko avrebbe continuato a volerti bene per quanto la potessi sentir distante, ma quella notte il mio cuore soffriva alla tua vista. Vivevi di frammenti, non di momenti, designavi il compito di confortarti a te stesso e non a me a cui fornirvi un semplice biglietto da spettatore. Hai continuato con questa bizzarra storia per anni e hai relegato il dolore all'oblio della ragione. Perché? Perché razionalizzare tutto a quel modo? Ti illudevi di un controllo inconsistente che presto si sarebbe dissolto.
Ed io ti ho ammirato nel decadere della bella stagione, ho fatto mio quel che più mi conveniva e ti ho costretto, così voglio credere, a cedere. Allo stremo delle forze, hai guidato le mie dita fra i battiti del tuo cuore affinché potessi liberarti da un peso che ti eri imposto con troppa fretta.
Non esiste un manuale di istruzioni per questo tipo di cose ed il mal d'animo si è rivelato una malattia incurabile. Non provo rancore per il ragazzo che non poteva in alcun modo sentirsi pronto ad affrontare la solita e monotona vita di prima, ma per quel che sei diventato ed in cui io ti ho trasformato.
Porto questa rabbia che palpita insistentemente nel petto e non sono neanche più sicuro di volermene liberare. Se me ne privassi scoprirei in cosa il nostro amore è mutato e sono atterrito al solo pensiero di una tale rivelazione. Potresti esser diventato l'oggetto inanimato dei miei pensieri, ideale e ricordo di un passato che mi trascino dietro, non sono pronto a vederti appassire nel peggior dei modi. Poiché periresti per mano mia e se dovesse succedere non permetterò che altri ti stringano il polso sull'orlo del precipizio.
Ti rivedo essere inghiottito dalla fuliggine e dalla polvere, rivedo i resti bruciati dell'ultimo piano di quel grattacielo e rivivo la sensazione di viscido e di spiacevole calore che permeava la pelle delle mie mani nel cercare di reggere la tua testa in mezzo alle macerie. Le mie dita erano rosse, intrise fino alle ossa del tuo sangue ed i miei occhi, dopo quel giorno, non hanno più visto il mondo allo stesso modo.
Certe mattine passavano veloci come lo scorrere di una pellicola, con luci fredde ed il vecchio stile retrò del bianco e nero, altre invece presentavano colori sgargianti in grado di farmi venire il mal di testa con una sola occhiata; non avevo più il senso dell'equilibrio, i giorni o erano   capaci di passare dall'alba al tramonto in pochi secondi o erano lenti, o smodatamente allegri o eccessivamente tristi. Soffrivo in entrambi i casi e da allora non ho mai smesso di addentrarmi in questo vortice di spleniche memorie.
Avevamo appena assaporato il calore del sole, magari ci eravamo anche scottati, e pur amandone la sensazione siamo diventati infelici sotto alla sua luce.
Ora posso dire che, contrariamente da quel che pensavo, non abbiamo bisogno di parlare, ma di gridare a squarciagola finché le nostre voci non saranno che un sottile eco nelle stanze del nostro appartamento.
Deglutisco l'ultimo sorso e mi rendo conto di aver una gran sete, non di Coca Cola, né di altre bibite o di un qualche alcolico, ho solo una gran voglia di acqua. Me ne preoccuperò dopo.
Questo bisogno potrebbe celare una natura maligna, potrei aver desiderio di un qualcosa di più semplice, potrei solamente star distorcendo la tua immagine in innumerevoli e fugaci necessità. Le tue radici affondano nel profondo del mio cuore, ma non tento di divincolarmi.
Un tonfo in corridoio, o forse dalle scale, sovrasta per un attimo l'assillante ritmo della musica. Segue un lamento, poi Mina si sporge per vedere che succede.
Si volta verso di me e, facendo spallucce, mi dice che un ragazzo è inciampato andando giù, oltre il pianerottolo. D'un tratto vengo percorso da un brivido che sale lungo la spina dorsale.
<Non siamo diversi da loro>.
<Passi troppo tempo in questo posto>.
<È solo una base, non credere che mi ci sia affezionata> mi prende in contropiede, vuole chiarire che, per quanto possibile, non ha mai avuto una vera compassione per tutte quelle persone malate e perseguitate dal vizio dell'incoscienza.
<No, Bakugou, lo penso davvero>.


Buon giovedì a tutti, spero come sempre che stiate bene e che non abbiate il nervoso addosso come la sottoscritta. Ho studiato per giorni e ho appena scoperto che la professoressa non è presente e avremo altre ore di supplenza (potevo studiare altro🙂).
Oltretutto, perdonate il piccolo sfogo, ho avuto un crollo nervoso dell'accidenti, ma stranamente questo mi ha dato la spinta per focalizzarmi sulla scrittura.
So che Katsuki si è dimostrato alquanto altalenante ed è caduto nel torto, almeno in parte, ma non riesco a renderlo davvero così corrotto d'animo. Ha passato l'inferno per Izuku, è incredibile che il suo affetto per lui sia rimasto invariato, per quanto si sia incupito, e rifiuto di schierarmi da una delle due parti.
Io credo fermamente che non sia mai riuscito a superare quel fatidico giorno in cui il suo amore gli si è sottratto e magari non capisce che discutere con maggiore schiettezza sarebbe un buon punto di partenza. E Deku sta cercando di uscire dal labirinto, ho come la sensazione che se riuscirà da solo nell'impresa si allontanerà ulteriormente; chissà che succederà, per ora non vi rivelo nulla.
Alla prossima ❤️

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