/06/ Sotto le nuvole [Deku]
Questo capitolo sarà raccontato in prima persona da Izuku, è una parte necessaria per comprendere meglio la delicata situazione in cui sono finiti lui e Katsuki. Spero vi piaccia, buona lettura❤️
La casa è fredda da quando hai messo piede oltre la porta, ma ora che posso prendere del tempo per pensare mi rendo conto che questo gelo ci circonda da molto tempo e che si è infiltrato silenzioso fra le mura dell'appartamento.
Ho spento il riscaldamento, non so bene perché, forse volevo riuscire a trattenere qualcosa di tuo perché ancora sento le tue parole taglienti ferme in questa stanza. Tremo per le basse temperature e tremo per te, per le frasi che non sono riuscito a trattenere, per quelle che non sono riuscito a dire e la mia mano brucia o così mi sembra da quando ha toccato il tuo viso.
Ti vedo ancora spuntare con i tuoi ciuffi biondi fra queste lenzuola, il ricordo della tua espressione rilassata mi lascia una tristezza che fatico ad accettare. Hai un particolare talento nell'affascinare le persone, non credo che tu te ne sia mai reso conto, ghermisci l'animo in uno sguardo e la tua bellezza, vitrea e tagliente, ferisce.
Sia io che te siamo andati incontro a cambiamenti inevitabili in questi anni, ma a differenza tua io non ho potuto affrontare né i miei, né i tuoi ed il rimorso mi ha accompagnato fin da quando ho incontrato il tuoi occhi in quella stanza d'ospedale.
Il sollievo che hai provato mi ha spaventato, lo dovrei ammettere. Come hai potuto perdonare in uno sguardo e ricadere così presto nel torto?
Avresti dovuto arrabbiarti, odiarmi fin da subito e raccontarmi di come le mie colpe ti abbiano fatto soffrire, avresti dovuto consumare il ghiaccio che portavi nel cuore e non rimandare, trascurare e d ignorare questi sentimenti. Poiché ora siamo fragili e abbiamo bisogno di un peso minore da sopportare, di non evitarci l'un l'altro per un egoismo che rifiutiamo di riconoscere.
Hai preferito accudire non me, ma te stesso, crogiolarti nell'idea di riavermi finalmente al tuo fianco... Questo ci ha logorato.
Hai cercato di nasconderti, di celarmi il dolore degli ultimi anni, eppure io ho sempre saputo da cosa stessi fuggendo. Non ho fatto nulla, ho lasciato che l'indifferenza mi accecasse e ho continuato a sprecare tempo nel rubarti un bacio, una carezza, un gesto di conforto.
Sto stringendo stoffa fredda fra le dita mentre la pioggia ha iniziato a cadere anche dentro all'appartamento, ogni tocco sul vetro la porta più vicina e ho l'impressione che a breve quella finestra diverrà inconsistente e l'acqua mi toccherà. Sarò sommerso e non sarai con me a tenermi la mano, perché non riusciresti a salvarmi e affogheresti pur di non lasciarmi. Il tuo è un amore folle per questo, per il modo in cui ti lasci trascinare da esso, per come trattieni il respiro prima di sfiorarmi, per il terrore che non riesci a nascondere e per i passi che conduci nell'oscurità di un sentimento ormai radicato troppo in profondità per esser estirpato.
Io purtroppo non sono riuscito ad amarti come avresti meritato e anche adesso che mi sto alzando e tasto a piedi scalzi il pavimento, sento che le lacrime che sto trattenendo non sono sincere. Non piango per te, non per noi, ma per il ragazzo miserabile che sono stato e che non riesce ad odiarsi abbastanza.
Con un mesto sorriso stampato in viso sto davanti all'armadio. Il battibecco di questa mattina è stata solo una goccia che ha portato con sé la tempesta e mentirei se dicessi che non me lo sarei aspettato. È stata mia la colpa e pur pensandolo non sono sicuro di accettarlo. Sono stato io a non indietreggiare e a rifiutare la mia vulnerabilità.
Non voglio essere debole ai tuoi occhi, ma tu hai sempre voluto vedere la fragilità nelle persone, persino in te stesso; per te amare è distruggere e lenire ed io sono intrappolato in questo continuo prendere e concedere. Odio ed amo ciò che siamo, ha forse un senso?
C'è un libro sul comodino, è dal tuo lato del letto ed il segnalibro separa le ultime pagine dalle altre. Una volta mi ha detto che quando sei vicino alla fine della storia ti fermi, perché non vuoi provare né gioia né sconforto, vuoi assaporare l'emozione dell'attesa e rimandi l'ultima lettura al giorno dopo. Ed io non sono mai stato paziente con queste cose, ricordi quando sfilavo un libro dopo l'altro dallo scaffale nel tuo studio? Ero assetato di conoscenza, preso dalla curiosità divoravo l'inchiostro impresso sulla carta nel tentativo di ritrovarti in quei manoscritti. Era prima dell'incidente, prima che il nostro amore iniziasse a sgretolarsi e a mutare in un fuoco inestinguibile. Nel mezzo di quegli infiniti racconti qalcuno aveva scritto "una volta, vidi un ape affogare nel miele, e lì capii".
Il mio sguardo si posa sulla giacca che ho appena sfilato dall'appendiabiti, è tua.
In un improvviso ed irrazionale bisogno la infilo sopra alla t-shirt che indosso e rabbrividisco al contatto con la nera e fredda pelle.
Mentre mi sistemo le maniche la sento un po' larga sulle spalle, ma mi ci stringo dentro come se non fosse grande abbastanza per coprirmi. Nonostante tutti i miei ripensamenti ti desidero Kacchan, qui, al posto di questo pesante indumento. Come posso farti tornare in poco tempo? Sono combattuto fra il restare qui al riparo del tuo ricordo o affrontarti di persona, ma in questo momento manco di coraggio e mi limito a valutare piuttosto che agire. Una via di mezzo, farò sì che questa sia la scelta giusta.
Quindi non perdo tempo ad indossare vestiti più pesanti, giro attorno al divano un paio di volte preso dalla fretta e finalmente trovo il mio cellulare fra i cuscini, le chiavi di casa abbandonate sul tavolo in cucina, gli anfibi mischiati fra le altre scarpe vicino all'ingresso ed un ombrello abbandonato a destra della porta. Ho preso tutto e lasciato tutto una volta fatta scattare la serratura. Una parte di me resta legata alla speranza che, se restassi ad attenderti, torneresti.
No, non posso più aggrapparmi a tale idea ed ho paura che questa volta tocchi a me, con le mani tremanti al solo pensiero, dover fare il primo passo. Non oggi, non questa sera, magari neanche domani, né dopodomani, tuttavia una mattina mi sveglierò e sarò capace di mostrarti ciò che non riesco a confessarti: che sono in continua contraddizione fra impulso ed incertezza, che sono una foglia che sta cadendo in balia del vento e mi sto spezzando sotto al tuo incauto tocco, che ho bordi taglienti invisibili sotto il cielo nuvoloso e quando giungerà il sole sarà troppo tardi per ricucire le tue ferite. Dovrai imparare a vedere nel buio ed anche se sarò terrorizzato starò con te, cosa ne pensi?
La città è cosparsa di specchi d'acqua, l'aria umida soffia leggera fra le vie, è da tanto che non cammino da solo.
L'asfalto bagnato e scuro sta riflettendo le luci delle insegne, mi sento un pesce fuori d'acqua mentre pesto i piedi, poso l'ombrello sulla spalla ed infilo la mano sinistra in tasca.
Le persone si guardano, ma non si vedono, io osservo spaesato il triste spettacolo che mi viene offerto. È strana questa sensazione, come un masso nel petto, il mio cuore si è appesantito più di quanto mi sarei immaginato e non fa male, no, è un giusto modo per ricordarmi che ti sto cercando senza sforzarmi davvero per distinguere la tua figura nel mezzo della folla che mi circonda e scorre veloce davanti ai miei occhi. Non desidero trovarti, mi basta illudermi di poterti incontrare per caso, come se il destino ci avesse indicato la medesima strada da seguire.
Non tornerò a casa prima di sentirmi stanco di vagare o troppo infreddolito e avrò iniziato a lacrimare per il clima pungente, fin quando la mia pelle non si arrosserà e le gambe non saranno instabili e non posso promettere neanche questo, non posso giurarti che sarò sulla via del ritorno prima che sia troppo tardi e che non farò le ore piccole persino una volta rientrato.
L'inverno si sta trascinando verso la propria fine e quando il calore della primavera giungerà io non sarò pronto ad accoglierlo; sto bruciando e mi sto disfando come cenere sotto la pioggia, i miei vestiti si stanno inumidendo per quanto l'ombrello sia grande quel che basta a ripararmi. Mi fermo all'ingresso di un pub, non entro, mi accosto al muro e mi ci lascio cadere contro, approfitto solamente del riparo del tendaggio sopra l'entrata. Le mie dita fanno scivolare l'ombrello, lo chiudo e lo poso al mio fianco. Ah, sento qualcosa nel fondo della tasca, lo stringo, lo riconosco e mi affretto a mettere alla luce un vecchio pacchetto di sigarette.
Per la prima volta nella giornata mi ritrovo a sorridere. Tu non fumi, ma ti concedi un tiro, specialmente dopo una lunga nottata di lavoro e pare che tu ti nasconda da me quando cedi a questo vizio. Stai lì, sul balcone e con le luci spente, solo il mozzicone ardente si nota oltre alla tua chioma chiara. Inspiri ed espiri con una calma che più volte mi son trovato ad ammirare; gusti quei pochi minuti di perdizione e poi rientri come se nulla fosse.
Non sopporto vederti ricorrere a questi malefici rimedi invece di chiedermi un abbraccio per alleggerirti dallo stress.
E sia, abbiamo assimilato i nostri pregi e difetti, che sia per debolezza o meno voglio che tu mi veda, che tu sappia che sei diventato parte di me quanto io di te.
Sfrego le dita fra di loro per sfilare una delle sigarette e nel frattempo affondo l'altra mano nell'altra tasca trovando, come previsto, un anonimo accendino nero ed opaco.
Prima che me ne possa pentire, rischio di scottarmi il pollice facendolo scivolare nel tentativo di accenderlo, ma alla fine riesco a portare alla bocca il fumo velenoso che hai lasciato alla mia portata. Potrei dire che da fastidio ai polmoni, ma al contrario mi riporta a te: Lucky strike, proprio il tuo genere.
Contraggo i muscoli per poi rilassarmi, siamo impazziti entrambi, non è così?
C'è gente che entra ed esce dal locale, mi passa accanto, qualcuno mi guarda per non più di due secondi cercando di capire dove mi abbia già visto. È così: sono io, sono l'eroe che ha buttato via la propria vita senza riuscire a concludere per bene neanche quella, sono Deku, ma senza la protezione di una maschera, sono solo un ragazzo innamorato perso della stessa persona a cui appartenie la sigaretta che ho in mano e che mi ha appena lasciato per la prima pausa di riflessione in più di dieci anni di relazione. Cazzo, detta così la verità ha un sapore più amaro del solito.
Getto a terra la cicca, la pesto e già sto prendendo una seconda sigaretta. La tengo fra le labbra, mi do una spinta e ritorno a pesare sui piedi mentre riprendo l'ombrello. Torno a camminare fra le vetrine, di tanto in tanto scorgo il mio riflesso ed anche se non si nota in quegli specchi imperfetti, so di avere uno sguardo teso e stanco accompagnato da due cerchi rossi attorno agli occhi. Sbuffo una nube bianca opaca e mi prometto di buttar via il pacchetto, ma me ne dimenticherò e quando prenderai nuovamente in mano questa giacca noterai che si è alleggerito. Magari mi sgriderai, chi lo sa? A me basterebbe sentire la tua voce.
Non l'ho mai messo in chiaro, Bakugou, ma tu sei tutto ciò che mi resta in questo futuro a cui non appartengo.
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