Capitolo 1 - La Ragazza in Nero
Il cielo era grigio e minacciava di piovere da un momento all'altro. Mi trovavo su un vialetto ghiaioso, davanti ad una modesta villetta di periferia. Avrà avuto complessivamente tre piani, una struttura decisamente antica e sontuosa, ma visibilmente trascurata. Il giardino tutto intorno, una discreta quantità di terra, era invaso da erbacce e piante di tutti i tipi, che crescevano indomite a vista d'occhio. Solo poche finestre erano coperte da tende, le altre rendevano l'interno invisibile per via di uno spesso strato di polvere. Parti dello steccato che circondava la casa erano distrutte, e la cassetta della posta era piena fino a scoppiare. Non potei fare a meno di tirare un grosso sospiro. Mi trascinai dietro la valigia, incredibilmente grossa e pesante. Passai attraverso il giardino abbandonato, cercando di non rimanere incastrata tra i rami di una qualche pianta e di non farmi mangiare dai topi che ormai vi si erano trasferiti; Mi sentii al sicuro solo raggiunta la porta d'ingresso. Dopo aver suonato il campanello, dovetti aspettare dieci minuti abbondanti prima che qualcuno venisse ad accogliermi.
"Papà!" dissi, cercando di simulare una vaga felicità.
"Adelya!" gli corsi incontro e lo abbracciai. Era un uomo molto piccolo, perfino più basso di me, e leggermente troppo magro. Seppur la testa fosse calva, aveva una barba molto lunga e brizzolata che arrivava fino al petto. Mentre lo stringevo, lui ricambiò a fatica il mio abbraccio. A differenza mia e di mia madre, era molto riservato e poco materiale. Era evidente che non vedeva l'ora di sciogliere la morsa infernale del mio abbraccio, ma non voleva farlo notare perché in cuor suo doveva essere felice di vedermi. Ad ogni modo, lo accontentai, lasciandolo quasi immediatamente. I suoi piccoli occhi scuri mi fissavano da dietro le lenti degli occhiali, impassibili, mentre abbozzava una specie di sorriso.
"posso entrare?" Chiesi, ancora sulla soglia dell'ingresso.
"Certo" Fece lui "Ma ti avverto che non ho avuto il tempo di mettere a posto prima che tu arrivassi ... ho avuto molto da fare"
A confronto, l'esterno della casa sembrava lo studio di un dottore. Cartacce di ogni tipo ricoprivano il pavimento, parti della carta da parati erano lacerate, il divano era sommerso da camice e maglioni, per non parlare del terribile odore di muffa che mi investì appena feci un passo avanti. Dovetti fare appello a tutte le mie forze per non scappare via a gambe levate.
"Ehm ..." Fece mio padre "Lo so che potrebbe apparire un po' disordinata, ma vedrai che ti ci troverai bene.
Vieni, ti faccio vedere la tua camera"
Mi guidò al secondo piano, ad una porta che si trovava in fondo al corridoio. Effettivamente era più ordinata di quanto non mi sarei mai aspettata. L'arredamento era essenziale: C'era un letto, un armadio, un comodino e una piccolissima scrivania. Con mia grande gioia, avevo un bagno privato a cui si poteva accedere direttamente da lì. Per la mezz'ora seguente feci un tour della casa, che era esattamente come mi sarei aspettata: buia, puzzolente e disordinata. Infine arrivammo davanti ad una porticina graffiata in più punti, che sembrava dover cadere da un momento all'altro.
"Questo è il mio studio" fece mio padre.
Feci un passo avanti per entrare, ma prima che potessi sfiorare la maniglia, lui mi bloccò con forza. I suoi lineamenti si erano induriti, non l'avevo mai visto così ... non che lo vedessi spesso.
"Non puoi entrarci mai. Mai, capito?" nel suo tono scorsi una certa urgenza.
"Va bene, ma ..."
"Nessun ma, è vietato"
Annuii, un po' stranita; in effetti quel divieto, come succede in ogni caso, non aveva fatto altro che accrescere la mia curiosità. Perciò mi ripromisi che in un modo o nell'altro avrei scoperto cosa si trovava nella stanza. Ma ciò si dimostrò molto più difficile del previsto: mio padre stava chiuso giorno e notte in quella stanzetta, e prima di ciascuno di quei pochi momenti che trascorreva insieme a me si premurava di chiudere la porticina con tre giri di chiave. Col passare del tempo, decisi che non valeva la pena di scervellarsi tanto per scoprire cosa c'era in quella stanza quando probabilmente nascondeva solo qualche libro impolverato e un computer vecchio stampo. Perciò la faccenda della porta passò velocemente in secondo piano, e subito si presentò un problema nuovo di zecca e decisamente più grande: la scuola. Avendo lasciato la città dove avevo vissuto con mia madre per tutta la mia vita ed avendo preso la malsana decisione di passare un anno da mio padre, ero costretta a cambiare scuola durante quel periodo. In verità, quando avevo deciso di partire, non avevo pensato a quest'aspetto collaterale, ma mia madre è stata irremovibile : ha perfino voluto fare una videochiamata col preside per assicurarsi che si trattasse di un ambiente "sicuro e costruttivo". Mi ero battuta con tutte le mie forze, ma come sempre avevo avuto la peggio. E così eccomi, dieci giorni dopo rispetto al mio arrivo, davanti allo specchio a cambiare decine di abbinamenti differenti, sempre più indecisa. Alla fine optai per un paio di jeans e una felpa nuova. Feci colazione, ovviamente senza mio padre, che dopo i primi due giorni della mia permanenza si era definitivamente rinchiuso in quel suo studio. Mamma mi aveva detto che lo aveva lasciato per questo motivo: ad un certo punto era come impazzito, aveva cominciato a blaterare cose senza senso su certe figure mitologiche, scriveva pagine e pagine di spazzatura, aveva anche smesso di andare a lavorare. Chissà cosa frullava nella sua testa. Forse sarei dovuta essere spaventata, ma nulla poteva essere peggio del primo giorno in una scuola diversa dalla mia. Mi incamminai decisamente in anticipo perché non avevo niente di meglio da fare, ed essendo onesta, ero anche un po' curiosa. La scuola era un edificio molto ... scolastico. Aveva un aspetto ordinato e curato, a differenza della casa di mio padre. La facciata frontale era costellata da finestre chiuse, protette con minacciose sbarre di ferro. Le pareti, di un giallo chiaro poco distante dal bianco, erano immacolate: nessuna scritta, nessun graffito. Era inoltre circondata da un piccolo spazio asfaltato, un parcheggio per le automobili probabilmente, e vi era una piccola aiuola ben curata, piena di fiori rossi. Notai che non c'era ancora nessuno davanti all'edificio, eccetto per una ragazza, sul marciapiede, appoggiata al cancello che circondava la struttura. Chi altro poteva starsene lì a quell'ora del mattino se non uno studente? Superando il mio grosso timore del prossimo, decisi di farmi avanti e presentarmi. Secondo i miei calcoli sarebbe stato molto più semplice conversare in quel momento piuttosto che in mezzo ad una folla scalmanata di ragazzi. Fino a che non le fui vicina, non potei notare i tratti del suo viso, perché portava il cappuccio sollevato. Indossava un paio di pantaloni attillati, una canottiera aderente e una felpa fin troppo larga, tutto rigorosamente nero.
"Ehi!" feci, con tono esageratamente titubante. Non ottenni nessuna risposta. Decisi di riprovare. "Tu vieni a scuola qui?" Non si girò nemmeno. Semplicemente continuò a guardare dritto davanti a sé, senza sbattere ciglio. "Sai, io sono nuova ... sono arrivata qualche giorno fa. I miei sono separati, fino a questo momento ho vissuto con mia madre, ma adesso, non so esattamente il perché, in verità non ne ho la più pallida idea ..."
"Se ti dico che non mi interessa, smetterai di raccontarmi la storia della tua vita?" Fece ad un certo punto lei, girandosi di scatto. Per un momento restai pietrificata dai suoi occhi azzurri come il ghiaccio e dai suoi lineamenti decisi, che avevano qualcosa di familiare.
"Scusa, non volevo disturbarti ... ehm, ci siamo già viste?"
"Oh, non credo proprio" Fece questa, girandosi nuovamente "è impossibile che tu mi abbia vista prima"
"Come fai ad esserne così sicura?"
"Dio, fai sempre così tante domande? Ne sono certa e basta." Rispose lei con tono decisamente sgarbato.
"Io non ..." feci io, sempre più irritata e spaventata.
"Ascolta, non stai facendo altro che peggiorare le cose. Ti sto chiedendo di girare alla larga ... non è difficile!" Urlò, nel bel mezzo di una crisi di nervi. Nonostante le sue parole io rimasi impietrita al suo cospetto, senza muovermi di un solo millimetro, non capendo niente di quello che stava succedendo.
"Oh, allora lo fai apposta! Non mi hai sentita? Va bene, me ne dovrò andare io ... non avrei dovuto mai accettare, mai!" e così si allontanò a grandi passi, con il cappuccio alzato. Nel frattempo, senza che potessi accorgermene, altre persone erano entrate nel cortile della scuola. E anche se sembravano decisamente più amichevoli, decisi di lasciare stare ogni tipo di conversazione ... ero stata traumatizzata abbastanza da quella con la ragazza in nero.
Dopo poco tempo la campanella suonò, e io mi ritrovai nell'aula dove si sarebbe tenuta l'ora di inglese. Con mio grande sollievo notai che la ragazza dagli occhi azzurri non c'era. Mi sedetti all'ultimo banco ... ovviamente nessuno venne vicino a me, dato che ero quella nuova. Tutti parlavano tra di loro, e anche se cercavano di non farlo notare, potevo percepire i loro sguardi curiosi e i loro commenti su di me. Decisi di non stare ferma a guardarmi intorno, ma piuttosto di cominciare a ripassare ciò che avevo imparato negli anni scorsi. Ovviamente il mio metodo non funzionò granché, anzi mi sentivo ancora più osservata. Detto sinceramente, a me non piace essere l'argomento di conversazione più gettonato. Alla fine, grazie al cielo, il professore fece il suo ingresso. Vi risparmierò la sua descrizione, sappiate solo che aveva un aspetto abbastanza simpatico, sicuramente molto meglio di quello che mi ero aspettata. A sedersi nel banco di fianco al mio fu un ragazzo. Evitai di guardarlo direttamente, ma era decisamente alto e doveva avere i capelli biondi. La lezione iniziò quasi immediatamente, senza commenti sull'estate scorsa, né presentazioni imbarazzanti. Insomma, l'ora passò abbastanza in fretta, fin troppo ad essere sincera. Continuai a lanciare occhiatine al ragazzo di fianco a me, senza però riuscire a vedere molto: Ero troppo timida per guardarlo direttamente in viso, per parlargli, o semplicemente per dirgli ciao. Sapevo però che prima o poi sarebbe dovuto succedere, e decise lui stesso di agevolare le cose, presentandosi all'intervallo, qualche ora dopo. Ero in corridoio, in cerca del mio armadietto, che non riuscivo a trovare. Mentre ripercorrevo tutta la fila, lo sentii arrivare di fianco a me.
"Ciao, scusa se prima non mi sono presentato, ma dato che siamo vicini di banco, beh, penso che dovremo conoscerci. Io sono Will" Mi porse la mano. Feci per stringerla e per decidermi a guardarlo in faccia una volta per tutte, quando avvenne qualcosa di decisamente strano. Qualcosa di nero, forte e pesante, mi spinse di lato ... per poco non caddi. Qualche secondo dopo notai che la cosa nera e pesante era una persona, più precisamente la ragazza dagli occhi azzurri di quella mattina.
"E tu chi saresti?" fece Will, molto stupito.
"Oh, qualcuno che ti pentirai di aver avuto il piacere di incontrare"
"Seriamente, cosa vuoi?" Si voltò verso di me "La conosci?"
scossi la testa. Non feci nemmeno in tempo a chiedere che la ragazza lo aggredì di nuovo, dandogli uno spintone.
"Ascolta, stalle alla larga, ok? È l'ultimo avvertimento, oppure dovrò utilizzare maniere molto più ... estreme" Detto questo si allontanò da Will e afferrò il mio braccio, portandomi in un altro corridoio.
"Ma cosa ti passa per la testa?" Le chiesi "chi sei? Cosa vuoi?"
"Niente, solo ..." Disse, guardandomi " ... come è possibile che tu non sappia nulla?"
Continuai a fissarla gelida.
"Mi dispiace, solo che conosco quel ragazzo ... è famoso per non essere esattamente un bel tipo. Cerca di scegliere meglio la gente che frequenti" rispose. Ovviamente non capii nulla, né il motivo per cui mi stava dicendo quelle cose, ma la campanella suonò. Battei le ciglia per lo stupore, ma quando riaprii gli occhi la ragazza era svanita. Ad ogni modo avrei dovuto dirle grazie, dato che mi aveva portato esattamente davanti al mio armadietto. Per il resto della giornata non vidi il ragazzo, probabilmente perché frequentava corsi diversi dai miei. Non potei chiedergli scusa per la scenata della mia "amica", quasi certamente non mi avrebbe più rivolto la parola. Forse avrei dovuto essere arrabbiata, ma alla fine della giornata ero solo stanca, e dovevo fare la spesa, i compiti, le pulizie. Inoltre avevo una gran fame. Nonostante ciò, appena arrivata a casa accesi semplicemente la TV che c'era in salone e dormicchiai un pochino. Così feci per circa una settimana. Stavo cominciando ad abituarmi a quella grande casa, che mi piaceva sempre di più. Con il mio arrivo era praticamente rivoluzionata: Senza tutta quella sporcizia e quella spazzatura, appariva decisamente meglio. L'unico luogo a cui ancora non avevo accesso era lo studio di mio padre. Ormai lo vedevo molto poco, solo durante i pasti. Diceva che aveva un sacco di lavoro da fare, ma tutti i rumori che provenivano dalla sua stanza mi fecero iniziare a sospettare che non compisse semplici mansioni da ufficio. Durante quei primi sette giorni rividi la ragazza in nero moltissime volte, ma non c'era nessuna traccia di Will. Certo, non dovetti aspettare molto per rivederlo.
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