#2 COMPAGNIA DELL'ANELLO
▪️ Ci saranno due eliminati a squadra
▪️ Stavolta sarà la vostra squadra avversaria a giudicarvi e a commentarvi. Così dovrete fare voi con gli Uruk'hai
▪️ Avete tempo cinque giorni, ossia: sabato 6 luglio, h. 14.30. Oltre la data e l'orario indicati, verrete eliminati! Se avrete problemi che vi impediscano di portare a termine il vostro compito, contattateci via messaggio privato, così da vedere cosa poter fare.
▪️ Commentate esaustivamente, mi raccomando, dovete esprimere la vostra impressione, se vi ha colpito o meno, se vi ha invogliato a leggere la storia per intero oppure no, se avete notato errori di qualunque tipo etc etc, insomma, non accettiamo commenti di tre righe e che si limitano al generico.
▪️ Commentate in linea, dove troverete questo simbolo, così da evitare di fare confusione: ➡️.
▪️ La Figlia del Picchio - crilu98 ➡️
Era di nuovo davanti alle mura di Ascoli, dopo la battaglia, ma intorno non c'erano né corpi né eserciti e poteva udire tutti i fragili suoni di quella terra rimasta senza abitanti: il fruscio dell'erba che si piegava sotto la brezza, lo scricchiolio dei suoi calzari sulle zolle brune e l'allegro trillo di un picchio...
Se lo ritrovò davanti all'improvviso, un esserino smilzo dal piumaggio lucente che osservava il mondo con occhi intelligentissimi: volò in cerchio sul suo capo per tre volte, sfiorandogli i capelli scuri con la punta delle ali. Desiderava afferrarlo e stringerselo al petto, perché quell'uccello gli apparteneva, era qualcosa che aveva perduto da molto tempo... Ma il picchio continuava ad innalzarsi nel cielo, al di fuori della sua portata.
Poi si sentì sollevare e all'improvviso la terra si fece sempre più piccola e lontana: sotto i suoi occhi si dispiegava ora l'intera penisola, con le sue montagne e le sue valli, mentre il mare sciabordava lungo le sue coste e adagiata nel mezzo splendeva la luce di Roma.
Era uno spettacolo che mozzava il respiro.
▪️ L'ultimo giorno, Nuova vita: la Transizione - ragazzaprimavera03 ➡️
In un attimo cado a terra a quattro zampe e a poco a poco inizio a vedere ciò che mi circonda e a comprendere il luogo in cui mi trovo.
Attorno a torno a me alberi immensi si propagano fin dove l'occhio umano riesce a vedere.
Sotto il mio corpo l'erba fredda si appiccica alle mie ginocchia e ai palmi delle mani.
Con fatica mi sollevo da terra e cado a peso morto addosso a un albero poco lontano da me. Ho tutto il corpo intorpidito per il freddo e non solo.
Che mi sta succedendo?
Dove sono?
Dove sono Bellator e Meir?
Abbasso lo sguardo sul mio corpo e ciò che vedo è raccapricciante. Tutto il mio corpo è tinto di nero, come se fossi stata immersa all'interno di una vasca di catrame liquido e colloso.
Abbasso la mano a toccarmi la pancia e la sostanza appiccicaticcia simile al catrame con qui sono stata ricoperta si stacca dalla mia pelle rendendola nuovamente diafana come ricordavo un tempo o forse più.
Ma che mi sta succedendo?
Mi stacco dall'albero a cui ero appoggiata e vedo che pure lui è ricoperto di questa strana sostanza, che sembra fuoriuscire dal tronco.
Lo guardo e indietreggio quasi spaventata e inizio a correre con i piedi scalzi nel lato opposta a questo finché non arrivo davanti a un lago con mille sfumature diverse contornato da montagne e una luna piena sopra di esso.
Appena lo vedo mille immagini mi si parano davanti e pure mille ricordi entrano a far parte della mia mente...Braies.
In un attimo mi tuffo nel lago e lascio che il mio corpo diventa un tutt'uno con esso. Layla Raziel ecco chi sono e questo è il luogo che più amo nel mondo il Lago di Braies.
▪️I Castagni di Chiura - Aliluceleona ➡️
Comandò che per l'indomani ogni uomo preparasse uno zaino con indumenti pesanti e coperte, due razioni, una borraccia d'acqua, una fiaschetta di liquore e un bastone da arrampicata, e li volle in cortile pronti all'alba.
Si mise alla testa del drappello e, lasciato alle spalle il fondovalle, puntò deciso per prima cosa verso un bosco di castagni; nell'aria frizzante del mattino, con le sue lunghe leve, imponeva al gruppo un'andatura che faceva stringere i denti.
Leona, fra tutti, sembrava seguirlo leggera con più scioltezza e si concedeva di guardarsi intorno, respirando profondamente quell'aria pulita, incantata dai colori dell'autunno che avanzava nei boschi di Chiura.
Dopo circa due ore di quella marcia veloce, tra i castagni si stagliò una torre. Furius si fermava, di tanto in tanto, lasciando sfilare gli uomini mentre controllava, parve a Leona, a volte alberi, a volte tracce, a volte le condizione del sentiero che percorrevano; come se conoscesse quei luoghi palmo a palmo e si fermasse a salutare una pianta più antica o, da cacciatore qual era, lo incuriosisse la presenza di questo o quell'animale.
Nel passargli davanti, Leona colse la sua espressione nel guardare verso la torre; sorrideva, in un modo ben diverso da quello agghiacciante che sapeva riservarle.
Era un sorriso autentico, fiero, un saluto silenzioso a qualcuno che andava a trovare. Di lì a poco, sotto la torre, poterono scorgere una costruzione massiccia, una sorta di piccolo forte e Furius annunciò che a breve avrebbero fatto una sosta e una colazione abbondante; gli uomini esultarono, pregustando qualcosa che evidentemente già conoscevano.
Avanzando, il bosco si diradò, approssimandosi a un'alta spianata cui si accedeva per una lunga scalinata intagliata nella roccia. Il sentiero finiva lì, ai piedi di quella. Era stato agevole percorrerlo, tanto che anche un carretto avrebbe potuto raggiungere il luogo; più oltre, invece, salire doveva diventare arrampicarsi.
Furius fece i gradini due a due, con loro dietro quasi in affanno. A fine scala, sulla spianata, si ergeva l'edificio che era parso un fortino; Leona vide allora che solo la torre svettava alta, il resto della costruzione non superava i quattro, cinque metri d'altezza: essendo costruita su quella specie di piedistallo, però, la costruzione dal basso era sembrata dotata di mura, e simile a una fortezza.
In realtà non vi erano né merli né camminamenti, trattandosi piuttosto solo di un lungo muro di facciata, nel quale si apriva un unico arco di ingresso. Sull'arco, scolpito vivido nella pietra, un orso rampante.
Fosse anche mancato, Leona avrebbe saputo che quello era il palazzo dei signori di Chiura: impossibile non sentirlo, che lì era nato Furius.
Dalla spianata, tanto alta sul sentiero da appaiarsi alle chiome degli ultimi alberi che si arrestavano ai piedi della scalinata, la vista dominava senza ostacoli l'intero arco dei monti che cingevano la valle.
Il sole che si alzava scioglieva le ombre del fondovalle e accendeva di rosso quelle parti di bosco dove gli alberi a foglie caduche già ritiravano la linfa da quelle ai tronchi, lasciandole a ingiallire e poi a tingersi di sangue, prossime infine a staccarsi ai primi rigori invernali.
Leona trovava quella regione di una bellezza selvaggia e struggente. Si staccò a fatica dall'orlo di quella specie di terrazza sulla valle, per seguire il drappello oltre l'arco, nell'immancabile cortile su cui le quattro ali del basso palazzo affacciavano.
Era, quell'arco, l'unico vezzo costruttivo che edificando i signori di Chiura si erano concessi. Nelle pareti di pietra le aperture delle porte e delle finestre erano semplici rettangoli dotati di grate.
Né colonne né fregi, né volte né porticati, solo muri massicci, pavimenti di pietra, porte di legno scuro borchiato. Al centro del cortile, una vasca con uno zampillo che gorgogliava quieto, senza un mascherone né statue decorative.
Solo l'acqua che scorreva, proveniente da una sorgente la cui presenza aveva deciso la nascita, in quel punto preciso, della casa.
▪️La Scelta Difficile - RomBones ➡️
In quella mattina di sole Alex era sdraiata sulla spiaggia e si lasciava accarezzare dal vento che soffiava dal mare. All'alba era sgattaiolata fuori dalla camera con solo un telo e il suo libro giallo a farle compagnia. Potevano essere le sette quando il richiamo dell'oceano diventò così perentorio e invitante da farle decidere di tuffarsi.
Nuotò a lungo, e spesso si lasciò trasportare dalla corrente, per poi ricominciare a nuotare.
Dall'acqua lasciava scorrere lo sguardo sulla riva, dove distingueva in lontananza un uomo che giocava con il suo cane e una coppia di ragazze che correvano sulla sabbia, con il filo delle immancabili cuffiette nelle orecchie che sobbalzava a ogni salto.
Poco più in là, sulla destra, un surfista solitario si apprestava ad allenarsi sulla tavola. Ormai stanca tornò a riva, lentamente e col fiatone ad accompagnare il ritmo delle onde.
Mentre usciva dall'acqua riconobbe Paul in piedi ad aspettarla, teneva teso l'asciugamano per lei: indossava un paio di pantaloni corti azzurri e una maglia bianca, che mettevano in risalto la sua muscolatura perfetta.
Improvvisamente si sentì in imbarazzo, accorgendosi del modo in cui la stava guardando, soffermandosi sul piccolo bikini nero. Quando gli fu vicino, allungò la mano per prendere l'asciugamano e lo ringraziò, ma lui ignorò quel gesto e la avvolse nel telo. Così lei si ritrovò imprigionata tra le sue braccia, mentre Paul le accarezzava la stoffa sopra la schiena, le spalle, le braccia.
Nonostante la spessa spugna che la avvolgeva, Alex riusciva a sentire la forza delle mani che la stringevano. Alzò il viso e si accorse che quello che stava facendo non era guardarla, piuttosto la stava attraversando, come se volesse leggerle dentro.
I suoi occhi erano neri e profondi, le labbra carnose, invitanti: «Stai tremando. Hai freddo?» La sua voce, calda e roca, le arrivò all'orecchio come un soffio e si ritrovò a desiderare che nessun indumento si frapponesse tra loro: «L'acqua è meravigliosa... È calda... Qui fuori il vento...» Quello sguardo le impediva di formulare qualsiasi frase di senso compiuto.
«Non preoccuparti. Ora ti riscaldo io.» E prima che lei potesse dire qualcosa, le sue mani si infilarono sotto il telo, accarezzandole la pelle ancora bagnata, passando dalla schiena alla vita, risalendo dalla pancia in mezzo ai seni, fino al collo.
Alex si sentì trasportare in un mondo fatto di sensazioni che non aveva mai provato. Sembrava il preludio a qualcosa che ancora non conosceva.
▪️ L'avvento dell'imperatrice - Fanwriter91 ➡️
La sala centrale era rotonda, si estendeva per migliaia di metri quadrati ed era collegata ad altre sette; queste erano leggermente più piccole e, come servitori disposti attorno a un trono, formavano un semicerchio.
Ogni sala era ricolma di vetrate: vi erano candide fenici che assalivano draghi dalle scaglie multicolore, paladini scintillanti che trionfavano su immensi demoni, intrepidi eserciti che travolgevano le armate oscure; dietro ai vetri, dei bracieri proiettavano variopinti ricami di luce. A cicli irregolari, scanditi dalle musiche, le fiamme si trasformavano e con esse i giochi di luce. Le piume delle fenici si illuminavano come se stessero realmente ardendo, le armi variopinte parevano fiaccole, i guerrieri sembravano prender vita.
Le dame, già pronte da mesi per l'evento, avevano fatto a gara per sfoggiare gli abiti più eleganti e i gioielli più fantasiosi: una di loro indossava un diadema di smeraldo che rievocava un intreccio di fiori, con al centro un rubino lavorato per assumere la forma di una corolla di rosa; un'altra si era cinta il collo con sette collane che riprendevano le gradazioni dell'arcobaleno; molti notarono anche una fanciulla che portava un pendaglio ricalcante la forma di un occhio da cui scendeva una lacrima di zaffiro.
In mezzo alla folla capitava, occasionalmente, qualche giullare vestito con un rozzo costume che rimembrava i nemici sconfitti; si muoveva goffamente, inciampava, emetteva grugniti confusi e lasciava dietro di sé una scia di risate.
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