#1 SFIDA: LA COMPAGNIA DELL'ANELLO
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▪️Resoconto:
- Ritirata: mcdreamyisnotdead
- Eliminata: Thimm_Nuruodo
Ecco gli estratti:
▪️ ReaderWriterZen - The Fall➡️
Quel giorno raccolsero tutto quello che avevano dalle loro case, il cibo conservabile dai supermercati, cibo che potevano ripiantare, cose per loro importanti come libri, videogiochi eccetera. Usarono la station wagon della famiglia di Kyle per caricare tutto visto che non avrebbero dovuto scassinarla, era capiente e aveva cinque posti.
Passarono con quella a prendere le loro ultime cose nelle loro case e partirono per la metropoli più moderna d'Italia, la capitale dell'industria italiana e della moda globale.
Arrivarono in una Milano fantasma, trovarono la Foresta Verticale appassita, i grattacieli vuoti si stagliavano come enormi mura di cristallo, i negozi e i bar vuoti mettevano inquietudine ma ancora più inquietante era il silenzio, innaturale in una città come quella.
Corinne consigliò loro un appartamento in centro, traslocarono lì e poi fecero un giro razziando i negozi di alimentari o di cose interessanti, lasciando a casa Corinne ma portandosi arco, lancia e mazza. Ma fu davanti ad un autosalone che rimasero a bocca aperta, lì dentro c'era un'auto ultimo modello 5 posti blu elettrico decappottabile con autopilota.
Entrarono, il sistema domotico dell'autosalone gli fece prendere l'auto, misero le armi nel bagagliaio e con Kyle alla guida sfrecciarono per le strade deserte facendo manovre assurde, tra cui testa-coda e rumorose sterzate, spesso modificate dal copilota automatico, altrimenti si sarebbero schiantati una dozzina di volte
▪️ Aliluceleona - I Castagni di Chiura➡️
prima di poter dire che Chiura ti piace...
Furius guidò il gruppo lungo un percorso diverso dall'andata. Passò per i campi dove raccoglievano degli ortaggi che Leona non conosceva.
I raccoglitori erano tutti donne, con le gonne lunghe raccolte quasi all'inguine perché non si bagnassero nell'erba umida. Chinate in due, sotto il sole ormai caldo della mattina inoltrata, riempivano ceste che portavano in due a bordo campo.
Furius rallentò e passò ben vicino; a suo beneficio e a scopo istruttivo, avrebbe giurato Leona; i sorveglianti salutarono, alzando la frusta.
Le gambe delle donne recavano i segni di quello strumento, che evidentemente schioccava con facilità, se il lavoro rallentava. Il numero delle ceste piene, e le colonne di ceste vuote impilate, parlò a Leona di un lavoro iniziato presto e destinato a finire assai tardi.
Non una alzò gli occhi sulla pattuglia di passaggio, nonostante i commenti e i richiami delle guardie, tanto sboccati e allusivi che i sorveglianti si fecero sul confine. Furius si trattenne a parlottare e ridendo stabilì: "La prossima volta".
Il proprietario, comprese Leona, aveva offerto al capopattuglia un diversivo, per lui e per la squadra, a un modico prezzo. Leona strinse i denti, perché quelle donne non erano prostitute di mestiere, ma contadine. Eppure, un uomo poteva disporne a piacimento, secondo la convenienza del momento; virtualmente, schiave.
Rientrando, Furius si fermò sull'ingresso per osservare la squadra sfilargli davanti. Guardò in faccia la donna, che sul percorso precedeva: che te ne pare? Bel posticino, vero?, le chiese con gli occhi. Leona fissò il terreno avanti a sé.
"Ora che siamo belli sciolti e con i muscoli caldi, un po' di allenamento. Donna, l'hai fatto un po' di esercizio a Darama?"
Leona si mise sull'attenti. Furius prese con gentilezza un frustino che l'uomo di guardia al portone aveva al fianco. Glielo sfilò sorridendo.
Leona ne sentì il sibilo e il morso sul dorso.
"Ti ho fatto una domanda".
Leona non aveva capito attendesse risposta, sembrava un commento sarcastico...
"Sissignore", rispose, senza fare una piega.
"Lo spero per te, più avrai trascurato lì, più pagherai ora. Algor, un paio di lance da allenamento. Mettetevi comodi; prendete una pausa che mi sciolgo un po', poi faccio allenare anche a voi", disse agli uomini guidando Leona al centro del cortile, con un gesto elegante, come invitasse una dama al ballo.
Leona sapeva, che sorta di danza avrebbe ballato. Con quell'arma Furius era micidiale e tutto dipendeva solo da quanto intendesse farla soffrire. Poteva difendersi, per un po'. Ma realmente Tauro era stato a lungo convalescente e con gli altri, a Darama, non c'era granché da impegnarsi. Così, dipendeva da cosa voleva Furius.
Al primo colpo, Leona capì che era intenzionato a far male.
Subito, a freddo, era entrato pesantissimo nella sua guardia; aveva a malapena potuto deviare un colpo da sfondarle le costole, ma era arrivato al fianco, violento, e già rischiava di muoversi male.
Leona si raccolse guardinga. La velocità del secondo affondo, avrebbe preceduto lo scatto d'un velocista.
Leona, che lo conosceva bene, intuì la direzione e si salvò schivandolo di un soffio, ma Furius sogghignò.
Non era in forma, innegabilmente.
Non ci stava con la testa, soprattutto. Ad Adamanta, col nuovo maestro che le dava coraggio e fiducia, riusciva a impegnarlo, ma qui erano a Chiura e Furius era onnipotente; entrò dal basso e quasi le strappò l'arma, la caricò e Leona si lasciò cadere per non farsi frantumare l'anca.
Tentò di rotolare per rialzarsi, ma a metà movimento Furius era già in piedi e aveva la sua arma contro il petto; non poté rialzarsi perché Furius gliela spinse di punta nello stomaco, un colpo violento che la tenne boccheggiando in ginocchio.
Furius le sputò davanti: "Pessimo, donna. Alzati!"
Leona prese fiato. Si rialzò sapendo che l'avrebbe rimessa in ginocchio assai presto.
Ma almeno questo, Furius glielo aveva ricordato: che era un tipo resistente, più di un uomo.
▪️ Fanwriter91 - L’avvento dell’imperatrice ➡️
Un corno suonò. Non appena lo udì, Ain si tese come una corda. Una massa bianca stava passando sopra alla sua testa, a decine di metri d'altezza. Il corno suonò ancora, e lì comprese. Non era un rumore prodotto da un oggetto, ma da un essere vivente.
Figure lunghe una ventina di metri squarciarono le nubi. La loro materia sembrava la stessa delle nuvole, ma la struttura era troppo perfetta, troppo precisa. Ricordavano una nave, ma la prua era composta da un teschio lattiginoso, i cui bulbi oculari erano riempiti da due gigantesche gemme dorate. Dai lati del corpo uscivano sei remi, le cui pale avevano la forma di ali piumate; si muovevano con un moto armonico, sincronizzato. Dal corpo usciva un prolungamento ondulato e appuntito, vagamente simile all'albero maestro di una nave, che a sua volta si ampliava in una singola ala membranosa attraversata da vene ricolme di pura luce.
Altri due corni e altre due creature emersero dalle nebbie.
Il teschio centrale si aprì e vomitò un raggio bianco che volò contro un palazzo; i vetri si fusero, i mattoni andarono in pezzi con un fragore, la struttura collassò su se stessa e divenne un cumulo di macerie.
«Principati».
Al fianco dei tre giunsero centinaia di uomini alati armati di spade, archi, mazze e lance.
Uno stormo di rettili alati era pronto ad affrontarli. Le viverne erano cavalcate dai domatori, lunghe dieci metri, un pungiglione usciva dalle loro code, squame ricoprivano i lunghi colli.
Sfere di fuoco, frecce, fulmini e dardi attraversarono la volta, il cielo stesso sembrò incendiarsi. I colpi non andati a segno precipitavano come meteore su edifici edifici e persone.
Un angelo assalì una viverna e le recise un'ala, ma un'altra creatura lo bloccò con gli artigli e lo infilzò col pungiglione; lasciato cadere, l'uomo alato finì a una ventina di metri da Ain e Naos. Si alzò e barcollò, cadde, il suo corpo andò in preda alle convulsioni, le vene si gonfiarono ed esplosero, gli occhi piansero sangue. Un ultimo spasmo e s'irrigidì.
I boati causati dallo scontro si fecero più intensi, entrambe le parti mietevano vittime. A ogni colpo dei principati i militari precipitavano nel vuoto disegnando scie baluginanti, simili comete che attraversavano la volta prima di concludere la loro esistenza.
Del liquido cadde sopra alle teste delle reclute. Toccatosi e annusatolo, Ain lo riconobbe come sangue. Le gocce divennero un vero diluvio, una pioggia scarlatta in cui il sangue di angeli e umani si mescolava e confondeva, consacrando gli unti come figli della guerra.
I corpi senza vita precipitavano come macigni, e chi era ancora in vita soccombeva una volta raggiunto il suolo. I superstiti urlavano di dolore, arti e ali erano strappati, i corpi dilaniati, il liquido scarlatto che sgorgava come un fiume impetuoso.
▪️ @RomBones - La Scelta Difficile➡️
Si spostò lungo il marciapiede trascinandosi dietro le valigie; gli altri passeggeri del pullman si erano già dispersi, quindi l’unico rumore nella notte era quello delle ruote dei suoi trolley sull’asfalto. Si avvicinò a una delle panchine sul bordo strada, quando un paio di fari alle sue spalle le illuminò la via; si voltò: un taxi era appena tornato alla fermata.
Riprese i manici delle valigie e gli andò incontro. Quando era ormai a un paio di metri dalla macchina, un uomo, con una ventiquattrore e una borsa a tracolla sulle spalle, attraversò la strada e si infilò nel taxi.
«Ehi!» gridò Alex mollando le valigie; bussò al finestrino prima che l’autista mettesse in moto. «Ehi! Aspetti un momento!»
L’uomo abbassò il vetro: «Sì?» Era moro, con curiosi occhi neri e un sorriso disarmante. Alex rimase una frazione di secondo incantata dal fascino di quell’uomo, lo stomaco contratto, la lingua arrotolata. Poi però lo sdegno prese la meglio e si riprese: aveva bisogno di quel taxi e lui glielo stava rubando. «Questo è il mio taxi.»
Ma evidentemente quello non si lasciò intimorire dal suo tono minaccioso: «Forse c’è un
malinteso» sembrava spiegarle pazientemente «perché, vede?» Lo sconosciuto allargò le braccia come per sottolineare l’ovvio: «Io sono seduto qui dentro, mentre lei è lì fuori.»
Alex lo guardò incredula, ma non voleva demordere. Gli sorrise accondiscendente cercando di
cambiare tattica: «Capisco. Probabilmente allora non ha visto che stavo arrivando con le valigie. Ero sicuramente in fila prima di lei. Quindi...» Aprì la portiera: «Le sarei molto grata se volesse scendere. Sono in viaggio da stamattina, sono stanca e non vedo l’ora di…»
Lui però la interruppe con un gesto della mano. Si affacciò per un momento fuori dallo sportello e le disse: «Ascolti, anche se penso che potrebbe piacermi conoscere i suoi programmi per questa notte…» fece scorrere lo sguardo sul suo metro e sessantacinque, soffermandosi sulle gambe lunghe, sui fianchi arrotondati, sul seno sodo, il collo affusolato, per poi rivolgerle un sorriso malizioso: «Anche io ho affrontato un lungo viaggio. Quindi se non le dispiace…» Rientrò in auto richiudendo la portiera: «Buona fortuna!» le augurò tirando su pure il finestrino.
Mentre l’autista metteva finalmente in moto, ad Alex sembrò di vedere un sorriso di soddisfazione affacciarsi sul viso dello sconosciuto: non solo le stava portando via l’unico mezzo disponibile per arrivare in albergo a quell’ora della sera, ma aveva avuto la sfacciataggine di scansionarla da capo a piedi, come se la stesse addirittura valutando. Seguì l’auto che si allontanava, prima con lo sguardo, poi correndole dietro, urlando: «Ehi! Aspetti!» finché la rassegnazione non ebbe il sopravvento.
Rimase lì, al centro della strada, di nuovo sola, finché si voltò per tornare indietro, dalle sue valigie, uniche, fidate, compagne di viaggio.
▪️ Crilu98 - La Figlia del Picchio➡️
“Cittadini di Ascoli, fratelli miei, ascoltate! Questa città fu fondata dal sangue e dal valore di uomini come voi, guerrieri temibili che imbracciavano le armi ogni volta che un nuovo, crudele nemico arrivava a minacciare le loro terre e le loro famiglie! Molti eserciti, da ogni dove, sono scesi nelle nostre vallate convinti di trovare un docile popolo di agricoltori e mercanti che avrebbero sottomesso con facilità; ma ognuno di essi è stato fermato dai nostri scudi, vinto dalle nostre lance, messo in fuga dai nostri canti di vittoria!”
L’uomo fece una pausa e le labbra lasciarono intravedere un sorriso mentre godeva dell’atmosfera vibrante che le sue parole avevano gettato sulla piazza: pareva di vedere aleggiare sopra la città gli spettri delle generazioni passate e quasi si poteva sentire il rumore lontano dei tamburi di guerra. Tutti i presenti rimasero in silenzio, ricordando avvenimenti che nessuno di loro aveva conosciuto se non nei racconti dei cantastorie, rievocando i tempi perduti degli eroi, quando gli dei camminavano in mezzo ai mortali.
“Ebbene, un nuovo nemico si innalza davanti a noi. Un nemico potente, che tutti ritengono invincibile. Sì, fratelli, è di Roma che parlo: la grande, avida Roma, che ha messo gli occhi sulle fertili terre oltre le montagne e guarda al nostro mare e ai nostri commerci con sguardo bramoso!”
L’oratore dovette gridare per sovrastare il brusio che si sollevò tra gli astanti: “So cosa state pensando: Roma ci è sempre stata amica e i nostri popoli sono legati da patti di fiducia sanciti davanti agli altari. Patti sacri, patti inscindibili. Lo so, lo so… Quanti di voi sono scesi in guerra per onorare i nostri accordi con i Romani? Quanti sono caduti, quanti tornarono a casa mutilati nella carne e nello spirito? Molti, come me, avranno combattuto i Senoni, gli Etruschi e i Sanniti vent’anni or sono. E quello fu un terribile, terribile sbaglio! Sì, perché essendosi ormai sbarazzata di ogni nemico che le potesse essere pari, ormai sicura nei suoi domini e libera di espandersi a nord, a sud, a est e sul mare a ovest… Roma è diventata inarrestabile.”
Il volto dell’uomo venne distorto da una smorfia amara e la voce si fece bassa, minacciosa come il brontolio di un tuono: “Ha conquistato i Pretuzii, nel sud; ha sconfitto i Senoni a nord – e di nuovo, senza il nostro aiuto non avrebbe ottenuto una tale, definitiva vittoria. Devo forse ricordarvi cosa accadde a Taranto? Devo ricordarvi cosa è accaduto alla nostra stessa gente, non più di un anno fa, quando osò alzare la testa contro Roma?”
Il silenzio diventò teso e cupo quando la folla udì l’accenno alla rivolta dell’anno precedente: il tentativo dei Piceni di affermare senza ambiguità la loro indipendenza da Roma era stato brutalmente soffocato nel sangue dai consoli.
“Riflettete” concluse l’oratore con fare saggio e benevolente “Chiedetevi come volete vivere e soprattutto, come volete morire: da uomini liberi o da schiavi?”
▪️ Ragazzaprimavera03 - L'ultimo giorno, Nuova Vita: la Transizione➡️
Altair
Sento la neve soffice e bianca sotto le zampe. Corro senza pietà in mezzo al bosco novembrino. Il vento gelido mi spezza la pelliccia, bianca con striature nere e sfumature grigie.
Annuso l'aria, c'è odore di sangue, qualche bestia carnivora, come me, avrà fatto razzia di corpi caldi. Ho freddo, i miei artigli si conficcano nella neve ghiacciatta, che scricchiola a ogni mia zampata bene assestata nel terreno. I rumori attorno a me sono
impercettibili.
Corro sempre più veloce, perché le immagini di lei agonizzante tra le miei braccia, vicino alla morte e
poi morta continuano a sfumarsi davanti i miei occhi color menta primaverile.
Mi blocco e ringhio come a voler risvegliare tutti gli esseri in letargo in questo bosco, come a voler risvegliare lei.
Vorrei gridare, dimenarmi, urlare, scappare!
Vorrei tornare indietro a quel giorno.
Vorrei che tutto cambiasse.
Vorrei non averti mai conosciuto.
Quel giorno per colpa tua, il mondo c'è crollato addosso. Dopo la tua morte, tutti siamo cambiati.
Sono quattro mesi che non viviamo. Sono quattro mesi che troviamo modi differenti per poter vivere. Io non
ci riesco, loro c'è la fanno. Io sto morendo, non riesco più a vivere.
Tu mi hai distrutto.
Mi ero ripromesso di non provare sentimenti per nessuno, invece mi sono innamorato, mi sono
dannatamente innamorato di te.
Tu brutta bastarda sei morta, mi hai lasciato solo. Tu mi illuminavi le giornate, ora mi hai distrutto la vita.
Hai prosciugato la mia anima, dalla luce che eri riuscita a instillarci.
Hai distrutto la corazza che mi proteggeva, dal mondo esterno.
Ti ho perso, voglio distruggere il mondo, mi sono dovuto allontanare proprio per questo.
Vorrei dire basta come hai fatto tu, ma se muoio anche io, la tua morte non è servita a nulla. Dovevo morire io, dovevi salvarti tu. Io sono nato per morire tu eri nata per vivere.
Annuso l'aria, c'è odore di sangue, qualche bestia carnivora, come me, avrà fatto razzia di corpi caldi.
Volto il mio sguardo in mezzo al bosco e vedo un cervo che annusa la neve.
In un attimo gli sono addosso, mi avvento sul suo collo. Mi sporco tutto il muso di sangue, del sangue e della carne succulenta di questa povera bestia.
Ecco Layla, ecco chi sono realmente, una bestia, un mostro creato da tutte le persone che prima ho amato e poi mi hanno lasciato.
Mi allontano velocemente dal corpo privo di vita e mi accascio a terra tornanco alle mie reali sembianze, mi guardo le mani sporche di sague. Erano quattro mesi
che non tornavo umano.
Questo Layla, questo è il mio potere demoniaco, quello che nessuno ha mai visto, apparte Andy. Sono un
mutaforma, Layla, sono una tigre, un mostro senza pietà.
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