Capitolo 4


«Eren» lo guardò. «Mi piaci» dichiarò convinto afferrando il colletto del ragazzo baciandolo. Non si accorse, però, che Jean e Marco erano dietro la porta. Eren gli accarezzò i capelli per poi staccarsi da Armin. Si fissarono per qualche secondo in silenzio. L'atmosfera era piuttosto imbarazzante. Il biondo arrossiva sempre di più ogni secondo che passava.

«Armin...». Eren piegò la testa senza smettere di accarezzarlo.

«S-sì, Eren?». Il suo viso da bambino si fece tutto rosso in un batter d'occhio. Mollò la presa del colletto per reggersi alla giacca dell'uniforme dell'amico. Eren sospirò.

«Da quanto tempo volevi dirmelo?». Armin lo guardò stupito. Quindi se n'era accorto? Per tutto questo tempo aveva fatto finta di niente? Non era da lui. Quando notava una cosa, la faceva subito presente. «Da tanto, immagino...».

«Eren, io...». Il castano lo zittì subito stringendolo a sé.

«Armin...» iniziò facendo arrossire ancora di più il biondo che aveva già le lacrime agli occhi: pensò che finalmente il ragazzo che tanto desiderava fosse stato suo. «Mi dispiace...» disse soltanto.

«Per caso c'entra il professor Levi?» chiese Armin stringendosi ancora di più all'amico. Non voleva che Eren lo vedesse piangere.

«Il professore? Che stai dicendo, Armin? Certo che no...».

«Ogni volta che ti guardava, arrossivi subito. Ed è solo il primo giorno...cosa farai domani? E nei prossimi giorni?».

«Io che arrossisco? Quando mai!» ridacchiò Eren. Il biondo non rispose. «Tornando a prima, Armin...».

«Ho capito. Non devi ripeterlo» gli disse staccandosi con forza dal ragazzo. «Ormai ti conosco, Eren. Non penso ti noterà, ma buona fortuna comunque! Faccio il tifo per te! Come ho sempre fatto...». Corse via lasciando Eren lì, immobile, senza aver avuto modo di fermarlo. Cadde a terra.

«Stava piangendo...» sussurrò. Abbassò la testa fino a far toccare la fronte al pavimento. «Mi odierà...mi odia...». Qualche lacrima iniziò a scendergli. «Perché sono così stupido?!» esclamò alla fine battendo il pugno in terra.

La campanella suonò ed Eren era ancora in bagno. Non sentì nemmeno il rumore di passi che si avvicinavano a lui.

«Ehi, la campanella è suonata. Torna in classe, moccioso» lo avvertì una voce da adulto. Il ragazzo alzò la testa.

«Professore...». Si asciugò velocemente le lacrime. «Mi scusi, ci vado subito...» gli disse alzandosi.

«Fermo». La tristezza di Eren non passò di certo inosservata agli occhi di Levi. «Stavi piangendo. È successo qualcosa?». Il ragazzo non lo guardò. Appena mise un piede avanti, il professore gli afferrò il braccio costringendolo a fermarsi. «Se non è una cosa grave non lo dirò al preside; se invece lo è, sarò costretto a dirlo. Quindi dimmi che ti è successo almeno ti faccio tornare in classe».

«Ho solo litigato con il mio migliore amico...» rispose Eren a voce bassa.

«Com'è finito questo litigio?».

«L'ho fatto piangere e penso che ora mi odi...solo perché sono uno stupido...». Il ragazzo strinse il pugno. Si stava per rimettere a piangere, ma non lo fece: non aveva mai pianto di fronte a nessuno perché voleva sembrare forte, anche nei momenti in cui si sentiva morire dentro.

«È tutto?».

«Sì, prof...». 

«Sicuro?». Levi sapeva che Eren voleva dirgli altro, magari sfogarsi.

«Non le devo dire altro, prof».

«Va bene. Per qualsiasi cosa, vieni in vice-presidenza».

«Grazie, prof». Finì così la loro conversazione. Il ragazzo tornò in classe senza guardare in faccia nessuno. Levi, invece, venne fermato da Hange.

«Levi! Che ci fai nel bagno degli studenti?» gli chiese appoggiandosi al cornicione della porta.

«Uno studente non si sentiva bene. Ora devo tornare in vice-presidenza» rispose andandosene.

«Ora ho la 1°E...terrò a bada Jaeger e Kiristein!».

«Buona fortuna, Hange» la salutò con la mano. La donna ricambiò.

Appena entrata in classe, tutti si sedettero: stavolta avevano riconosciuto la professoressa.

«Buongiorno ragazzi! Mi chiamo Hange Zoë e sono la vostra nuova insegnante di scienze!» disse un'aria di gran fierezza. Dopo aver fatto l'appello, fece fare agli alunni un test d'ingresso per vedere le loro conoscenze.

«Mi scusi, ma cos'è sta roba? Io non l'ho mai studiata!» si lamentò Connie cercando di decifrare quel linguaggio a lui sconosciuto. 

«È perché non hai mai studiato, Connie...» ribattè Sasha. Andavano nella stessa classe quando erano alle medie. Il ragazzo copiava a ogni verifica, per questo l'avevano promosso.

«Tranquilli, ragazzi. Fate solo quel che vi riesce» rassicurò l'insegnante. Il test iniziò e Hange ne approfittò per controllare le schede degli alunni. Essendo studenti scelti personalmente dal preside, dovevano essere in qualche modo speciali.

Se ne stava seduta, tranquilla, con i suoi occhialini che usava durante le lezioni di equitazione che teneva in un maneggio lì vicino sulla cattedra. Era talmente concentrata che non vide Armin davanti a lei.

«Professoressa, ho finito il compito» annunciò consegnando il foglio. Gli cadde l'occhio sui documenti che stava consultando. «Scusi la domanda, ma cosa sono quelli?».

«Sono cose della scuola, niente che interessi a voi alunni» rispose guardando l'orologio. «In mezz'ora hai già finito il compito? Sei veloce, Arlert...». Prese il compito e lo controllò: nemmeno un errore. Rimase stupita. Subito dopo, anche Marco lo consegnò. Gli altri finirono al suono della campanella. L'ultimo a dare il compito era stato Eren.

«Professoressa, alcune cose non le ho ben capite...ho lasciato delle risposte in bianco» si scusò. Hange lo prese per un braccio e lo tirò a sé.

«Che ne pensi di Levi, Eren?» gli chiese all'orecchio. Il ragazzo arrossì.

«I-il professore? E' severo e...». Hange lo interruppe.

«Non è quello che volevo sapere. Ti piace?». Arrossì ancora di più. Non riuscì a rispondere. «Non ti ha catturato con quello sguardo? E quella voce?».

«P-perché tutte queste domande?» domandò Eren imbarazzato. L'insegnante sorrise maliziosamente.

«A me puoi dirlo, Eren. Non ti mangio mica!» le scappò una piccola risata. Alla fine lo lasciò andare. «Vieni in sala professori qualche volta, magari posso darti qualche consiglio». Il ragazzo la guardò impaurito, in un certo senso.

«Che consigli, Jaeger? Su come non avere la testa fra le nuvole durante le lezioni?» lo prese in giro Jean.

«Dai, Jean...». Marco cercò di allontanare il suo amico.

«Non sono affari tuoi, Kiristein» lo provocò Eren.

«Non sono affari miei, eh?». Jean, irritato dalla risposta, sferrò il primo pugno. Mikasa non ebbe nemmeno il tempo di girarsi che Hange si era messa in mezzo ai due.

«Vuoi beccarti una nota il primo giorno, Kiristein?». Quando la professoressa si arrabbiava, era davvero spaventosa al punto da mettere i brividi agli alunni, che si sedettero subito. Per questo tutti i suoi studenti stavano zitti durante le sue lezioni.

«Cos'è questa confusione?» chiese una voce maschile.

«Non avevi delle cose da fare, Erwin?».

«Ho già parlato con Levi, se intendi quello». Posò la sua borsa nera sulla cattedra.

«No, aspetta, che ci fai qui?». Hange proprio non capiva.

«Non hai letto l'orario scolastico? Questa è l'ora di matematica e io sono il professore» rispose come se fosse la cosa più ovvia. La donna sospirò.

«Dovevo immaginarlo, siccome questi ragazzi li hai scelti tu...» prese la sua borsa, salutò gli studenti e uscì dalla classe. Nessuno aveva capito cosa fosse successo, ma non ci fecero caso. Erwin avvertì che alla fine dell'anno si sarebbero sfidati con la scuola del quartiere accanto.

«Intende la Liberio?» chiese Ymir ad Annie a bassa voce. Annuì.

«Che giorno, di preciso?» chiese Reiner.

«Ancora non si sa, ma sarà di sicuro a marzo» rispose.

«Che classe dovrà sfidarla?» domandò Sasha.

«Voi». La classe rimase in silenzio. «Qualcosa non va?».

«No, prof...in cosa bisogna sfidarli?» chiese Armin.

«Nei club a cui vi iscriverete» rispose. «A proposito, ho già visto che alcuni di voi hanno già aderito ai club. Quando tutti voi ne avrete scelto uno, vi comunicherò i dettagli delle sfide» spiegò.

«Quindi sapremo in anticipo su cosa si baseranno?». Mentre tutti facevano domande, Eren non faceva altro che pensare a come scusarsi con Armin. Ci teneva alla sua amicizia. Il biondo fece altrettanto. Entrambi provarono a non guardarsi, senza successo.

I ragazzi continuarono a fare domande fino al suono della campanella. Seguirono altre due ore di lezione. Dopo la scuola, ci fu la presentazione dei diversi club. Lì, gli studenti decisero dove iscriversi. Le attività sarebbero iniziate il giorno dopo per i primini che non avevano ancora aderito. Alla fine della giornata, Eren non si era ancora scusato con Armin.

«Eren» lo chiamò Mikasa sedendosi sul letto del fratello. Non rispose. «Eren». Ancora niente. Gli tirò una pacca sulla spalla. «Eren». Il ragazzo aprì gli occhi e si alzò mettendosi accanto alla sorella.

«Che c'è, Mikasa?».

«Ti vedo assente. Qualcosa ti turba?». Abbassò la testa. «E' da dopo l'ora di ginnastica che non parli con Armin. Avete litigato?». Sussultò.

«In un certo senso sì...l'ho fatto piangere...».

«Non ti sei scusato?».

«No...».

«Perché?».

«Perché sono un stupido che non capisce cosa provano gli altri, ecco perché...» Eren strinse i pugni.

Nei giorni seguenti, il ragazzo non riuscì a scusarsi.

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