6. Bulletproof (no, I'm not)

Selene frignò, affondando la faccia nel cuscino e cercando di coprirsi le orecchie per quanto possibile. La musica a tutto volume però risuonava dalla stanza di Maggie, percepibile persino dalla Corea, rendendole impossibile qualsiasi altra azione.

Le note di Red (Taylor's Version) avevano inondato quell'appartamento già di prima mattina, quando Maggie era tornata da casa di Max come una furia, annunciando alla sua miglior amica di aver discusso con il suo ragazzo.

Il motivo era sconosciuto, tuttavia Selene sperava che non si trattasse di qualcosa di grave.

Ma non tanto per i sentimenti dei suoi amici, no.

Per le sue povere orecchie, che stavano ascoltando le stesse sei canzoni in ripetizione da ore ed ore.

Non potendo più sopportare l'ascolto di Stay Stay Stay, che le aveva fatto venire l'orticaria, afferrò il proprio cellulare, andando diretta sul contatto del pilota. Lo lasciò squillare senza nemmeno controllare.

Alzò il volume di chiamata al massimo e, quando Max rispose, non ebbe bisogno nemmeno di parlare. La melodia ci pensava già da sé.

«Oh no, siamo passati all'artiglieria pesante» fu la prima affermazione dell'olandese, non appena accettò la telefonata.

«Lascia perdere, ho sentito più volte Treacherous oggi che in tutta la mia vita» commentò lei, portandosi il cellulare alle labbra. «Hai capito, disgraziato? Qualsiasi sia il motivo della vostra litigata, vieni qui e risolvilo, perché mi si sono fracassati i cogl...»

«Eh eh eh, linguaggio!»

«Senti, brutta testa di cazzo, non mi interessa, porta il tuo culo qui e vieni a parlare con Maggie, perché ti giuro che se sento un'altra volta The Last Time do di matto!»

«Pensavo ti piacesse Taylor Swift!»

«Mi piace infatti, ma se devo ascoltare in ripetizione sempre gli stessi pezzi, piuttosto preferirei avere un'incudine, poggiarci sopra i miei zebedei e cominciare a colpirli con un martello bello grosso!»

Max rise leggermente. «Arrivo»

«Ti conviene sbrigarti, perché ti ammazzo altrimenti»

«Sempre gentile tu»

«Muoviti, retrasado mental»

E Max effettivamente si mosse. Non ci volle molto prima che finalmente si presentasse alla porta di casa Soler-Fernandez, con in mano un mazzo di fiori.

«Attento» gli consigliò Selene, una volta fattolo entrare, indicando le rose gialle, tenute insieme da un nastrino di raso. «Se la fai incazzare di più, userà queste spine come arma letale e ti reciderà le vene»

«Fammi capire, è una situazione reale o una tua fantasia sessuale? No perché devo sapere»

«Le mie uniche fantasie sessuali includono te legato in una cantina ed appeso a testa in giù, tesoro, quindi no...» Selene tornò poi seria, indicando con un cenno del capo la porta della camera della rossa. «Risolvi con lei, Maxie, ve lo meritate»

«Lo so, lo so... e non ti preoccupare, grazie ancora!» le gridò quasi. In uno scatto, fu già vicino all'uscio ligneo della stanza di Maggie, bussando e cercando di sovrastare il suono incessante dell'album di Taylor Swift.

Ignorando lui e la sua ultima affermazione, Selene si concentrò sul proprio cellulare, notando la mancanza di messaggi da parte di Lewis per quella giornata. Non poté fare a meno di sentirsi triste, tanto si era abituata a conversare con lui.

Da quella sera in spiaggia erano passati diversi giorni e di lì a breve Max e Lewis sarebbero partiti per raggiungere il Giappone. Domenica 9 ottobre si sarebbe infatti svolto il Gran Premio, ma né lei né Maggie sarebbero state presenti. Peccato, perché a Selene sarebbe piaciuto, ma senza la sua migliore amica non sarebbe andata da nessuna parte.

E poi...

Di lì a qualche ora avrebbe dovuto incontrare sua madre.

La attendeva un'altra delle meravigliose riunioni di famiglia che tanto amava, una di quelle per cui avrebbe fatto di tutto pur di essere presente, una di quelle che le riempivano il cuore di gioia.

Poteva scoppiare, per quanto era contenta.

Sì, certo...

Magari scoppiare.

Ma non per la gioia.

Ci sarebbe stata anche sua sorella, quel giorno. E Selene lo sapeva perfettamente che quando c'era Emilia, lei non esisteva. Era la persona migliore, la sorella bella, la sorella intelligente, quella che si era data da fare con i numeri e non con inutili chiacchiere di persone morte da chissà quanto, quella che aveva avuto una figlia e aveva un fidanzato, quella che non veniva lasciata da ogni singola persona che avesse mai amato.

Emilia era tutto ciò che lei non era.

Emilia era tutto e lei non era niente.

I'm sorry if I'm not enough, erano le parole che le venivano in mente ogni volta che si ritrovava a pensare alla sua famiglia. Perché alla fine era quella la verità...

Non era mai stata abbastanza per loro. Non li aveva mai resi fieri. Non aveva mai dato loro nessuna opportunità per vederla per quello che era davvero e così aveva finito per ritrovarsi ad essere un esile filo d'erba nella vasta distesa che invece era sua sorella.

C'era una cosa che Max diceva sempre, che a Selene faceva venire i brividi ogni volta: "Le persone traumatizzate hanno qualcosa in più perché sanno di poter sopravvivere".

Sì, forse era vero, ma a volte un taglietto con la carta fa molto più male di una coltellata allo stomaco. E quello lui avrebbe dovuto saperlo bene...

Avevano ferite compatibili, lei e Max, provocate da coloro che invece avrebbero dovuto essere il loro posto sicuro. E forse, in un modo un po' strano e contorto, era stato l'incessante desiderio d'amore che provavano ad averli resi così legati l'uno all'altra.

Il dolore è un ponte più saldo di quanto si possa anche solo lontanamente immaginare.

E il cuore di Selene dolse un altro po' al momento di uscire di casa, quando Maggie e Maggie, forse troppo impegnati a risolvere i loro litigi di coppia, non vennero neppure a salutarla. Certo, avrebbe potuto farlo lei, ma non voleva disturbarli.

Era così bello che la sua migliore amica fosse finalmente felice che lei non aveva il coraggio di portarle via quel tempo prezioso. Anche se ciò significava dover rinunciare alla compagnia dell'unica persona che per lei contava più del mondo stesso.

Con un groppo in gola, controllò per l'ultima volta il proprio cellulare. Quando lo trovò ancora privo di messaggi da parte di Lewis, si decise a spegnerlo. Era un po' arrabbiata con lui, doveva ammetterlo.

Perché, con le sue promesse e i suoi stupidi modi gentili, le stava iniziando a far credere di poter avere un'altra occasione, che i mesi, gli anni, che aveva sprecato alla ricerca dell'anima gemella non fossero stati vani. E lo odiava per questo.

Lo odiava perché le stava dimostrando di star sbagliando a vedere il mondo soltanto con il buio negli occhi.

Persa nei propri pensieri, si incamminò fino a quella specie di bar/ristorante che sua madre le aveva indicato, a momenti si fece persino investire, ma non le importava. L'obiettivo era continuare a ripetere che poteva farcela, che poteva resistere ai commenti duri e devastanti di sua madre, suo padre e sua sorella. Che ne sarebbe uscita ancora più forte.

Il sarcasmo era l'unica arma che le aveva sempre permesso di difendersi, così aguzzo, così beffardo, così potente contro le debolezze degli altri. Era lo strumento perfetto per chi, come lei, era insicuro, per chi aveva paura di essere ferito.

È meglio distruggere gli altri che disintegrare sé stessi, dopotutto.

Quando individuò sua madre, seduta in un tavolo ovviamente riservato, non poté fare a meno di trattenere il respiro, stringendo la tracolla della borsa tra le mani sudate. Emilia ovviamente sedeva alla sua destra e suo padre alla sua sinistra.

Per un solo secondo considerò l'idea di girare i tacchi ed andarsene, di piantarli in asso. Ma poi... poi le vennero in mente le parole che Lewis le aveva rivolto quel giorno in hotel. Sei tu la padrona di te stessa, poi aveva aggiunto Non aver paura delle conseguenze - e quelle maledette dodici parole erano state la sua rovina.

Così, facendosi coraggio, si avvicinò alla sua famiglia e rivolse loro un breve saluto. Subito, venne squadrata da sua madre dal basso verso l'alto, come se i suoi occhi potessero farle una radiografia.

Calma, Meredith Grey, non poté fare a meno di pensare, sospirando.

Si accomodò sulla sedia rimasta vuota e non fece nemmeno in tempo a sedersi che la fatidica domanda le venne posta.

«Stai rispettando il regime alimentare che ti abbiamo fatto creare, Selene? Sembri aver messo su diversi chili dall'ultima volta in cui ci siamo visti»

Reprimendo quell'orribile bisogno di andare in bagno, la corvina scosse il capo. «Non sono ingrassata»

«Non sembra»

Forzando un sorriso, si costrinse a rimanere calma: era una linea sottile quella tra la pazienza e la rabbia feroce e non avrebbe mai voluto camminare su un filo di quella portata, specie se Maggie non era lì a calmarla e tenerle la mano.

«Allora...» incominciò, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Forza, sputate il rospo. C'è un motivo se mi avete chiamata qui, no?»

«Emilia ci ha detto che ti hanno lasciata»

La frase si era interrotta lì, eppure Selene sapeva che mancasse una piccola parola. Un ancora non pronunciato, un ancora velato al punto giusto da essere perfettamente riconoscibile, un'accusa perentoria, destinata a scavarle un nuovo foro nel petto.

La colpa era sua, le stavano dicendo implicitamente.
E neanche troppo.

«Sì, ho rotto con Samuel»

«Motivazione?»

«Desiderio di due cammini di vita differenti» si limitò a spiegare. «Non era destino»

«Non è colpa del destino, Selene, lo sai bene»

«Che cos'è, allora papà, mh?»

«Sei tu il problema» fece sua sorella, il naso talmente rizzato, per non sentire quella solita puzza che sembrava albergarle addosso, che sembrava un gancio per pescare. «Non hai nessuno accanto»

In un impeto, prima ancora che potesse collegare il cervello e produrre un pensiero razionale, la sua bocca parlò. «Ti sorprenderà, cara sorella, sapere che invece sto uscendo con una persona»

«Ah si? E chi?»

«Un amico del ragazzo di Maggie»
Se Max avesse saputo che aveva definito Lewis Hamilton un suo amico, probabilmente l'avrebbe sgozzata in quel preciso istante.

«Oh, si?»

«Sì»

«Perché non ce lo fai conoscere, allora?»

«Voglio risparmiargli la tortura di fare la tua conoscenza, Emilia»

«Sei sempre così carina, Selene, grazie»

«Niente da dire, sorellina» mormorò. «Mi piaci così tanto che ti applaudirei per ore...»

Con la tua testa in mezzo e due mattoni in mano.

«Selene» la voce gravosa di suo padre la richiamò. La spagnola non fece neppure caso al tono deluso con cui le si rivolse, ci era abituata ormai. «Non parlare così a tua sorella»

Oh, quello non era niente! Se avesse saputo come si rivolgeva a Max di solito, di che cosa parlavano e delle battute che facevano, probabilmente gli sarebbe venuto un mezzo infarto. Forse pure intero.

«Quindi... quando ci farai conoscere questo fantomatico ragazzo?»

«Mai»

La risposta fu istantanea.

Non era nemmeno una bugia. Se fra lei e Lewis fosse nato un rapporto più grande di quello che per ora sembrava essere, sicuramente non l'avrebbe rovinato costringendolo a conoscere alcune delle persone più odiose di quel pianeta. Non era così stupida da boicottare una cosa bella. Non per colpa loro almeno.

Fece per aggiungere altre parole, una composizione imperfetta di elementi sintattici, ma venne interrotta dallo squillo del cellulare di suo padre, che prese a suonare ripetutamente.

«Pff» mormorò sua madre, altezzosamente. «Le onde elettromagnetiche fanno male al cervello, caro, tienilo lontano dalle orecchie»

«Non c'è pericolo qui, che con voi sparano a vuoto» borbottò Selene sottovoce, scuotendo il capo.

«Cos'hai detto, Selene?»

«Niente, mamma, niente»

Con somma disperazione della ragazza, quella sottospecie di appuntamento familiare durò per più di quanto si aspettasse. Aveva considerato come tempo massimo un'ora, massimo due, ma non tre e mezza.

Che poi, non erano state neppure tre ore produttive: si era limitata a ricevere commenti su commenti, a rispondere anche in maniera piuttosto rude, ma anche e soprattutto a venire ferita dalle coltellate dei suoi genitori.

Tutto nella norma, insomma.

Beh, almeno fino a quando Emilia intavolò l'argomento 'studi'. Lì sì che si scatenò il putiferio.

«Ricordami, Selene, cos'è che studi tu?» le domandò suo padre, terminando di scrivere un messaggio sul proprio cellulare ed afferrando il manico della tazzina con il caffè che aveva ordinato, portandoselo alle labbra.

«Mi sono laureata, papà...»

«Sì, certo, come ho fatto a... sì, ovvio, la tua festa!»

«Non ci siete venuti alla mia laurea» lo corresse, le iridi verdi impregnate di un dolore sordo. Qualcosa nel suo petto fece male, davvero tanto.

«Ah»

Subito scattò in piedi, il cellulare ben stretto tra le mani. Senza dire una parola, si diresse verso il bagno, dove poté riaccendere il dispositivo. Milioni di messaggi da parte di Maggie la inondarono, seguiti a ruota da un centinaio di Max. Solo un nome le fece vibrare il cuore, riuscendo già a risollevarla.

Lewis.

Si affrettò ad aprire la chat, trovando messaggi risalenti anche a tre ore prima.

Ti ho appena visto sederti al tavolo con tre persone! Tu non mi hai visto ma ci sono anche io in questo locale. Ti va di fare una passeggiata poi? Ti aspetto!!

A distanza di un'ora una nuova frase. Hai una faccia strana, sei felice di essere lì? Se vuoi ce ne andiamo insieme!

Infine, quello risalente a pochi minuti prima. Hey hurricane, stai bene?

Asciugandosi quell'unica lacrima ad esserle sfuggita, controllò che il suo mascara fosse comunque intatto. Nel frattempo digitò una risposta: Sei ancora qui?

Dove altro potrei essere, hurricane, se non insieme a te? 👀

GG boomer, gli scrisse, scuotendo il capo. Un sorriso le era comparso in volto. Stai aspettando me?

Mi pare di avertelo già detto, bella, no? Certo che ti aspetto

Le guance di Selene divennero rosse all'istante. Possiamo andare via? Odio la mia famiglia

Andiamo insieme?

Certo che possiamo, hurricane! Poi ne parliamo, va bene?

Va bene 🤍

Mordendosi il labbro inferiore, Selene si poggiò il cellulare contro il petto, non potendo fare a meno di sentirlo battere all'impazzata.

«C'è la cavalleria» sussurrò piano, quasi sognante. Sembrava una ragazzina alle prese con la prima cotta.

Quando tornò nella sala, la prima cosa che vide fu Lewis prossimo al tavolo dei suoi genitori. Non ne capì le intenzioni almeno fino a quando, passando di fianco ad Emilia, il pilota casualmente inciampò. Senza motivo, inciampò e basta, ed il contenuto scuro della tazza che aveva in mano andò a rovesciarsi interamente sul completo bianco di sua sorella, che prese a strillare.

Selene spalancò la bocca, aprendola in una grande 'O'.

Trattenendo una risata, piantò gli occhi colmi di ammirazione sull'inglese. Notandola lì ad osservare, Lewis le rivolse un occhiolino, mimando con le labbra la parola hurricane, uragano, e costringendola a sorridere.

«Sei pazzo»


«I miei ovuli hanno appena scritto il tuo nome, sappilo!» sentenziò, non appena Lewis le fu accanto fuori dal locale.

Il pilota si mise a ridere, rivolgendole un'occhiata buffa. «Grazie? Penso»

«Ohh fidati, sono io che devo ringraziare te! È stata la soddisfazione più bella della mia vita!»

«Ci tenevi così tanto?»

«A vederla strillare di rabbia? SI» esclamò, sistemandosi la tracolla della borsa sulla spalla.

«Contento di averlo fatto, allora!»

«Sei ufficialmente diventato il mio eroe!» lo informò, ridacchiando e prendendo a camminare. Era sicura di aver preso tutto dal tavolo, eppure... eppure si sentiva come se mancasse qualcosa.

Capì di cosa si trattasse non appena il suo sguardo cadde su Lewis.

«Tutto bene, hurri

Senza rispondergli, gli si avvicinò soltanto, aggrappandosi al suo braccio ed applicando una leggera forza. Riuscì a fargli abbassare la testa, portandola all'altezza della propria, e gli schioccò un bacio sulla guancia, indugiandovi per un secondo in più.

Con gli occhi più dolci che Lewis avesse mai visto, Selene si strinse teneramente nelle spalle.

«Grazie, guapo»

Grazie di avermi teso la mano.

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