26. The Brazilian Getaway Car

Non ci volle molto prima che la porta di casa Soler-García Fernandez si aprisse, costringendo Lewis a fremere.

Sarebbe stato impossibile negare il profondo desiderio che sentiva di svegliarsi in quel momento, trovandosi Selene accanto con in volto quel sorriso meraviglioso che aveva.

Ma non era un film quello, purtroppo.

C'era Maggie lì, davanti a lui, l'espressione più preoccupata che avesse mai visto.

«Posso entrare?»

«Certo, vieni pure»

E così dicendo, la rossa si spostò al lato della porta, la mano appoggiata al bastone, avvolta in quella che Lewis individuò essere la giacca RedBull del fidanzato.

Anche Selene avrebbe dovuto indossare la sua felpa.

«Lewis, che sta succedendo?»

Max comparve dietro la ragazza, salutandolo con un cenno del capo. «Dov'è Selene?» domandò, guardandosi intorno, forse speranzoso di vederla sbucare fuori da qualche parte.

«Da quanto tempo non è più qui?»

«Cinque giorni, ma...» Maggie esitò, non riuscendo a trovare le parole giuste. «Pensavo che fosse tornata da te, a dire il vero, o che comunque avesse trovato un posto sicuro! Non l'ho chiamata perché ero certa che non volesse parlarmi!»

«Tutto il contrario, invece» le spiegò, sollevando piano le spalle. «È stata da Charles per una notte e poi se n'è andata»

«Charles?» Max sgranò gli occhi. «Charles come in Charles Leclerc?

Lewis annuì. «Ci ha scoperti un bel po' fa e da quel momento quei due sono diventati particolarmente amici, quindi ero convinto che anche se non fosse stata qui almeno avrebbe avuto un luogo in cui riposare, ma... è tornata da Sam, ragazzi»

«Maledizione» imprecò Max, aggiungendo sottovoce una serie di insulti in olandese.

«C'è di peggio»

«Oh no» Maggie prese a scuotere il capo. «No. No. No, non stai per... no»

Invece sì.

«Lo... lo sposerà. Ho visto l'anello...»

«Che possiamo fare per fermarla?»

«Non lo so, ma... ho provato a chiamarla prima, mi ha risposto Sam. Ha detto che "avevano un viaggio da fare", perciò...» Lewis si interruppe, deglutendo. «Ho una strana sensazione»

Ci pensò l'olandese a dare vita a tutti i pensieri negativi che gli circolavano per la testa. «Stanno andando in Brasile, non è vero? Stiamo pensando la stessa cosa»

Maggie si appoggiò alla parete, buttando indietro la testa. «Quanto tempo fa hai parlato con Sam, Lewis?»

«Massimo due ore»

«Vuol dire che l'avrà fatta salire sul primo aereo possibile, accidenti»

«Andiamo a riprenderla, allora!» sentenziò Max, allargando le braccia. «Che altro possiamo fare, meisje

«Non lo so, Maxie, non lo so»

Lewis si portò la mano destra tra i capelli, incerto se parlare o meno. Poi, quando vide l'espressione preoccupata dei due ragazzi, prese coraggio. «Temo che le abbia messo le mani addosso, a giudicare dal modo in cui l'ha trattata quando li ho incontrati»

«Le ha fatto COSA?!» Max scattò in avanti, la furia che ora scintillava nelle sue iridi azzurre. Poi sembrò riflettere sulle parole che aveva appena sentito. «Cioè aspetta, tu l'hai incontrata?!»

«Sì»

«E NON L'HAI FERMATA?!»

«Max...» Maggie lo richiamò, aggrappandosi al suo braccio e scoccandogli un'occhiataccia. «Non urlare, per favore, possiamo parlare come persone normali, ricordatelo»

«Meisje, forse non capisci... l'ha incontrata e non ha fatto nulla per bloccarla!»

«Lo so, lo so, però non puoi arrabbiarti con lui» lo interruppe, posandogli le mani sulle spalle e lasciando il bastone indietro. Tornò a voltarsi verso l'inglese, con fare molto più apprensivo. «Hai provato a richiamarla?»

«Sì, ma suppongo che Sam mi abbia bloccato, non squillava più»

«Ora ci provo io»

Ma anche in quel caso la chiamata non partì nemmeno e Maggie si ritrovò a sbuffare, desiderosa di sbattere la testa da qualche parte. «Liefde, provaci tu» (amore)

«Niente neppure io»

Lewis sospirò. «Il vostro gruppo sarà tutto bloccato, immagino... Charles lo stesso, quindi suppongo che non ci sia altro che...»

Fu allora che Maggie ebbe l'illuminazione. «TOM!» gridò, scusandosi poi con Lewis con lo sguardo per averlo interrotto.

«Che c'entra To...»

«Pensaci, Max! Tom non ha mai dato il suo numero a Selene, semplicemente perché Victoria ce l'aveva già, e tua sorella basta per decenni. È lui la nostra soluzione! Chiamalo, per favore!»

Lewis avrebbe voluto baciarla per quanto era speranzoso, ma si trattenne di fronte all'espressione corrucciata di Max. «Che succede?»

«Sono in aereo, Mags. Sono partiti un'ora fa per tornare dal viaggio in Australia...»

«Quando atterrano però possiamo...»

«Ci vogliono venti ore, kleine, solo per raggiungere Amsterdam. Dovranno volare fino a qui»

«È l'unica cosa che possiamo fare, però. Se non ricordo male, una volta Len mi ha detto che da Nizza a Brasilia ci vogliono circa quindici ore di volo. Supponendo che siano già partiti, avranno un po' di vantaggio, sì, ma almeno non rischieremo di non beccarla!»

«Speriamo»

Lewis si ritrovò ad annuire.

Speriamo.

Speriamo davvero.





Selene osservò Sam rispondere al suo cellulare senza nemmeno tenerla in considerazione.

Un'altra crepa le si aprì nel cuore, dilaniandola ancora ed ancora: la stanchezza che provava riusciva a sentirla nelle ossa, memorandum di tutte le decisioni sbagliate che aveva preso.

Non le piaceva nemmeno il Brasile.

Non le piaceva nemmeno più la persona con cui si trovava lì.

Eppure non riusciva a fare niente, non riusciva a salvarsi - non sapeva neanche da dove cominciare. Aveva sbagliato così tante volte che adesso non sapeva trovare il capo del gomitolo, perso chissà dove nel mare di sofferenza che la circondava.

Perché il dolore era stato silenzioso, non l'aveva sentito arrivare, permettendogli di frantumarla quando era diventato improvvisamente il suono più rumoroso nella sua testa.

A chi la doveva la scusa più grande, allora? Nessuno era stato più crudele con lei di sé stessa.

Le piaceva prendersi cura delle persone perché era come se riuscisse a guarire quella parte di sé che avrebbe avuto bisogno di attenzioni, ma non era sufficiente. Non più almeno.

Il tempo l'aveva cresciuta, ma l'aveva anche resa schiava di un passato che continuava a tormentarla, schiava della solitudine. La paura che aveva di rimanere da sola l'aveva costretta a starsene in gabbia, l'aveva obbligata ad affidare il cuore a persone che non l'amavano pur di non lasciarlo autodistruggersi.

Non era vita quella.

Non si meritava niente di tutto quello che le era successo - lo sapeva - ma... come poteva reagire, se adesso da sola lo era davvero?

Sam non l'amava, non l'aveva mai fatto sul serio, si era solo preso a cuore la sua causa e l'aveva portata avanti per pietà: adesso poteva vederlo con chiarezza. E lei... lei non lo amava più a sua volta.

Non quando aveva incontrato una persona che l'aveva fatta sentire viva soltanto guardandola.

«Selene»

Quando alzò lo sguardo dal pavimento, si ritrovò davanti proprio il brasiliano, che le stava porgendo il suo telefono. «Chi è?»

Che succede? Perché mi passa il cellulare? Sono giorni che non mi permette di rispondere.

«L'ospedale, hanno brutte notizie sul tuo Alzheimer»

«Oh»

«Vuoi che ti lasci da sola?»

«S-sì, per favore»

Ma non si trattava dell'ospedale, era impossibile. Mai, neppure una volta, le avevano annunciato delle cattive notizie in quel modo, l'avevano sempre chiamata solo per chiederle di presentarsi personalmente. C'era qualcosa che non andava.

Quando Sam se ne fu andato, si portò il dispositivo all'orecchio.

«Pronto?»

Ci furono alcuni istanti di silenzio prima che una voce familiare la raggiungesse.

«Fengári»

Il cuore le si fermò nel petto.

Poi un'altra voce.

«Zusje»

Smise persino di respirare.

E poi riprese a vivere.

«Cosa... che... che sta succedendo?» riuscì a balbettare, confusa. «Maggie...»

L'unica con cui voleva davvero parlare.

Subito la connazionale sorrise, riuscì a percepirne chiaramente la delicatezza. «Dovevamo pur contattarti in qualche modo, specie visto che quel coglione di Sam ci ha bloccati tutti...»

«Come avete fatto a...? Di chi è questo numero?»

«Mio!» esclamò improvvisamente qualcuno. «Buondì collega, sono Tom!»

«Ma certo... non avevo il tuo numero, io» realizzò, sospirando. Le lacrime le salirono agli occhi, portandola quasi a singhiozzare. «Ragazzi...»

«Selene, devi ascoltarmi attentamente» Maggie ne richiamò l'attenzione. «Non sono arrabbiata con te, non sono nemmeno delusa. Devi credermi! Non ho mai voluto che succedesse niente di tutto questo! Non avrei mai pensato che...» si interruppe, probabilmente perché aveva iniziato a piangere. «Len, sei la mia migliore amica, sei la persona che amo di più al mondo! Sei quella che mi ha salvato la vita, quella che mi ha protetta da ogni cosa, e mi odio per non aver capito quanto tutta questa storia fosse pesante per te! Sono stata un'egoista, Selene, e sicuramente non qualcuno che ti merita, ma... ma, per favore, per favore, anche se non vorrai più parlarmi, se non vorrai più vedermi, torna a casa, ti prego»

«Io... io non ti odio»

«Perdonami, ti prego, per non essere stata l'amica che tu sei stata per me»

Le lacrime ora le rigavano le guance. «Maggie... sono soltanto un fardello, lo sappiamo entrambe... cosa potresti mai volere da me?»

«Non lo sei» le rispose subito l'amica, il tono dolce ma sicuro e serio. «Un fardello è qualcosa che sei costretto a portare con te contro la tua volontà, io ho scelto liberamente di essere parte della tua vita. Questo significa che non sei un peso per me, fengári, e non lo sarai mai»

«Davvero non mi odi?» sembrava una bambina, così spaventata.

«Non potrei odiarti nemmeno se volessi, tesoro mio. Mai e poi mai»

Le sfuggì un singhiozzo, che evidentemente fu abbastanza per portare Max ad intervenire.

«Zusje, mi senti?»

«Sì»

«Mi dispiace per come mi sono comportato con te, mi dispiace per ogni parola sbagliata che ti ho rivolto. Non avrei mai dovuto reagire in quel modo! Non è affar mio con chi scegli di passare il tempo, ed anzi... avevi, ed hai, tutto il diritto di decidere da te. Non dovevi nemmeno pensare a me, non è compito tuo prenderti cura degli altri, tesoro!»

«Ho scelto l'unica persona che ti avrebbe fatto male...»

«Non importa, Maan! Io e Maggie non avremmo dovuto nemmeno farti la predica, non quando non siamo stati gli amici che meriti. Avremmo dovuto supportarti, apprezzarti, farti capire che mai e poi sarai un fastidio per noi, invece ti abbiamo convinta del contrario. Ti abbiamo permesso di andartene e questa è una cosa che non mi perdonerò mai, perché ti voglio troppo bene per lasciarti scappare»

«Max...»

«Torna a casa, Selene, per favore. Torna a casa ed insultami. Torna a casa e prendimi a pugni, se devi. Solo... torna a casa, è tutto troppo vuoto senza di te. Non voglio vivere in un mondo in cui tu non ci sei»

Scoppiò a piangere definitivamente.

«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace» sussurrò piano. «Vi prego, perdonatemi»

«Non hai nulla di cui scusarti, Len» aggiunse Maggie. «Nessuno di noi qui pensa che tu abbia fatto qualcosa di sbagliato! Hai avuto i tuoi motivi per tenere nascosta quella storia, uno dei quali siamo noi. Non ti abbiamo messo nella condizione di fidarti di noi, ci siamo concentrati soltanto sulla nostra relazione e ti abbiamo tagliata fuori, ma sappi che non sarà più così. Puoi dirci tutto quello che ti passa per la testa, amore mio, nessuno ti giudicherà mai»

Si sentì Victoria aggiungere: «Siamo il Non-Judging Breakfast Club!», ma venne evidentemente fulminata da tutti i presenti, perché poi parlò ancora: «Che c'è? Sto facendo il rewatch di Gossip Girl!»

A Selene scappò una risata.

«Siete stupendi, amici miei»

«Lo sei anche tu, Selene» le rispose Tom, tornando finalmente a parlare. «E sai cosa penso?»

«Cosa?»

«Che siccome sei laureata in filosofia, puoi capire meglio di tutti cosa sto per dirti. Concordi con me sul fatto che secondo Hobbes l'uomo pondera le sue scelte per base del proprio "egoismo" facendo prevalere l'instinto di sopravvivenza, no?»

«La prima pulsione è l'istinto di sopravvivenza: per l'uomo la vita rappresenta il sommo bene, perché senza di essa non è possibile godere di nessun altro bene; la seconda è la naturale aggressività che spinge ciascun individuo a confrontarsi e a lottare contro gli altri» citò, anche un po' confusa. Tom doveva aver fatto ricerche da niente per averle citato Hobbes.

«Ecco, tu hai scelto il male minore tra le tue opzioni. Hai scelto la strada che ritenevi meno peggio, non puoi incolparti per ciò!»

«Non ho capito un cazzo di quello che avete detto, ma Tom ha ragione!» asserì Max, serio. «Avevi paura di rimanere da sola, Len, ma... con noi non lo sarai mai più. Non mi ti scollerò di dosso, sappilo, non voglio che ci siano più segreti tra di noi! Ti racconterò persino quante volte devo andare a cagare al giorno!»

Selene azzardò una risata. «Non so se vorrò saperlo»

«Ed io te lo dirò lo stesso...» ci fu una lieve pausa. «Ti voglio veramente tanto bene, Len, ho bisogno di te qui»

«Anche io» fece Victoria, subito. «E Tom lo stesso! È orribile tornare qui e trovare solo Max! Io voglio te, questo idiota lo conosco da una vita!»

Maggie fu l'ultima con cui parlò. «Hanno ragione, fengári, il tuo posto è qui con noi. Devi solo dirci cosa vuoi fare, e sappi che verremo a prenderti a piedi, se necessario»

«Io... io voglio tornare da voi»

«Ti stiamo già aspettando, Selene. Siamo qui a braccia aperte, pronti ad accoglierti»

«Devo chiudere con Sam, prima»

«Sei sicura di...?»

«Sì»

Sembrava aver ritrovato una forza nuova, come se sentire le rassicurazioni dei suoi amici le avesse fatto capire di non essere da sola.

Era quasi morta in attesa di qualcuno che le dicesse che non c'era bisogno che fosse perfetta, che era abbastanza e che... e che andava bene così.

Alla fine, erano stati proprio loro quelli a salvarla.

Aveva avuto paura che se avesse abbassato la guardia il mondo sarebbe finito per crollarle addosso, ma finalmente aveva realizzato che non c'era motivo di temere: loro sarebbero stati il suo riparo, il suo rifugio. L'avrebbero protetta per sempre, se avessero dovuto.

E lei non poteva che esserne felice.

«Non sei da sola, fengári»

«Lo so, ci siete voi»

«E saremo qui ad aspettarti, Len. Per qualsiasi cosa... non ti resta che sbloccarci tutti»

«Aspettatemi, ragazzi»

«Sempre»

«Sto tornando»

Maggie la incoraggiò ancora. «Brava piccola! E soltanto una cosa...»

«Sì?»

«Di' a quella sottospecie di Getaway Car brasiliana che può fare lo stronzo quanto vuole, ma i più stronzi qui siamo noi. Nessuno ti porta via da noi e la fa franca»

«Meisje...»

«Sta zitto, Max»

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