0. Chaos
Il silenzio non le era mai piaciuto.
Fin da bambina era sempre stata convinta che la quiete non fosse altro che un errore di sistema, un black-out della natura che aveva ripercussioni terribili sul genere umano.
Non a caso, la camera anecoica del Minneapolis era considerata uno dei luoghi più spaventosi di sempre. Al suo interno, una volta chiusa la porta, si poteva arrivare a percepire il 'suono' dei bulbi oculari che si muovono nelle orbite, il 'suono' delle ossa che sfregano sulle cartilagini, il pulsare del cuore. Il rumore prodotto dal deglutire lì dentro è insopportabile.
Selene non riusciva a capire come potesse essere anche solo accettabile il passare chissà quanto tempo all'interno di una stanza completamente insonorizzata. Cosa c'era di dannatamente bello nel nulla?
Perché era questo che il silenzio era per lei.
Il vuoto.
Una condizione di panico terrificante, una sensazione di dolore e fastidio.
Devastazione.
Odiava il silenzio, sì, ma mai come in quel momento avrebbe voluto un po' di pace. Avrebbe voluto che le voci dei suoi amici smettessero di infastidirla, che nessuna parola di conforto continuasse ad esserle rivolta.
Voleva solo crogiolarsi nel proprio dolore.
C'era qualcosa di così sbagliato in quello?
Si sentiva gli sguardi addosso, a scottarle la pelle all'istante, e non poteva fare a meno di pensare a quanto maledettamente da sola volesse stare.
A quanto volesse piangere.
Dio, perché non volevano lasciarla piangere da sola?
Perché insistevano tutti nel volerle restare accanto? Perché non potevano semplicemente farsi gli affari propri?
Avrebbe tanto voluto gridare, ma non poteva...
Non poteva, perché se gridi sei un pazzo.
Se gridi sei qualcuno che non si sa controllare.
Se gridi... se gridi sei semplicemente malato.
Ferma sul divano del suo salotto, con lo sguardo perso nel vuoto, non sembrava più quella dea che la sua migliore amica amava tanto lodare. Non c'era più niente di quello splendore che l'aveva sempre contraddistinta, non c'era più nemmeno quel suo senso dell'umorismo sfrenato ed incontrollabile.
Era come se una parte di lei se ne fosse andata.
Come se, lasciandola, Sam avesse portato con sé quei pochi frammenti della sua persona che aveva imparato ad amare.
Non c'era rimasto più niente in lei per cui valesse la pena combattere.
E lo sapeva, lo sapeva bene.
Un giorno sarebbe stata corrosa dal dolore, un giorno la sua memoria si sarebbe resettata e sarebbe stata da sola.
Per colpa sua.
Solo per colpa sua.
Per colpa del suo carattere, per colpa della sua personalità terribile aveva perso qualsiasi persona che fosse disposta anche solo a provare ad amarla. Come poteva starle bene una cosa del genere?
Come poteva tentare di volersi bene quando era stata la causa del fallimento di tutte le relazioni che aveva avuto?
Riusciva ancora a sentir risuonare nella sua testa tutti i commenti che le erano stati rifilati in passato.
«Che bella scopata»
«Dio, voglio sfondarti»
«Accidenti, se solo stessi zitta saresti una troia perfetta»
Non si può dimenticare ciò che è marchiato sulla propria pelle con il fuoco. E lei, per quelle stesse persone che tanto aveva amato, aveva speso fin troppo sangue.
You drew stars around my scars, diceva sempre la sua migliore amica al suo fidanzato, citando la canzone Cardigan di Taylor Swift.
Selene avrebbe tanto voluto aggiungere il verso successivo. But now I'm bleeding.
La domanda allora sorse spontanea.
Sarebbe mai stata abbastanza?
Avrebbe mai trovato qualcuno disposto ad amarla per sempre, indipendentemente dai suoi difetti, indipendentemente dal suo carattere e dal suo modo di essere?
Avrebbe mai trovato il Max Verstappen della sua Maggie Soler?
Avrebbe mai ritrovato sé stessa?
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