Call me Gintonic

Ginevra Ferrari era tante cose, figlia unica di genitori separati, una tipica ragazza bella e popolare, una brava studentessa che però non si applicava, una poco di buono, un'alcolizzata, la tipica cheerleader che cerca di ostacolare la nuova arrivata e il bad boy. Ginevra era tante cose tranne che protagonista della sua storia. Avrebbe avuto molto di cui essere felice apparentemente ma non lo era. Era nata da una coppia perfetta sulla carta ma che non aveva funzionato e lei era stato uno sfortunato risultato di quello sbaglio. Adriano Ferrari aveva conosciuto Elif Arslan quando entrambi erano all'apice del loro successo. Lui era un imprenditore molto importante e lei era un'attrice giovane, famosa e molto attraente. I due si erano conosciuti grazie a amici in comune quando la donna era stata invitata al Festival del cinema di Venezia. Era stato subito colpo di fulmine, sei mesi dopo erano diventati moglie e marito, sembravano più innamorati che mai e Ginevra era stata l'aggiunta perfetta per completare la famiglia Ferrari. Purtroppo l'idilio si era rotto dopo il primo compleanno della bambina. La notizia del divorzio finì su tutti i giornali e da lì a poco iniziò la vita da pacco indesiderato della piccola Ginevra. Sarebbe giusto pensare che la madre avesse fatto di tutto per avere la custodia della bambina o che il padre avesse lottato per la custodia ma sfortunatamente avesse perso in tribunale, nulla di più sbagliato. I genitori avevano concordato per l'affidamento esclusivo della bambina alla madre, certo il padre avrebbe comunque dovuto esercitare il dover di genitore ma questo non sembrava un problema che attanagliava Adriano Ferrari. Fu così che Ginevra Ferrari all'età di appena un anno seguì la madre in Turchia e iniziò la sua vita lì. Ginevra era una bambina amata certo, ma non dai suoi genitori. L'unico vero rapporto di genuino affetto lo aveva con sua nonna materna, più che una nonna era una madre per lei. Della sua infanzia ricordava le giornate passate nella cucina della nonna a rubare biscotti appena sfornati o a guardarla cucinare per ore nella minuscola cucina con i mobili antichi e il forno che a volte si accendeva solo con le minacce un pò colorite della nonna. La bambina aveva una cameretta tutta sua in quella vecchia casa un pò dismessa. Quella che era stata la stanza da letto di ben cinque figli ora era la sua ed era così piccola che a volte non ci si credeva che lì ci potessero dormire così tante persone. Sua madre Elif aveva una casa enorme con pavimenti di marmo di Carrara, pareti di un beige così chiaro da sembrare quasi bianco, arredi bianchi e oro. Era tutto così pulito e maniacalmente mantenuto che sembrava impossibile che lì dentro ci vivesse qualcuno, figurarsi una bambina. Sembrava impossibile perché Ginevra non passava nemmeno un'ora della sua giornata in quella casa. La madre era sempre fuori casa o fuori paese, non c'era nemmeno una tata a occuparsi della bambina, sua madre aveva ritenuto più comodo e economico lasciarla alla nonna. La nonna però si occupava volentieri della nipotina riempiendola di attenzioni e affetto, le cucinava tutto ciò che la bambina chiedeva e le insegnava vecchie storie e canzoni della loro cultura popolare. La bambina passava così tanto tempo insieme alla nonna da parlare quasi esclusivamente il dialetto curdo che si parlava in paese, suo padre era rimasto di stucco quando alla prima visita alla bambina non erano nemmeno stati in grado di comunicare, la bambina a stento l'aveva riconosciuto. Ginevra però era stata felice di passare del tempo con quel quasi sconosciuto, le aveva portato così tanti regali che non le sarebbero bastate cinque mani per contarli tutti. Avevano passato una settimana insieme, Ginevra aveva pianto disperatamente quando l'uomo aveva dovuto congedarsi da lei all'aeroporto. L'avrebbe rivisto nelle festività e durante le vacanze estive. Nell'estate dei suoi cinque anni, il giorno prima del suo compleanno lei e la madre si recarono in Italia per partecipare al matrimonio dell'uomo con una donna molto alta e molto antipatica. Almeno così le era  sembrata quella donna bionda e con così tanto profumo addosso che le aveva quasi tolto il respiro. Si chiamava Helena Baschi-Smith, aveva all'incirca dieci anni in meno di suo padre e un figlio tre anni più grande di Ginevra da un precedente matrimonio. Ginevra  avrebbe voluto giocare all'aperto invece di stare lì ferma immobile accanto alla madre in una chiesa in cui si congelava. La cerimonia le sembrava non finire più così si era messa a frugare nella borsetta minuscola della madre, c'erano poche cose, sigarette, una boccetta con un liquido ambrato, qualche monetina e qualcosa di luccicante e rettangolare che attirò l'attenzione della bambina, lo prese e lo tenne in mano. A un certo punto della cerimonia sua madre la chiamò ricordandole che anche lei aveva un compito quel giorno. Insieme a Damiano, il figlio della donna che stava sposando suo padre, doveva portare gli anelli all'altare. Non doveva spostarsi di molto, lei e sua madre si erano sedute in seconda fila abbastanza vicine perché lei potesse assolvere il suo compito. Insieme all'altro bambino si avvicinò all'altare dove i due novelli sposi attendevano di recitare la fatidica formula e infilare gli anelli l'uno all'annulare dell'altra. A pochi centimetri dell'arrivo Ginevra inciampò nell'abito da sposa. Nel farlo l'accendino le sfuggì dalla mano, si aprì e fece capolino una fiamma viva, arancione e pericolosa. Cadde proprio sullo strascico della sposa che prese subito fuoco. Scoppiò subito il panico, mentre tutti gli adulti si agitavano e si prodigavano per spegnere le fiamme, Ginevra guardava affascinata le fiamme che velocemente attaccavano il tessuto. La sposa urlava in preda al panico e si lamentava con il quasi marito della bambina fuori controllo che le aveva rovinato il vestito. Era successo tutto in pochi secondi ma a Ginevra sembrò di vivere la scena a rallentatore. L'unica cosa che la riportò alla realtà fu la calda mano, un pò sudaticcia di Damiano, che la prese per mano e la allontanò da quella scena quasi comica. Uscirono dalla chiesa e si sedettero sui gradini di pietra. Era il quattordici di agosto e faceva così caldo che Ginevra avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì, era una sensazione che non l'avrebbe mai abbandonata. Era stanca e triste, voleva solo ritornare dalla sua nonna e mangiare i biscotti con gli altri bambini del paese. D'un tratto successe qualcosa di inaspettato, Damiano le accarezzò la testa e la rassicurò dicendole che non era colpa sua e non doveva sentirsi in colpa, per addolcire prese una caramella e gliela porse. Ginevra non si sentiva assolutamente in colpa ma accettò di buon grado la caramella. Guardò Damiano e gli sorrise mentre scartava la caramella e se la metteva in bocca. Non aveva mai assaggiato niente di più dolce e delizioso. Quel sapore non lo avrebbe mai più scordato e non lo avrebbe mai più riprovato poiché erano caramelle che si potevano trovare soltanto in Svezia e la fabbrica che le produceva aveva chiuso un anno dopo l'accaduto, o almeno questo era quello che le aveva detto Damiano anni dopo. I bambini non rimasero soli per molto, la sorella del padre di Ginevra, zia Margherita, era uscita per cercarli e quando li aveva trovati sui gradini del sagrato della chiesa gli aveva rimproverati.
Di quella giornata ricordava soltanto che dopo la cerimonia in chiesa si erano spostati in un grande ristorante, con un giardino enorme e una piscina alla quale le era stato intimato di non avvicinarsi. A poco erano però bastati i rimproveri e le minacce. Durante la cena era riuscita a sgattaiolare furbamente via dalla tavola, nessuno le prestava attenzione e lei era stufa di stare tra gli adulti ubriachi e chiassosi. Ormai era buio e non si vedeva quasi niente ma Ginevra voleva giocare e si era ricordata di aver visto un gattino tutto grigio quando erano arrivati al ristorante. Voleva cercarlo e giocare un pò con lui ma non lo trovava da nessuna parte. Si mise allora a correre per il giardino pericolosamente vicino alla piscina profonda e scura. Per la seconda volta in quel giorno inciampò, forse in un cavo oppure un tubo non lo ricordava bene. Si ritrovò in acqua, la piscina era profonda e gelata, Ginevra sapeva nuotare ma non vedeva ad un palmo del suo naso ed era terrorizzata. Gridava in cerca di aiuto e incespicava cercando di tenersi a galla. Con sua sorpresa non fu un adulto a venirle in soccorso ma un bambino di qualche anno più grande. Era suo cugino Filippo, il figlio di zia Margherita. Il caso aveva voluto che fosse uscito proprio in quel momento per cercare un pò di silenzio e pace e invece aveva dovuto soccorrere la cugina. Purtroppo però Filippo non sapeva nuotare ma questo non lo fermò dal buttarsi in acqua e cercare di aiutare la cugina. Nella mente di Ginevra quel ricordo però è piuttosto sfocato, ricorda Filippo che cercava di aiutarla, le urla e Filippo che non si trova perché era sott'acqua e gli adulti nuovamente agitati e impanicati. Ricorda il suono della sirena dell'ambulanza che arriva per Filippo e per lei. Fortunatamente nessuno dei due bambini era grave o aveva subito lesioni. Suo padre era furibondo, l'aveva sgridata e punita, sua madre la guarda scuotendo il capo e diceva che l'avrebbe punita. Damiano la guardava dispiaciuto per lei e Helena scuoteva il capo ma con più disprezzo e rabbia. Ginevra l'aveva fatta proprio grossa e solo in quel momento si sentì dispiaciuta, ma non per tutti loro bensì per suo cugino. Filippo aveva otto anni e anche se era taciturno e solitario le stava simpatico. Temeva che non gli  avrebbero fatti più giocare insieme o che non lo avrebbe più rivisto. Il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno ed era stata organizzata una festa, il primo compleanno che avrebbe festeggiato insieme anche a suo padre. Fu disdetto tutto e gran parte del suo compleanno lo passò a fare i bagagli e aspettare un'aereo che non ne voleva proprio sapere di atterrare e riportarla a casa. Suo padre era partito poche ore dopo per passare la luna di miele con la novella sposa in qualche località esotica di cui lei non sapeva nemmeno pronunciare il nome. La bambina non era del tutto delusa, sapeva che la nonna la stava aspettando e con molta probabilità le aveva preparato i suoi piatti preferiti e una torta buonissima. Quando arrivarono finalmente a casa della nonna però trovarono tutte le luci spente e la porta di casa chiusa a chiave. Un vicino disse loro che la nonna aveva avuto un malore e che si trovava in ospedale. Ginevra fu inconsolabile, non che la madre ci provasse a consolarla. Il giorno del suo compleanno era quasi terminato e lei fu obbligata a stare a casa della madre, a dormire in una stanza in cui le era quasi proibito persino respirare. Quello fu uno dei suoi peggiori compleanni. Di lì a un mese avrebbe iniziato le scuole elementari ma non ne era entusiasta, lei preferiva stare con sua nonna a guardare telenovele turche e a disegnare. la scuola che sua madre aveva scelto per lei non le piaceva, era una scuola privata in cui non c'era il giardino e tutti i bambini la guardava dall'alto al basso. Erano tutti figli di persone ricche o di alto rango. Si sentiva a disagio tra tutti loro, ma la nonna l'aveva rassicurata dicendole sempre di teneva la testa alta e di rispondere a tono, se necessario anche fare la voce grossa. Non fu necessario, Ginevra divenne subito popolare, i bambini la volevano come amica e gli insegnanti le volevano bene e la riempivano di complimenti. Sin da bambina era stata carismatica, sveglia e molto brillante. Prendeva sempre ottimi voti e la curiosità la portava ad approfondire ciò che attirava la sua attenzione o che l'affascinava, col tempo però perse questo modo di fare e divenne una studentessa mediocre. Imparò che nell'ambiente che era costretta a frequentare i soldi e l'influenza contavano più di un buon bagaglio culturale e divenne pigra. Aveva quindici anni quando durante un viaggio in macchina sua madre le annunciò che sua nonna era morta a causa di un malore. Era malata da tempo ma non si sarebbe mai aspettata nulla di simile. Fu la prima volta che ebbe un attacco di panico. Non si sentiva nemmeno di essere più nel suo corpo, l'ansia, lo shock e lo smarrimento presero il possesso della sua mente. Una corsa in ospedale, tre medici che cercarono di capire cosa avesse e vari tranquillanti dopo Ginevra era seduta su un lettino da ospedale, attonita a guardare il vuoto. Dentro non sentiva nulla, si sentiva vuota e piena di rabbia. La rabbia e il rammarico erano le sole cose che riusciva a sopportare. I primi sei mesi dopo la morte dell'unica persona che le avesse mai voluto bene e che era tutto per lei furono confusi, pieni di sigarette, alcol e qualche sostanza strana provata per curiosità. Costretta a vivere in casa con sua madre approfittava della libertà data dalla quasi totale mancanza della donna per lasciarsi andare agli eccessi più sfrenati. Frequentava ragazzi più grandi e di molti non ricordava nemmeno il nome. Era un via vai della persone più disparate. Amici di amici che lei nemmeno conosceva che venivano a sballarsi a casa sua e a vomitare nei vasi antichi e preziosi di sua madre, cosiddetti amici di Ginevra che la sfruttavano per la sua ricchezza e lei non se ne accorgeva nemmeno. Non era mai stata una ragazza casa e chiesa o una studiosa brava ragazza, ma in quel periodo toccò il fondo e nessuno sembrò accorgersene. Fu in quel periodo che prese il soprannome di Gintonic, beveva così tanto ma non ricordarsi il suo nome e a più di una persona si presentò con quel nome, da quel momento in poi per molti diventò sempli quel che rappresentava. Spesso non andava a scuola, saltava le lezioni per andare a bere con un gruppo di ragazzi che aveva conosciuto in un club, rischiò la bocciatura ma l'intervento dei genitori e una cospicua somma di denaro le permise di evitare di ripetere l'anno scolastico. Quell'estate la passò a casa di suo padre, una villa in Sardegna che sembrava un palazzo ma privo d'animo, si poteva ben notare che lo avesse arredato la sua matrigna. Erano passati anni ma ancora la odiava, era reciproco ma Ginevra cercava semplicemente di evitarla. Quello che non poteva evitare era Damiano, erano passati tre anni dall'ultima volta che lo aveva visto, era cresciuto ed era diventato veramente un bel ragazzo. Sfortunatamente assomigliava molto alla madre ma era più gentile di lei. Non lo aveva mai considerato come un fratello e nemmeno un fratellastro, per lei lui era soltanto un ragazzo. Fu quell'estate che si innamorò di lui.

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