22. Di promesse, una panchina e Shakespeare

Si era trattato di uno sguardo fugace, niente di più.

Era avvenuto con una velocità tale che avrebbe potuto benissimo essere frutto della loro immaginazione, della loro paranoia.

Tyler, Ethan e Michelle non ebbero il coraggio di guardarsi e quando, dopo secondi che parvero non terminare mai, distolsero lo sguardo dalla porta, i loro occhi si posarono su Paul.

L'uomo aveva messo su un'espressione mortificata, colpevole; talvolta, rassegnata.

Era vero, dunque. Shyla aveva origliato sul serio.

Eppure, il signor Dalton era stato previdente: aveva socchiuso la porta, così da poter lanciare degli sguardi durante il racconto e accertarsi che... be', che non accadesse quello che era appena accaduto.

«Ragazzi...» Paul ebbe la forza di dire, ma senza riuscire ad aggiungere altro.

Cosa avrebbe potuto dire? Non era neanche sicuro che Shyla avesse effettivamente sentito.

In quel momento più che mai, il peso dei suoi anni e delle sue sofferenze sembrò gravargli sulle spalle.

Dall'altro lato del muro divisorio, a livello della sala d'ingresso, i ragazzi sentirono l'armeggiare di una zip.

Fu allora che i tre si decisero a guardarsi. Un'occhiata eloquente, niente di più. Ma bastò.

Si alzarono nel medesimo istante in cui il signor Dalton posò con riluttanza la sua tazza di tè sul tavolino e disse: «Ci penso io. Sono io il responsabile.»

Tuttavia, a Paul Dalton non venne consentito di occuparsi di tutto. Non di nuovo.

Michelle, Tyler e Ethan gli rivolsero un'occhiata significata: gli dissero, con un gioco di sguardi, che non era stata colpa sua e che avrebbero provato a parlare con Shyla.

Lo guardarono come si può guardare un uomo che per anni, troppi anni, non aveva avuto nessuno con cui confidarsi, se non un vecchio Elfo Domestico.

Pochi secondi dopo, Michelle aprì definitivamente la porta di mogano che era rimasta socchiusa, per scoprire una Shyla alquanto nervosa, intenta a sistemarsi il cappotto.

Sembrò non notarli immediatamente: continuava a fare forza sulla cerniera che, evidentemente incastrata nel tessuto, era bloccata a metà chiusura.

Shyla aveva un'aria così indaffarata, così determinata, nel sistemarsi il cappotto che Michelle, Tyler e Ethan non poterono fare a meno di fare un sorrisetto.

Successivamente, Tyler le si avvicinò e, con poche e semplici mosse, le sistemò la cerniera.

La Corvonero lo guardò, poi rivolse la sua attenzione a Michelle e Ethan, poco distanti da lei, e in fine disse: «Non ho bisogno del vostro aiuto.»

Aveva messo su un tono autoritario, stizzito, un tono che gli altri conoscevano bene; eppure, questa volta furono in grado anche di cogliere una punta d'offesa nella sua voce.

Si tirò su la zip e posò la mano sul pomello della porta d'ingresso.

«Dove vai?» le chiese Tyler, con cautela.

«Non sono affari che vi riguardano» rispose lei, gelida. Aprì la porta e, senza voltarsi una seconda volta, si fece strada nel vialetto di casa fino al marciapiede.

Gli amici la videro scostarsi velocemente da un ciclista che passava di lì appena prima di perdere di vista la sua chioma bionda tra la gente.

«Forza» esordì Ethan, pochi minuti dopo.

Michelle e Tyler si voltarono verso di lui e lo videro intento a sistemarsi addosso la giacca di pelle nera.

«Non può essere diretta lontano» aggiunse il corvino.

E, effettivamente, aveva ragione: la bionda si era limitata ad attraversare la strada e dirigersi a Leicester Square, l'immensa piazza situata proprio davanti a casa sua.

I tre ragazzi si erano incamminati in quel poco di strada che costituiva il tragitto, si erano guardati intorno per in po' e, tra le famiglie, i ciclisti e le coppiette, Michelle aveva scorto e poi indicato ai compagni la figura di Shyla.

La ragazza se ne stava seduta su una panchina, l'unica lasciata vuota dagli anziani che soddisfacevano la noia sfamando i piccioni, davanti all'imponente statua di William Shakespeare.

Osservando la ragazza, stretta nel cappotto, il suo sguardo fisso sulla statua, si aveva l'impressione che fosse più piccola dell'età che in verità aveva. Forse a causa delle spalle strette, o delle gambe esili che teneva accavallate. Sembrava quasi una bambina.

«Fammi indovinare» fece Ethan, sedendole accanto, «Questo è il posto dove pianifichi stratagemmi per rinnovare l'organizzazione deplorevole del Ministero.»

«Suona più come qualcosa che faresti tu, Ethan» constatò Michelle, sedendosi al lato destro della bionda.

«Forse» ammise il corvino, «Ma non sceglierei un posto del genere.»

«È un bel posto, però» commentò in fine Tyler, prendendo posto al fianco di Michelle, «Vivi davanti alla statua del buon vecchio Shakespeare e tuo padre è uno scrittore: ecco spiegato il tuo amore per i libri.»

«Cosa volete da me?» proruppe Shyla, irritata.

«Assolutamente nien– » fece per dire Tyler, ma Ethan fu più svelto di lui.

«Abbiamo fame» spiegò con disinvoltura, «Non possiamo pranzare senza di te... tuo padre non vuole.»

«Andatevene» fece Shyla.

«Shyla, stava solo scherza– » tentò Michelle.

«ANDATEVENE» strillò Shyla, attirando l'attenzione di vari passanti.

Poi, riprendendo fiato, aggiunse: «Sono venuta qui per stare da sola.»

«Lo sappiamo» disse Tyler, con dolcezza, «Ma te ne sei andata così, senza dir nulla.... volevamo sapere se fosse tutto a posto.»

«Non trattatemi da stupida, perché non lo sono» gli intimò Shyla, «So esattamente cosa state facendo. Mio padre vi ha detto tutto, no? Vi ha detto dei miei attacchi di panico, delle mie crisi. Crede che non sia normale, anche se non lo dice. Io lo so. Lo vedo nei suoi occhi. E lo credono anche i dottori» si fermò un momento per guardarli, «Lo credete anche voi. Perché dite di essere miei amici? Cos'è, vi siete messi d'accordo con mio padre? Vi ha pagati?»

Michelle la guardò preoccupata, «Shyla, stai delirando...»

«Certo!» rincarò lei, «Perché è questo quello che fanno i pazzi! Loro... delirano. E allora statemi lontano.»

Si strinse le gambe esili al petto e non osò più guardarli, in attesa che se ne andassero.

Ma loro, al contrario, la fissarono.

«Shyla, sai una cosa? Io non credo che tu non sia normale» fece Ethan, dopo un po'.

Michelle e Tyler lo guardarono sorridendo, incoraggianti.

«Io ne sono sempre stato convinto» concluse il corvino.

Shyla scrollò le spalle, come a dire "l'avevo detto, io".

«Tu sei onestamente la persona più presuntuosa, egoista, insensibile e irritante che abbia mai incontrato. Non guardatemi così.»

Michelle e Tyler lo fissavano: la prima sembrava pronta a ucciderlo; il secondo era semplicemente esterrefatto.

«Non ha alcun senso affermare diversamente. Non sei normale, Shyla. Ed è per questo che sei nostra amica.»

La ragazza, finalmente, alzò lo sguardo e lo posò su di lui.

«Insomma, ti sembriamo normali, noi? Guarda Tyler, che se ne va in giro come appena uscito da un circo. O Michelle, che continuava a salire sui tavoli e fare protesta, anche se sa che nessuno l'ascolterà sul serio, a parte noi. Ed io, che in sedici anni non sono mai riuscito ad affrontare la mia famiglia e che ho preferito il silenzio. Noi non siamo mai stati normali.»

I tre lo guardavano, consapevoli di quanta verità si celasse dietro le sue parole.

«Se tuo padre ci abbia pagato per stare con te? No. Non avremmo accettato, comunque. È così perché doveva andare così. Perché altrimenti io sarei rimasto il taciturno della situazione e non mi sarei mai sognato di fare un discorso del genere. Perché altrimenti Michelle non avrebbe mai trovato un modo per farsi ascoltare. Perché altrimenti Tyler non avrebbe nessuno di cui prendersi cura. Perché altrimenti tu non capiresti che tutti hanno bisogno di essere salvati. E ti salveremo noi.»

Shyla guardò tutti loro e chiese: «Lo fareste? Mi salvereste? Dai dottori, dalle medicine e dai controlli inutili?»

I tre annuirono.

«Lo stiamo già facendo» le fece presente Tyler, sorridendo.

Poi i tre si misero a sedere composti, e lasciarono che Shyla piangesse, perché aveva bisogno di farlo.

Di piangere, di lasciarsi andare, su quella panchina, circondata da persone che avevano promesso di salvarla, davanti alla statua di Shakespeare.












































































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Angolo Moony:
Salve, Wattpadiani! Come ve la passate?

Dunque, per chiunque se lo chiedesse: Shyla non è consapevole del suo stato, e quando sente il padre parlare con gli amici, intuisce che si tratta delle innumerevoli visite mediche a cui è sottoposta con frequenza (che ritiene inutili).

Sono contenta di esser riuscita a pubblicare, e spero davvero che il capitolo sia di vostro gradimento.

Buon fine settimana,
Fatto il misfatto

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