Capitolo 22
«Tra quanto ci dovremo sposare secondo te?» mi chiede Charles.
So che teme una risposta scontrosa da parte mia, ma sono talmente rilassata che il mio cervello sembra non registrare davvero la domanda, è troppo preso ad apprezzare le coccole che mi sta facendo. Infatti, ho la testa sul suo petto e lui mi sta accarezzando dolcemente i capelli, poco fa ha scoperto quanto mi piaccia questa cosa e adesso non la smette più.
«Dobbiamo pensarci proprio ora?» gli chiedo alzando la testa dal suo petto e guardandolo negli occhi.
Dio, quanto è bello.
«No, però-» non lo lascio finire. Lo zittisco a modo mio, baciandolo.
«Ilary seriamente. Io...ho bisogno di certezze.»
Mi siedo in braccio a lui, poi lo bacio di nuovo, questa volta più a lungo, con l'intento di tranquillizzarlo. Non scappo più.
«Ilary...»
«Charles sono qui.» cerco di rassicurarlo perché, per quanto lui mi possa piacere, la prospettiva di sposarlo mi spaventa ancora.
«Lo so che sei qui, ma cosa mi assicura che tu ci sia anche domani? Io sono sicuro di quello che provo per te, ma su di te non ho sicurezze. Ho sempre paura che tu un giorno possa andartene, brancolo nel buio ogni volta che ti ho vicino.»
Sospiro.
Effettivamente...non deve essere bello sentirsi così. Lui mi dà sempre moltissime certezze e io non faccio nulla per farlo sentire tranquillo.
«Charles...»
«Dimmi solo che mi sposerai.» mi chiede lui, supplicando.
«Non so bene cosa provo per te, però sento il cuore andare più veloce ogni volta che ti sono vicino e credo che per ora questa certezza mi basti.»
Quelle due paroline sono sulla punta della mia lingua, però non riesco a pronunciarle. È come se qualcosa dentro di me mi blocchi.
Vorrei poterglielo dire, vorrei poterlo rendere felice.
«Per favore...dimmi che ti basta, per ora.»
Charles sospira.
«Per ora mi basta anche solo averti vicino, ma non so quanto potrà andare avanti così.»
Lo so che non è contento di questa mia risposta.
«Odero, si potero; si non, invitus amabo.»
Non so se abbia mai studiato un po' di latino, ma spero che possa arrivare a capire ciò che gli sto dicendo. Perché non c'è nulla di più vero al momento, per quanto io non lo voglia ancora ammettere a me stessa.
«Vorrei poter sapere cosa mi hai detto.»
«Prima o poi avrò il coraggio di fartelo sapere, spero.»
****
«Voglio portarti fuori a cena.»
Sono passate diverse ore da quella conversazione, ma non abbiamo fatto nulla di diverso da prima, decidendo di goderci un po' di tranquillità.
Pensavo di passare anche la serata in questo modo, peccato che giusto un'ora fa Charles se ne sia uscito così.
Così, a mio malgrado, mi sono alzata da quel letto così comodo e mi sono diretta nel suo bagno per prepararmi.
Ora starei cercando di truccarmi, ma non l'ho quasi mai fatto, non ne sentivo il bisogno.
Ecco che, quando sono sull'orlo della disperazione, entra in bagno Josie che, vedendomi in difficoltà, decide di aiutarmi.
«Dai siediti che ti trucco io.»
Non provo neanche a opporre resistenza, spaventata dal fatto che può decidere di ascoltarmi e lasciarmi sola ad affrontare tutto ciò.
«Mio figlio è proprio fortunato.»
«Non credo sia vero, sono proprio imbranata in qualsiasi tipo di relazione, però lui ha molta pazienza.»
«I miei figli sono il mio grande orgoglio.»
Il silenzio cade dolcemente sulla stanza, io non ribatto e lei capisce che è meglio così.
La lascio finire il suo capolavoro, mentre riesco a pensare una sola cosa: quanto vorrei sentire queste parole uscire dalla bocca di mia madre.
«Ho finito. Ora ti porto un mio vestito di quando ero più giovane, sono sicura che ti starà benissimo.»
Questa volta cerco di ribattere, ma Josie non mi ascolta e scappa fuori dalla stanza.
La tentazione di guardarmi allo specchio è alta, però resisto e lascio stare. Voglio vedere tutto a lavoro ultimato.
Quando rientra, mi fa vedere un vestito a dir poco bellissimo. Lo provo e me ne innamoro.
È lungo, azzurro pastello, il corpetto e le maniche sono in pizzo, la gonna cade leggiadra e gentile sulle mie gambe, lasciando scoperta una porzione di gamba grazie allo spacco.
Poi, Josie mi passa anche un paio di tacchi argento.
Le sorrido riconoscente e li indosso.
Finalmente mi guardo allo specchio e per poco non mi riconosco.
Mi vedo bella, mi sento bella.
Tutto questo mi fa quasi sentire una principessa.
Il trucco, che ho scoperto essere sui toni dell'argento, il vestito, le scarpe...è tutto così perfetto che quasi mi sembra di sognare.
Mi giro verso Josie e l'abbraccio.
«Grazie di aver creato la persona che mi rende felice, grazie d'aver fatto ciò per me. Non so come sdebitarmi.»
«Rendi felice mio figlio e a me basta ciò.»
«Ci provo.»
«Ci riesci anche, ma ora vai che sono certa ti stia aspettando trepidante.»
Annuisco e mi dirigo verso le scale.
Il rumore prodotto dalle scarpe attira l'attenzione di Charles, ma non solo la sua, infatti, scopro che ad aspettarmi di sotto c'è anche Jordan, probabilmente teneva occupato il mio accompagnatore per non farlo preoccupare.
Il mio sguardo viene, però, catturato da quest'ultimo, che, nel suo completo, è a dir poco bellissimo.
Non so davvero cos'ho fatto per meritarmi una persona come lui.
Quando arrivo alla fine della scalinata, percorsa come se fossi una principessa, lui mi viene incontro e mi dà un finto bacio a mano, facendomi ridere.
«Sei bellissima.»
Arrossisco, ma la mia attenzione viene richiamata da un'altra voce maschile, quella di Jordan:
«Ha ragione, sei a dir poco fantastica.»
Gli regalo un piccolo e timido sorriso, poi torno a guardare Charles.
«Anche te non sei niente male.» gli dico.
Lui sorride e mi accompagna fuori, dove è già posteggiata l'auto.
«Dove stiamo andando?»
«Sorpresa.»
****
La cena è andata benissimo, mi sono sentita a mio agio ogni istante.
«Andiamo a prendere un gelato?»
Mi chiede Charles.
«Al parco?»
«Dove sennò?»
Sorrido e annuisco, così...posso chiamarlo il mio ragazzo? Credo di sì. Insomma, ci sposeremo.
«Amore...posso considerarti il mio ragazzo?»
A questa domanda lo sento agitarsi.
«Devi dirmelo tu.»
«Mi piacerebbe tanto poterlo fare.»
«Allora mi puoi considerare il tuo fidanzato.»
Sorrido e gli lascio un bacio a fior di labbra.
Dicevo...così, il mio ragazzo mi passa il braccio sulle spalle e ci avviamo verso il luogo prescelto.
Quando arriviamo, però, noto subito qualcosa di diverso: il viale, solitamente spoglio, è decorato con tantissime lucine sugli alberi, le quali danno un bellissimo tocco romantico a questo posto.
«Ti va di fermarci un attimo? Ci sediamo sulla panchina?»
Accetto, così ci accomodiamo sulla panchina che, ironia della sorte, è la stessa su cui abbiamo fatto la pace dopo la prima litigata, quando gli ho portato il gelato per farmi perdonare.
Rimaniamo, per un tempo indefinito, in silenzio a guardare le stelle. A farci compagnia solo un leggero venticello che muove le foglie ormai cadute da tempo.
A regnare sovrano è, però, il battito accelerato dei nostri cuori che vanno all'unisono, creando la mia melodia preferita.
«Ti odierò, se potrò; altrimenti ti amerò mio malgrado.» mi interrompo per un attimo, poi riprendo: «È la traduzione della frase. È una citazione di Ovidio, se non mi sbaglio.»
Lui rimane in silenzio, poi sospira.
«Quando ti ho incontrata, quella sera, c'erano le stelle a incorniciare il tutto, proprio come adesso e allo stesso modo, anche il quel momento come in questo, avevo davanti una scelta. Quella sera ho scelto di rimanere. Questa sera scelgo di amarti.
Ti amo oggi, ti ho amata quando i tuoi occhi hanno incrociato i miei per la prima volta e ti amerò quando dirai quel sì. Perché so che lo pronuncerai. Non voglio neanche pensare il contrario, quando guardo nei tuoi occhi vedo il riflesso dei miei e mi sento a casa.
Scelgo di amarti, adesso e per sempre, sotto le stelle che fanno da spettatrici silenziose.
Sposami Ilary.»
Poi si inginocchia.
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