Capitolo 10

«Charles dove stiamo andando?»

«Sorpresa.»

«Charles, diamine, sono le tre di notte.
Ti sto maledicendo in ogni lingua per avermi svegliato a quest'ora per andare chissà dove.»

«Ti piacerà, ne sono sicuro.»

«Lo spero per te.»

«Sei sempre così carina e gentile con me, come posso non innamorarmi?»

«Sempre e solo con te.»

Scuote la testa in segno di rassegnazione.

«Lascerai mai che io mi avvicini a te?»

Oh Charles...tu non lo sai ma sei più vicino tu di qualunque altra persona che sia mai stata nella mia vita.

Inizio a guardare la città che scorre velocemente sotto ai miei occhi, chissà dove stiamo andando.
Però, è rilassante vederla di notte, così illuminata, senza nessuno in giro. Trasmette un senso di pace, quasi come se fosse deserta, eppure non è spaventosa, è solo...rilassante.

«Puoi anche dormire, se vuoi.»

«Ma poi ti lascio da solo...»

«Sì beh, non è un grosso problema, se vuoi dormire, fallo pure.»

«No, non voglio lasciarti da solo.»

«Perché?» Mi chiede lui stranito.

«Perché la notte inganna.»

«Cosa intendi?»

«É bella, è spettacolare e ti fa sentire in pace...ma è anche devastante, soprattutto se si è soli. Ne so qualcosa.»

Ho perso il conto delle notti passate insonni, provando a convincermi che non sono io il problema. Eppure, il silenzio di una notte scura fa sembrare i pensieri più rumorosi.

Così, finivo sempre a osservare il soffitto, sperando che semplicemente quei pensieri sparissero.
Non è mai accaduto.
I pensieri non se ne sono mai andati, così, l'unica cosa che potevo sperare era quella di riuscire ad addormentarmi subito, consapevole che, se così non fosse stato, avrei passato la notte a torturarmi.
Un giorno, però, quelle parole fastidiose che mi martellavano il cervello di notte, si presentarono anche di giorno.

Ancora una volta, io non fui abbastanza forte da scacciarle e così, da quel giorno, mi fanno compagnia, rimanendo nell'ombra di una mente stanca e contorta.

«Sai...da piccolo pensavo che le stelle fossero la guida, come una grande mappa che collega ogni persona di questo pianeta. Era una teoria assurda, eppure il pensiero di essere collegato a tutte le altre persone del mondo...mi faceva sentire bene, quasi potente.
È assurdo, ma così avevo la sensazione di non essere mai solo mentre guardavo le stelle in silenzio, perché da qualche parte del mondo c'era sicuramente qualcun altro che le stava guardando come me.»

«Io pensavo che le stelle siano le anime delle persone che non ci sono più.
Illuminano il cammino, permettendo anche alle anime più abbandonate di ritrovare la strada.
Senza di loro, io mi sarei persa tante volte nei meandri della mia anima, molte di più di quelle che sono effettivamente accadute perché, quando non sapevo a cosa attaccarmi per stare a galla, mi bastava guardare in alto e le trovavo lì, pronte ad illuminare la mia vita.

Quando guardavo le stelle mi piaceva immaginare la storia che ci potrebbe essere dietro ad ognuna di esse.

Mi divertivo a pensare che dietro di esse ci fosse un'anima buona che cerca soltanto di portare a termine ciò che aveva lasciato in sospeso, aiutando le persone a sé care e poi, quando aveva la certezza che loro stessero meglio, semplicemente la stella viene ceduta ad un'altra anima.

Questo era quello che pensavo da piccola sulle stelle, poi crescendo ho saputo la verità e ho smesso d'illudermi.»

«Ilary...hai qualcosa che nessuno ha.»

Lo guardo stranita, che intende?

«Hai la fantasia e la purezza di una bambina spensierata, ma dentro di te covi anche il dolore e la tristezza di una persona spezzata.» Mi guarda un attimo e poi riprende a parlare con gli occhi fissi sulla strada.

«Sei una persona fantastica, ne sono certo, eppure lasci a poche persone il privilegio di conoscerti davvero...sono consapevole di non essere una di esse, ma voglio con tutto me stesso poterlo diventare.»

«Rischi di farti male...»

«Il dolore è temporaneo, passerà.»

«Non tutto ciò che nasce, è destinato anche a morire.»

«Cosa intendi?»

«Non tutto il dolore riesce a passare. Ci sono sensazioni troppo legate all'anima stessa, troppo dolorose per essere semplicemente dimenticate.
Ci sono emozioni che non sono fatte per passare, ti accompagnano per tutta la vita.»

«Sarei disposto a provare questo dolore, perché vorrebbe dire avere qualcosa di tuo per tutta la vita.»

«Il dolore non è mio.»

«Ma condivideremo le stesse sensazioni, potrei finalmente capirti e questo mi basta.»

«Potrai provare quanto vuoi a scalfire la mia corazza, ma non ci riuscirai. Continuerò ad odiarti.»

«Ci conto, ma potresti almeno provarci a fidarti di me.»

Oh Charles...vorrei tanto potermi fidare di te, ma non ci riuscirò mai.

Io non posso.

Ma quando lo capirai, sarà ormai troppo tardi e potrò solo scusarmi, consapevole che una semplice parola non cancellerà tutto il resto.

****

«Siamo arrivati.»

«Mi hai portato al...luna park.»

I miei occhi si illuminano come quelli di una bambina, dentro di me esplode una felicità mai sentita prima, il sorriso mi nasce spontaneo sulle labbra e non posso fare altro che abbracciare Charles.

«Grazie, grazie, grazie. È la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me. Sei veramente unico.»

Passiamo tutta la notte a divertirci come matti. Non sono mai stata così felice, lo trascino ovunque proprio come una bambina entusiasta e lui me lo lascia fare.
Credo che per lui vedermi così sia un grande traguardo, infatti mi guarda felice e sorridente, con negli occhi qualcosa che sembra quasi...orgoglio.

Per la prima volta, non mi vergogno di ciò che provo, sono semplicemente troppo emozionata per lasciare che i miei muri mi rovinino la cosa più bella che mi sia mai capitata.

Dopo circa un'ora di sfrenato divertimento, decidiamo di fermarci a prendere uno zucchero filato.

Ero così presa dal divertimento che mi scorreva nelle vene che mi sono dimenticata una cosa...io non ho mai mangiato lo zucchero filato.

Infatti, adesso sono alle prese con una piccola nuvola tanto soffice quanto appiccicaticcia che fatico a mangiare, insomma si attacca alle mani, ai denti, alle labbra, praticamente ovunque.
In qualsiasi altro momento e con qualunque altra persona mi sarei sentita enormemente in imbarazzo, ma non con Charles. Con lui mi sento tranquilla e mi permetto di continuare a litigare con lo zucchero filato come se lui non ci fosse.

Quando finalmente riesco a vincere l'ennesima battaglia con questo demonio, mi concedo di alzare lo sguardo, mentre assaporo il boccone, trovando così Charles che mi osserva a metà tra il divertito e l'imbambolato.

«Cosa succede? Ho qualcosa in faccia? Dannato zucchero filato...»

Lui sorride e poi pronuncia due parole, le quali mi lasciano quasi... scombussolata.

«Sei bella.»

****

Siamo seduti su una panchina a guardare l'alba.
Dopo che lui ha detto quelle due paroline, sono rimasta in silenzio e lui, capendo che non avrei risposto, mi ha preso per mano e mi ha portato su questa panchina per aspettare l'alba insieme.

Ecco perché adesso siamo seduti insieme qui. L'unica cosa che non mi spiego è perché lo stiamo facendo abbracciati e avvinghiati uno all'altra.

Perché non mi dà fastidio?
Perché non lo scaccio?

Giro il viso verso di lui e lo trovo già ad osservarmi, ma adesso siamo davvero poco distanti, posso addirittura sentire il suo respiro.

Siamo davvero troppo vicini, eppure sto bene tra le sue braccia, non voglio allontanarmi.

Lui sembra avvicinarsi ancora un pochino, ormai le nostre labbra di sfiorano e posso vedere ogni singolo dettaglio dei suoi occhi...sono belli.

Poi, tutto d'un tratto, il mio cervello si risveglia improvvisamente, tutti i campanelli d'allarme mi suonano nella testa, prendo finalmente consapevolezza di quello che sta succedendo e improvvisamente mi sento soffocare in questa presa, la stessa che prima mi infondeva tranquillità.

Istintivamente, mi allontano del tutto dalle sue braccia, mettendo molta distanza tra di noi.

Lui apre gli occhi, che aveva appena chiuso, e mi guarda...deluso.
Nei suoi occhi posso leggere una consapevolezza. È ancora troppo presto.
Lo vedo. Posso vedere che se lo aspettava questo rifiuto da me, eppure ci sperava.
Sperava che lo lasciassi entrare, ma io non l'ho mai fatto con nessuno e....non so neanche come si fa.

So che non posso. Io non posso. Lo ferirei, gli farei male.

«Riportami a casa. Per favore Charles, portami a casa.»

«Ilary...io non...»

«CHARLES, TI PREGO, PORTAMI A CASA.»

Dopo le mie urla lui si alza dalla panchina e si dirige verso la macchina.

*****
Il viaggio in auto è silenzioso, è carico di speranze distrutte.

Sono turbata...lui mi sta riportando a casa come io gli ho chiesto, anzi urlato, eppure mi sento come se non fossi davvero felice di questa cosa.

Perché non ha lottato?

Perché non mi ha tenuto tra le sue braccia anche quando sono scappata?

Perché non mi ha abbracciato quando mi ha visto spaventata.

Ma ancora di più sono turbata perché io non ho reagito subito.
Il mio cervello aveva capito quello che stava succedendo e non ha agito subito, come se gli andasse bene.

Charles...perché non ci hai riprovato?

Perché mi hai lasciata scappare e rifugiare tra le mie mura invalicabili?

Perché non hai lottato?

Semplice, perché nessuno lotta per me.




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