~Capitolo 12~



- Ehi, tu! Figlio di Zeus! Matthew!-

Matthew si voltò, il sopracciglio sollevato in un'espressione vagamente curiosa, come a dire: "È sembrato solo a me o anche voi avete appena sentito invocare il mio bellissimo nome?"

Rose gli stava venendo incontro, le guance rosse e gli occhi che mandavano lampi; non sembrava esattamente di buonumore.

E infatti la ragazza non lo era, per niente: se c'era una cosa che odiava era sua sorella che s'improvvisava mammina, dicendole ciò che doveva o non doveva fare.

- Salve fanciulla, saresti...?-

La fanciulla in questione, arrivata a circa un metro di distanza da Matt, si fermò, a braccia incrociate; avvertì come una leggera elettricità nell'aria che circondava il ragazzo, una specie di barriera invisibile che le comunicava: "Stai lì, ferma; un altro passo e superi il limite, e tu non vuoi farlo, fidati."

Sbuffando, rispose:

- Rose, hai presente? La figlia di Artemide con cui volevi parlare trenta secondi fa... Ti dice niente?-

Lui rivolse il volto al cielo, in un'espressione di finta concentrazione, come a voler ricordare qualcosa sepolto nei meandri più polverosi della memoria; poi d'un tratto s'illuminò.

- Ah sì, in effetti mi dice qualcosa. Sei quella che fino a trenta secondi fa non era nella cabina da cui sei appena uscita, vero?-

Eri girato di spalle, cosa vuoi saperne tu di da dove sono uscita?                                                                 

- Esatto. Posso sapere perché mi cercavi?-

Il ragazzo incrociò le braccia al petto, incamminandosi in direzione del bosco; Rose si vide costretta a seguirlo, sempre a debita distanza.

- Niente di che, volevo solo chiederti come procede la relazione con mio fratello.

Pronunciò le parole "mio fratello" con naturalezza, come se i due avessero effettivamente condiviso l'infanzia, come se fino ai cinque anni la loro mamma li avesse messi a fare il bagnetto insieme, e non come se Apollo fosse stato un potentissimo Dio millenario che avrebbe potuto incenerirlo con uno schiocco di dita. E questo, pensò Matt con fierezza, è uno dei tanti piccoli privilegi che distinguono me dagli altri figli di Zeus.

Dal canto suo, Rose aveva rincorso il semidio perché questo gli aveva dato un pretesto per piantare in asso suo sorella e le aveva procurato un'uscita di scena ad effetto; ma in quel momento si rese conto di essere probabilmente appena passata dalla padella alla brace, e le venne una voglia improvvisa di correre nel bosco a piangere tutte le sue lacrime, rintanata contro il tronco di un albero. Ciononostante, si impose di rimandare a dopo i piangnistei e cercò di preservare un certo contegno.

- Ah beh, va tutto alla grande, davvero. Siamo una coppia molto felice.-

Pronunciò queste parole con un gran sorriso stampato in volto, fissando negli occhi il ragazzo, come a volerlo sfidare ad affermare il contrario.

- Oh, davvero?-

- Sì, davvero.-

- Bene, sono contento per voi.-

Il sorriso che gli solcava il volto, seppur non molto esteso, sembrava sincero.

Rose non se l'era aspettato: nell'istante in cui Matthew era venuto a conoscenza di lei e Apollo, aveva subito pensato che da quel momento il suo scopo sarebbe stato dividerli.

Ma forse mi sono sbagliata, pensò, forse ormai sono così abituata al fatto che tutti sembrino disapprovarci da non rendermi conto che, magari, ci potrebbe anche essere qualcuno che vede del buono, in questa relazione.

- Mi togli una curiosità, figlio di Zeus?-

- Forse. Dipende dalla curiosità.-

- Hai detto che i tuoi genitori sono Zeus e Giunone, giusto?-

Con un cenno affermativo del capo, Matt la invitò a continuare.

- Quindi, essendo figlio di due dei, tu sei immortale?-

D'un tratto banchi di nubi affollavano gli occhi del ragazzo, rendendoli impercettibilmente più cupi, temporaleschi.

Rose capì di aver forse toccato un tasto dolente, ma non se ne curò più di tanto; se anche così fosse stato, gli stava semplicemente rendendo pan per focaccia. E comunque non capiva cosa ci potesse essere di male in quella domanda.

- Sì, lo sono. Ovvio.-

L'alone elettrico che lo circondava parve aumentare d'intensità, così Rose si allontanò ancora di qualche passo, prima di porre la domanda seguente.

- Quindi l'età che dimostri è falsa. Quanti anni hai, in realtà?-

- Tanti, moltissimi, non immagini nemmeno. Ma a te cosa importa?-

Lei fece spallucce.

- Così, per sapere. Allora chissà con quante ragazze hai visto Apollo, in tutti questi anni.-

Matt ghignò.

- Eh, davvero molte. In realtà sono così tante che non me ne ricordo bene nemmeno una, in particolare; però in generale devo dire che tu sei... speciale, decisamente diversa dalle altre.-

Adesso Rose era incuriosita...

- Cosa intendi dire?-

- Beh, da che ricordi, le donne di Apollo sono sempre state tutte alquanto belle. Tu devi avere altre qualità, immagino.-

... e adesso Rose si sentiva presa per il culo.

Mentre la ragazza si arrestava di colpo in un tratto erboso all'entrata del bosco, lui le rivolse una strizzatina d'occhi, lo sguardo tornato alla sua consueta, distaccata pacatezza.

- Allora non capisco perché ti preoccupi tanto di me in particolare.-, gli fece notare, le braccia spasmodicamente serrate intorno al busto e il mento sollevato.

- Voglio solo essere un buon fratello; anche se Lollo è un Dio grande e grosso e potente, ogni tanto gli fa piacere qualche dimostrazione d'affetto fraterno.-, replicò con un sorrisetto.

Lollo? Bleah. Lei, roteando gli occhi, affermò che non aveva dubbi, e che comunque, purtroppo, quella conversazione non poteva dilungarsi oltre, doveva proprio andare.

- Allora va', non ti tratterrò oltre. È stato un piacere discorrere con lei.-

Accompagnò le parole con un leggero inchino leggermente ironico, a cui lei rispose con un cenno del capo.

Il piacere è tutto tuo.

Mentre si stava voltando, intenzionata a correre via nel bosco, verso la libertà, verso un posto totalmente privo di persone e, quindi, di stress, per sgonfiare un attimo i nervi, lui la richiamò: 

- Mi togli una curiosità, Rosemary?-

- No.-

- Andare in giro scalze è un'usanza di voi figlie di Artemide?-

-No, coglione.-


***

A Elena la cabina cinque era sempre sembrata abbastanza accogliente, nonstante le affilatissime armi scintillanti che sembravano rivestire il ruolo di tappezzeria sopra alle pareti rosso scuro, a stento visibili, e i numerosi poster raffiguranti guerrieri greci dalle espressioni agguerrite e gli addominali in bella mostra, strategicamente impolverati e insanguinati, nell'atto di compiere le loro grandi imprese belliche. Non era proprio il suo stile, sì, ma si era sempre trovata a proprio agio in quell'ambiente calmo, dalle luci soffuse; certo, inizialmente i figli di Ares l'avevano squadrata con sospetto, non abituati a ricevere ospiti nella loro cabina, tantomeno figlie di Afrodite, ma col tempo avevano accettato la sua frequente presenza ed erano tornati a farsi gli affari loro, quasi facesse parte dell'arredamento. E ad Elena e Jade andava più che bene così.

In quel momento erano sole in cabina, e la nostra figlia di Afrodite stava giusto osservando l'amica riporre alla rinfusa le sue cose in una valigia di cuoio dall'aria abbastanza vissuta. Non appena aveva ricevuto dalla cosiddetta "infermiera" l'annuncio della sua condizione, Jade aveva subito realizzato cosa doveva fare: se ne sarebbe andata. Aveva una zia, in Francia, che era sicura sarebbe stata più che felice di ospitarla. Era una tipa un po' svitata, ma dal cuore grande e la mente aperta: lei non l'avrebbe giudicata... a differenza del resto delle persone lì al campo. Sapeva che le voci avevano già iniziato a girare, ed aveva paura di affrontare ciò che avrebbe trovato fuori dalla cabina cinque. L'unica che aveva voglia di vedere era Elena, ma anche lei stava iniziando ad osservarla con quello sguardo di disapprovazione un po' esasperata che si può rivolgere ad un bambino, dopo che, per l'ennesima volta, se l'è fatta addosso nel sonno, bagnando tutto il letto.

Non si erano ancora rivolte la parola.

- Ne vuoi parlare?-, tentò finalmente Elena.

- Di cosa?-

Con un gesto eloquente indicò la valigia quasi colma e i suoi vestiti gettati alla rinfusa sul letto.

- Di questo.-

Jade si strinse nelle spalle.

 - Mi manca mia zia. Non la vedo da un sacco di tempo.-

- Quindi il fatto che tu sia incinta non c'entra, vero?-, le domandò l'amica con le mani sui fianchi e un sopracciglio sollevato.

Jade si arrestò di colpo, inspirando seccamente, ferma nell'atto di piegare una maglietta. Poi all'improvviso si riprese, appallottolando l'indumento e gettandolo nella valigia così com'era.

- No, Elena.-

Riprese l'attività con più foga.

- Jade, non puoi andartene. Qui, al campo, è il posto più sicuro, per te e per il...- ebbe un attimo di esitazione, soppesando la parola che stava per pronunciare come se appartenesse ad una lingua straniera di cui non era molto pratica- per il bambino. Devi rimanere qui. Mi rendo conto che sarà dura, sarà molto dura, davvero, ti capisco, so che ci saranno mille difficoltà, ma...-, s'interruppe, trovandosi improvvisamente la punta di un piccolo pugnale davanti al volto, dritto in mezzo agli occhi. La figlia di Afrodite sussultò, ma non arretrò di un passo.

- No, Elena. Tu non capisci, tu non sai. Nemmeno io so,- ammise spalancando le braccia,- e non voglio sapere.-, concluse rinfoderando il pugnale.

Riprese l'attività, dando le spalle all'amica per staccare dal muro il suo amato poster di Leonida. Tirò su col naso un paio di volte.

- E Beck?-

Jade s'immobilizzò, lasciandosi poi cadere sul letto con il poster in grembo. Scosse la testa, gli occhi persi nel vuoto; Elena notò una piccola lacrima luccicare sulle sue ciglia, prima di staccarsi e precipitarle giù per la guancia. Sapeva che la figlia di Ares non avrebbe parlato, perché se avesse tentato di farlo avrebbe ottenuto solo un gemito strozzato.

Allora andò a sedersi sul letto accanto a lei, circondandole le spalle con un braccio; l'amica le posò il capo sulla spalla, ma dopo aver tirato su con il naso un altro paio di volte stava già drizzando la schiena, guardandola negli occhi con un leggero, triste sorriso.

- Non mi metterò a piangere sulla tua spalla, scordatelo.-

Elena alzò gli occhi al cielo, esasperata ma leggermente rincuorata.

- Non mi aspettavo che lo facessi, tranquilla.-, l'assicurò ridacchiando leggermente.

Stettero per un paio di minuti in silenzio, sedute una accanto all'altra, ognuna persa nei propri pensieri. 

Quelli di Jade erano all'incirca di questo tipo: Voglio andarmene. Davvero? Voglio andarmene. E Beck? Voglio andarmene. Come arriverai in Francia? Voglio andarmene. Abbandonerai Elena? VOGLIO ANDARMENE.

 Poi la figlia di Afrodite riprese:

- Rimani almeno fino alla caccia alla bandiera di domani sera.-

L'altra le rivolse uno sguardo interrogativo.

- Se vince la mia squadra, rimani. Qualora, invece, dovesse disgraziatamente vincere la tua, sei libera di andare. Ti aiuterò anche a fare le valigie. Accetti?-

Jade sbuffò, - Ma dai... no.-

- Codarda.-

Elena ricevette uno sguardo storto, che incatenò al suo. Rimasero così per svariati secondi, durante i quali lo sguardo scuro della figlia di Afrodite non abbandonò per un attimo quello altrettanto scuro, ma reso lucido dalle lacrime di poco prima, della figlia di Ares, sfidandola, rivelandole che, in realtà, sotto sotto, entrambe sapevano che anche Jade desiderava rimanere lì al campo, lo voleva disperatamente.

Alla fine quest'ultima spostò gli occhi sul grande foglio di carta che teneva tra le mani, mezzo arrotolato.

- Va bene. Ci sto.-

Elena saltò in piedi ed emise un gridolino di vittoria, prendendo le mani dell'amica tra le sue; poi le sfilò il poster, srotolandolo davanti ai suoi occhi, mostrandole la fiera figura di Leonida, l'elmo e la lancia splendenti nella dorata luce della battaglia, il volto colmo di gravità e fierezza.

- Adesso ascoltami bene, amica mia. Secondo te, adesso io starei reggendo la figurina di questo bel guerriero, se lui fosse scappato al posto di rimanere e dare la sua vita per la vittoria della patria?- pausa ad effetto.- Te lo dico io: no! Ma lui ha deciso di impugnare le armi e morire, morire!, pur di non passare per codardo, e l'ha fatto nel più glorioso dei modi, guadagnandosi l'ammirazione di tutte le generazioni a venire, guadagnandosi l'immortalità! E secondo te lui cos'avrebbe fatto, nella tua situazione?- altra pausa.- Esatto! Sarebbe rimasto, mia cara, affrontando il campo là fuori a testa alta. Perché sarebbe stata la cosa migliore da fare. La più dignitosa.-

Jade non poté trattenere un'espressione scettica e poco convinta, ma le si scaldò il cuore alla vista della passione che Elena metteva nel cercare di convincerla a fare "la cosa giusta".

Ti voglio bene, in fondo. Grazie.

- Elena?-

- Sì?-, domandò con occhi lampeggianti.

- Leonida è un uomo; non si sarebbe mai trovato nella mia situazione.-

L'altra liquidò quelle parole con un gesto della mano.

- Dettagli.-

- E in ogni caso non credo che partorire a diciassette anni mi procurerà la stessa, splendente gloria immortale di Leonida.-

- E chi lo sa? Potrebbe essere che l'esserino che porti in grembo diventi un grandissimo eroe, un giorno. E allora potrai vantare il fatto che sarà uscito fuori dalla tua cosa, mia cara.-

Jade non sembrava convinta.

- Se anche fosse? Sarà lui quello glorioso, non io. Nessuno s'incula mai le madri degli eroi. Rimarrei comunque una stupida donna che ha partorito a diciassette anni.-

- Taci, soldato!- Quando Elena parlò lo fece  in un misto tra un grido isterico e una pessima e buffa imitazione di una profonda, inflessibile, voce maschile.- Non dire un'altra parola, o mi farai afflosciare la lancia, dalla quantità di stronzate che dici, mi hai capito?- Adesso Elena era completamente nascosta dal poster, che veniva scosso con enfasi, come per dare l'impressione che fosse lui a parlare.

Jade annuì, gettandosi di peso all'indietro sul materasso, sospirando; improvvisamente aveva tanta voglia di dormire.

- E ascoltami bene, una volta per tutte: ognuno si guadagna la gloria come può, a partire dalle piccole cose. Devi comportarti con onore e coraggio, in ogni caso, anche se ti sembra che non ne valga la pena perché nessuno ti verrà a dire "brava, ben fatto"; così alla tua morte, anche se non avrai ottenuto una gloria immortale, in ogni caso nessuno che ti abbia conosciuto e voluto bene potrà dire che sei stata una codarda o che avresti potuto fare molto di più; tu non potrai rimproverarti di non aver fatto abbastanza. Verrai ricordata come una tosta. Come una guerriera. Capito soldato? Non deludermi, e soprattutto non deludere te stessa per delle stronzate.-

Finito il discorso, la testa bionda di Elena riemerse, riprendendo finalmente fiato; la ragazza iniziò ad arrotolare il poster con decisione.

- Sissignore.-, affermò la figlia di Ares ad occhi chiusi. 

- Non ho sentito bene.-, ringhiò l'altra.

- SISSIGNORE!-

- Bene. Ora vai a nanna.-

Così qualche istante dopo Jade stava scivolando nel sonno, le parole "gloria" e "stronzate" che ancora le frullavano in testa.


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