7° parte

Erika

Luis mi lascia lentamente il polso, senza mai togliermi gli occhi di dosso.

Noto un ghigno sulla sua bocca che pian piano si trasforma in un sorriso con tanto di denti.

È mai possibile che lui sia così dannatamente attraente e allo stesso tempo così terribilmente esasperante?

Dal modo sfacciato in cui mi sorride, mi verrebbe voglia di insultarlo in tutti i modi che conosco.

Come mi era successo la seconda volta che è venuto al lido.

Non gli avevo ancora parlato, l'avevo visto solo quella volta con Cameron.

E Luis, come attratto da qualcosa, la settimana dopo era tornato.

E cercava me.

O meglio, aveva chiesto della ragazza con il rossetto rosso che l'aveva servito la scorsa volta.

Io ero ai tavoli, e avevo sentito la sua richiesta, e non appena mi ero resa conto di chi fosse, mi ricordo di aver sentito il nervoso impossessarsi di me.

Non sapevo cosa volesse, e da quel che sapevo non era una persona affidabile.

"Signorina, può farmi un caffè?" Aveva detto.

E mi sorrideva proprio come adesso.

In quel momento mi ero spaventata, avevo provato a ricambiare il sorriso e senza rispondergli ero andata dietro al bancone a preparargli il caffè.

E per tutto il tempo mi scrutava da capo a fondo, è per me era un altro motivo per avere l'ansia.

"Niente rossetto rosso oggi?" Aveva parlato di nuovo, e io non capivo cosa intendesse.

"Forse non si ricorda di me, sono venuto la scorsa settimana insieme a un ragazzo, e lei portava il rossetto rosso."

Facevo la vaga, ma in realtà mi ricordavo benissimo di lui.

Gli avevo posato la tazzina del caffè, proprio davanti a lui, e continuavo a rimanere in silenzio.

"Qual è il suo nome?" Mi aveva chiesto.

Mi sentivo come se non fossi nemmeno capace di ricordare il mio stesso nome.

E non capivo perché me lo chiedesse, dato che avevo la targhetta attaccata alla divisa del lavoro.

Credo me lo avesse chiesto solo per sentirmi parlare o attaccare bottone.

Quel giorno Steve non c'era, sembrava come se sapesse gli orari di suo figlio, perché veniva soltanto quando Steve non era di turno.

"Erika, lei?" Cercavo di essere gentile, anche se la sua presenza mi metteva in suggestione.

"Niente professionalità, dammi del tu. Mi chiamo Luis!"

Eppure non sembrava così una cattiva persona.

Lo vedevo come un uomo solo, come un papà giovanissimo, dato che Luis sembra che non abbia proprio intenzione di invecchiare.

Non dimostra la sua età, e credo che a lui piaccia ciò.

È un uomo con la sindrome di Peter Pan, vorrebbe fermare il tempo, perché credo che, invecchiare sia una delle sue più grandi paure, anche se lui non lo dirà mai.

Luis era tornato anche il giorno dopo, e quello ancora, fino a smettere di venire al lido, per poi riprendere non appena Steve e Cameron erano partiti per l'Italia.

Non ho mai capito il perché, fino a quando Steve non mi aveva parlato della sua malattia.

Avevo finto di non conoscerlo,  mentivo a Steve, non gli ho mai raccontato delle visite che Luis mi faceva a lavoro.

Delle chiacchierate lunghissime in pausa pranzo, e dell'affetto che stavo iniziando a provare per suo padre.

Proprio come quella volta, gli posiziono la tazzina del caffè davanti.

Luis continua a guardarmi come se volesse dirmi qualcosa.

Alzo gli occhi al cielo, e lui fa un verso con la bocca per dimostrarsi contrario al mio gesto.

«Che c'è, Luis?»

Afferra la tazzina, soffia un po' il contenuto, e ne beve un sorso.

«Devi dirmi qualcosa, piccolina?»

«Sei tu quello che mi stai guardando da quando sei entrato.»

Cosa non vera, dato che fino a poco fa lo fissavo come se non avessi mai visto un uomo in tutta la mia vita.

«Ho l'impressione che tu preferisca che io non fossi qui.»

Rimango con le labbra serrate.

Perché da una parte è così, penso che la cosa fra me e Luis stia troppo andando per le lunghe.

Ho l'impressione che più tempo sto con lui, più difficile sarà staccarmi dall'uomo che ho davanti.

Credo che l'affezionarsi a Luis sia stato uno dei miei più grandi errori.

«No, non è così...» Abbasso lo sguardo, perché ne ho abbastanza di sentirmi così tanto a disagio.

«Erika, Erika... non sei brava a mentire.» Alzo lo sguardo e lui dà un altro sorso al caffè bollente.

«Che io mi sbagli è possibile, ma è raro...» Continua lui.

«Luis...» Lui mi guarda in attesa che io continui a parlare, ma in realtà non so cosa dirgli.

«Erika...» Pronuncia il mio nome in un tono talmente dolce che non sembra nemmeno lui a parlare.

«Ti ascolto, dimmi tutto, piccolina.»

Piccolina.

Mai nessuno mi ha chiamata così, e mi piace che lui lo faccia.

Mi fa sentire protetta, come se fossi davvero una bambina piccolina che ha bisogno di attenzioni.

E forse è davvero così, necessito di essere amata, coccolata e protetta.

Anche se, può sembrare che io riesca a cavarmela da sola.

«Non ti sbagli.» Gli dico alla fine.

«Vuoi che vada via?»

No, non voglio...

«Non vorrei che la situazione... cazzo, Luis...»

Esasperata, è così che mi sento.

Forse perché oggi è proprio una brutta giornata.

Forse perché mi sento asfissiata dal senso di angoscia, ed è evidentemente che non riesco a prendere nessuna posizione.

Forse perché sento... non lo so... sento di dovergli delle scuse per quello che ho fatto ieri notte.

Solo che, sentivo il suo odore, le sue braccia possenti stringermi forte, e ne avevo bisogno, necessitavo di quel contatto.

E ho sentito l'urgenza di intensificare la cosa.

«Se vuoi che vada via... basta chiedermelo. Sappi però, che non sono d'accordo...» E quando Luis dice così, ti fa capire che tornerà.

Perché Luis si prende sempre ciò che vuole.

E non accetta di arrendersi, non fa parte della sua indole.

Luis è come un cacciatore a caccia, se non becca un animale, non tornerà mai a casa soddisfatto.

E lui è così, la sua vita è fatta di ritorni, perché Luis Williams non se ne va mai via.

Anche se passassero diec'anni, lui si ricorderà sempre di quella volta in cui ha ricevuto un rifiuto, si ricorderà sempre di non esserne stato d'accordo, e tornerà... sempre.


Spazio autrice:

Luis non se ne andrà mai via, fino a quando non sarà soddisfatto, siete d'accordo con Erika?

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