36° parte
Luis
Nel tragitto dalla casa di Erika a quella di mio figlio e Cameron, quest'ultimo non apre bocca.
Non chiede e non commenta, anche se glielo leggo in faccia che ha qualcosa da dire, e infatti quando sto per parcheggiare il pick up di Travis parla:
«Ma quindi gliel'hai detto o no?»
Ma non gli rispondo, continuo a fare manovre per far entrare quel dannato veicolo nel vialetto, e Cameron continua ad aspettare risposta.
Quando poi spengo il pick up e il silenzio regna, mi volto verso Cameron e gli rispondo.
«Cosa avrei dovuto dirle?»
«Come cosa? Che un certo Simon la sta cercando e che non sembra avere buone intenzioni, che dici?!»
Sospiro e afferro il mio pacchetto di sigarette.
«Sei così ingenuo da pensare che lei non lo sappia già?» Aspiro un tiro.
Cameron sembra pensieroso, ma non replica, forse perché capisce che ho ragione.
«Le voci girano, soprattutto in quel lido del cazzo, e poi il rosso l'ha già cercata, ma non è riuscito ad avere quello che voleva perché io l'ho fermato.»
«Cosa pensi che voglia, Luis?»
Non lo so, e vorrei tanto saperlo, ma per saperlo dovrei chiederlo a lei, perché solo Erika può saperlo, e ovviamente quel Simon del cazzo.
Devo capire come muovermi, perché la mia impulsività mi dice di pescare quel rosso e di ficcargli la testa nel cesso, buttare lo sciacquone e di continuare fino a quando non si stancherà di pedinare la mia piccolina.
Ma non posso farlo, almeno credo.
Non rispondo alla domanda di Cameron, continuo a fumare guardando fuori dal finestrino, infatti Cameron parla di nuovo.
«Se è consapevole del fatto che lui la sta cercando, penso che abbia una vaga idea anche del motivo, no?»
E in quel momento mi volto verso di lui.
«Già...» Rispondo.
«Pensi di chiederglielo.»
«Può darsi.»
È più di un può darsi in realtà, ma devo capire come.
«Sono curioso, voglio saperlo se te lo dice.»
Smette di guardarmi e torna a sedersi dritto sul sedile. Ora sono io a guardarlo.
Non smetto di pensare alle cose che mi ha detto al lido, nei confronti di quel rosso di merda.
Di come lo trattava, e dello schifo che ha subito.
Mi chiedo se i suoi lo sappiano, mi chiedo se è riuscito a parlare con loro come ha fatto con me.
«Quanti anni avevi?»
E si volta nuovamente verso di me, ma dura poco, perché poi torna a guardarsi i piedi.
«Diciassette.» Risponde sottovoce.
Butto il mozzicone della sigaretta aprendo leggermente il finestrino.
«I tuoi lo sapevano? Quello che vivevi intendo.»
Lui sospira, ma finalmente alza lo sguardo.
Bravo ragazzo!
«Non del tutto, mi vedevano spesso con le labbra spaccate e con le mani consumate, ma...» Fa una pausa, si volta verso di me, ma sembra aver perso la lingua.
«Se non vuoi parlarne lascia stare.»
In questo momento lo vedo fragile, un po' come mio figlio, riesco a immaginarmelo diciassettene con la faccia malmenata e con i pugnu consumati dai colpi che molto probabilmente ricambiava contro Simon. Perché Cameron non mi sembra affatto un ragazzo che subisce senza agire, lo vedo come uno che pretende rispetto e riesce a farselo portare, in questo è simile a me.
Lo guardo e riesco a empatizzare con lui, a capire quanto possa essere difficile accettare di essere stato una vittima.
«No, non è per questo, è che non riesco ad accettare la mia stupidità, mi vergogno...»
E quindi ci ho preso, era quello che mi arrivava.
«I miei sapevano della mia relazione con questo ragazzo più grande di me, non ne erano felici, lui non piaceva a mia madre, era preoccupata del fatto che uscissi con lui...» Fa una pausa e io continuo a guardarlo.
«Ma io me ne fregavo, ho sempre fatto il cazzo che mi pare. Non ascoltavo nemmeno mio padre, che può sembrare strano, ma lui era più severo di mia madre. Penso che i padri lo siano sempre di più delle madri. Ma niente, continuavo a starci, continuavo a concedermi, continuavo a farmi mancare di rispetto.»
«Perché?» Lo blocco.
«Pensavo di esserne innamorato.»
Mi sono sempre chiesto cosa spinga le persone a stare con qualcuno che le faccia soffrire.
Mi sono sempre chiesto perché mia madre stava con uomini che la picchiavano, la usavano, e mi chiedo sempre come sia arrivata così in basso dopo aver avuto mio padre come uomo accanto.
Lo chiedo a Cameron per capire, ma la sua risposta non mi soddisfa, come puoi pensare di amare qualcuno che in cambio ti dà solo pugni in faccia?
«Hai detto che era più grande di te, di quanto?» Chiedo ancora. Ma più che altro perché voglio conoscerlo, Cameron intendo, e ovviamente anche il rosso con cui, sono sicuro al cento per cento, avrò a che a fare.
«Dieci anni in più di me.»
Ora capisco perché a Megan preoccupava questa cosa. Anche io lo sarei se mio figlio avesse diciassette anni e il suo ragazzo ventisette, e fra l'altro vederlo rientrare a casa con la faccia spaccata dopo che è uscito con lui mi preoccuperebbe di più.
«Era geloso, violento, ed egoista.» Distoglie lo sguardo da me e guarda il finestrino, mentre io non mi stacco da lui.
«Ma io agivo, non lo lasciavo, ma se mi metteva le mani addosso non mi facevo picchiare da lui. Ma ai tempi non ero grosso come lo sono ora, quindi le prendevo sempre io di più. Ma non mi feriva picchiandomi, almeno non fuori, mi feriva dentro.»
Lo rendeva fragile, impotente, ed è una cosa che odia anche Cameron.
«Penso che i miei problemi con la rabbia siano peggiorati da lì, dal primo momento che ha iniziato a picchiarmi.»
I suoi problemi con la rabbia...
Ne sapevo qualcosa, ma non sapevo cosa c'era dietro.
Dietro una persona spesso aggressiva c'è quasi sempre una persona tanto arrabbiata, proprio perché ha subito qualcosa che lo ha incattivito.
Proprio come me.
«Ti giuro, quando l'ho visto al lido, a parlare con il mio Steve, ero intenzionato di alzarmi, afferrargli la faccia e sbattergliela ripetutamente sul bancone, fino a quando nemmeno sua madre lo riconosceva più... ma non l'ho fatto, proprio per tuo figlio. Perché se Steve non fosse esistito mi sarei vendicato, e senza rimorso.»
Mi viene da ridere in un modo soddisfacente, perché apprendo completamente il suo discorso.
Perché anche io ho picchiato in passato senza rimorso.
«E quindi no, con i miei non ho mai parlato così, non gli ho mai raccontato nel dettaglio cosa succedeva, ma penso che loro abbiano capito, almeno in parte.»
«Perché? Magari potevano aiutarti.» Lo chiedo, tanto per sapere cosa risponde, perché so benissimo che non sono cose che un figlio racconterebbe a un genitore.
«Luis non mi prendere per il culo.»
Rido, e lui ricambia.
Mi fa piacere che si sia fidato di me, ma non glielo dirò mai.
«Perché quella volta mi hai aiutato?» Chiede subito dopo.
«Quando?»
«All'ospedale, quando non riuscivo a camminare e mi hai aiutato ad alzarmi dal letto.»
Adesso ho capito di quale episodio parla.
Mi ricordo gli occhi lucidi di Steve. Non sapeva cosa doveva fare, voleva aiutarlo, ma non sapeva come.
«Ah, quando frignavi come una ragazzina perché non riuscivi a restare in equilibro?» Lo prendo in giro.
«Non frignavo come una ragazzina!»
Lo guardo e gli faccio un cenno con le dita, che sta a significare "poco poco".
Mi dà uno spintone e scoppio a ridere.
Chi l'avrebbe mai detto che un domani mi sarei trovato parcheggiato su un pick up non mio a parlare con il figlio di Ryan.
«Allora perché?»
«Perché ti vedevo come quel bambino che correva nel mio giardino che a un certo punto cade e si fa male, quindi non volevo che provassi ancora dolore e ti ho rimesso in piedi.»
A Cameron sparisce il gnigno sorridente e diventa serio, e anche io.
«Me lo ricordavo il bambino con i capelli biondi con cui giocavo, ma non so perché non ho mai chiesto di lui.»
Perché era destino che doveva riincontrarlo come uno sconosciuto.
«E di te che non mi ricordo, e nemmeno di Katrine, mi ricordo solo di quel bambino, ma non il suo nome. Però ho dei vaghi ricordi di me che corro in un giardino gigantesco insieme a Steve. Io lo superavo sempre, e lo prendevo in giro per questo, ma lui non si arrabbiava mai con me, anzi, ci riprovava sempre, poi non ricordo altro, anche se vorrei.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top