31° parte

Luis

Quando andiamo via dal lido, Ryan sembra molto pensieroso, come se il mio interessamento nei confronti di Erika l'abbia indotto a riflettere.

Mi volto leggermente verso di lui, per poi tornare a guardare la strada davanti a me.

«Cosa succede?» Gli chiedo all'improvviso.

Ryan sussulta, come tornato alla realtà, si porta una mano sulla fronte e sospira pesantemente.

Quel sospiro mi arriva forte e chiaro, è stressato, ha paura per qualcosa, e forse credo di aver capito quale sia la motivazione.

«Cameron lo sa?» Gli chiedo ancora.

Non credo che il mio migliore amico abbia le palle di andare da suo figlio a dirgli che si trova in crisi con sua madre perché a cinquant'anni suonati ha lasciato un lavoro stabile che coltivava da una vita.

Ryan ha studiato per diventare professore d'arte. Era tutto il suo mondo, e infatti è riuscito nel suo intento, adesso non ho ben capito perché abbia mollato.

Non penso proprio che il motivo sia solo quello che mi ha detto, non credo che Ryan abbia lasciato il suo lavoro per poter stare più tempo con la sua famiglia.

«No, Luis, Cameron non lo sa...»
Scansa la mano dalla sua fronte, e velocemente la lascia scorrere via su tutto il suo viso.

È proprio stressato.

«Perché non glielo dici?»

Si volta di scatto verso di me, come se avessi appena bestemmiato.

«Ma tu sei pazzo!»

Lo esclama talmente tanto forte che penso l'abbiano sentito pure le persone in strada.

«Dici che non capirà?»

«No, Luis, Cameron non capirà. Litigheremo, mi dirà che sono un coglione, darà ragione a sua madre, e poi non mi rivolgerà mai più la parola!»

Non simpatizzo con Cameron, ma non lo faccio un ragazzo così poco maturo. Non penso che farà i complimenti a suo padre, ma sicuramente non smetterà di parlargli.

«Steve però, ne è al corrente.»

«Perché hai messo mio figlio in mezzo?!» Mi volto verso di lui, ma Ryan non mi guarda, sa benissimo che la cosa mi infastidisce, e anche parecchio.

«È stato lui a chiedermelo. Ha fin da subito capito che nascondevo qualcosa, quel ragazzo è proprio tuo figlio...»

Sorrido, questa cosa mi rende orgoglioso e soddisfatto.

«Be', cerca di non mettere troppo in mezzo mio figlio, finisce che li fai litigare se Cameron scopre che Steve lo sa, e se Steve ne risente, puoi stare certo che ti spacco la faccia!»

Arriviamo nel vialetto dell'appartamento dei nostri figli.

Suoniamo alla porta e ci appare davanti il dorso nudo di Cameron.

Si stropiccia ripetutamente gli occhi, sembra essersi appena svegliato.

«Papà, Luis!» Saluta.

Ricambio con un cenno, mentre Ryan lo avvolge dalle spalle.

La prima cosa che faccio è cercare Steve, ma lui sembra non esserci.

«È di sopra, si sta vestendo.» Mi comunica Garcia.

Ci sediamo attorno al tavolo e Ryan dà i cornetti a suo figlio.

Nello stesso momento sbuca Steve.

«Buongiorno!» Sembra smagliante.

Da un bacio sulle labbra al suo ragazzo. Saluta Ryan, poi saluta me.

«Ciao, figliolo!»

Si fionda sul cornetto al cioccolato e con tutta la bocca piena ringrazia Ryan per averglielo portato.

Che figlio ingordo.

«Oggi pomeriggio io e Luis andiamo a bere qualcosa insieme, venite?» Propone il mio amico.

Pensavo che già lo sapessero in realtà.

«Io non posso, sono di turno al lido, ricomincio proprio oggi, ma possiamo fare un'altra volta.»

Cameron gli pulisce l'angolo della bocca con un tovagliolo, questi due sembrano una cosa sola.

«Allora io non vengo.» Dice Garcia.

«Perché?»

«Che cosa devo venire a fare, papà?»

Steve si volta a guardarlo.

«Cosa c'entra, non è perché non ci sono io tu non devi andare.» Sembra proprio un rimprovero il suo.

Ryan stava per dire qualcosa, ma la mia risata improvvisa lo interrompe.

Si voltano tutti verso di me, pronti a sentire quello che sta per uscire dalla mia bocca.

«Il problema è che ci sono io senza di te.» Mi riferisco a Steve.

Be', lo capisco, in fin dei conti cosa c'entra Cameron con me e suo padre se Steve non c'è?

«Hai per caso paura di stare con me se mio figlio non è presente?» Lo provoco.

«Perché dovrei avere paura di te?» Mi risponde lui. Gli sorrido ancora, mi alzo e mi porto una sigaretta fra le labbra.

«L'ho fatta prima io la domanda.» Gli rispondo.

Lo continuo a provocare con lo sguardo, poi senza aspettare più una sua risposta mi allontano al di fuori per accendere la mia sigaretta.

Mi siedo sul gradino, quello della porta dell'ingresso, e fumo, aspiro così avidamente quella sigaretta, come se fosse la mia peggior nemica. Come se avessi i nervi a fior di pelle e non riuscissi a fermarmi. Ma in realtà, sembra che oggi mi sia alzato con la testa vuota.

In questo preciso istante, niente mi balena per la testa. È come se avessi messo i pensieri in stand by, e la cosa non so se mi preoccupa oppure no.

Ed è patetico tutto ciò, perché solitamente penso troppo, e maledico i miei stessi pensieri, e quando non li ho, è come se mi mancassero. Perché nella mia vita, quando è tutto così silenzioso, in realtà si cela una gran giornataccia di merda.

Due ore più tardi, mi trovo nel mio appartamento, da solo. Non quello di mio padre, ma il mio nuovo appartamento. È silenzioso come al solito, talmente tanto che si percepisce il rumore della lancetta dell'orologio. Questa casa è vuota, ma non vuota a livello di mobili o oggetti di abbellimento, è vuota perché non ho nessun ricordo qui. Non ci sono stati i miei figli, non c'è stata Kat.

È vuota di persone, di sentimenti, di emozioni, non la ritengo casa mia... mi sto rendendo conto che, solo adesso che ho cinquant'anni, che mi affeziono alle case in cui sono stato. Non in modo materiale, ma in modo emotivo.

Vado nella mia stanza da letto, apro la finestra, essendo che non ci sono stato per due giorni, c'è puzza di chiuso. Mi volto e mi imbatto nello specchio, mi guardo, e forse... è questa la risposta che stavo cercando, mi continuo a guardare, e mi rendo conto che quello a essere vuoto sono io, non la mia testa, non la casa, ma io. 

Mi rifiuto di guardarmi ancora, mi stendo sul mio letto, ho la testa rivolta al tetto, e mi sforzo, mi domando... cosa c'è che mi manca?

Cosa mi manca per sentirmi nuovamente pieno?

Mi sforzo, continuo a sforzarmi, niente... non mi viene in mente nulla.

E poi chiudo gli occhi, mi addormento.

Quando mi risveglio, sono coperto di sudore. Solitamente succede quando faccio un sogno, ma che io ricordi non ne ho fatto nessuno.

Mi alzo molto lentamente, mi spoglio lasciando i vestiti sudati per terra e mi infilo in doccia.

Apro il getto dell'acqua fredda, e la lascio scorrere sul mio corpo accaldato, fino a quando non mi accovaccio sul piatto doccia e appoggio le braccia sulle ginocchia.

Non so quanto tempo io abbia passato in quello stato, ma è come se il tempo si fosse fermato, non mi sono reso conto che dovevo alzarmi.

Sono congelato, ho i palmi delle mani bianche data la troppa acqua che ho assorbito.

Tutto a un tratto qualcuno suona al campanello, ed è per questo che, alla fine, mi sono deciso ad alzarmi.

Metto un asciugamo attorno alla vita, e senza curarmi che sono ancora zuppo, vado ad aprire la porta, è Ryan.

«Ma stamattina che cazzo hai combinato? Sei andato via senza dire niente, Steve ti cercava.»

Dopo essermi fumato la sigaretta, sono andato via, mi sentivo troppo strano, dovevo allontanarmi a tutti i costi.

Non rispondo a Ryan, entro in casa e torno in camera da letto a vestirmi, e il mio amico mi viene dietro.

«Allora?!»

«Ryan, dovevo tornare a casa!» Sbotto.

Lui sembra capire la mia esigenza, infatti non fa altre domande.

«Ti aspetto in macchina, va bene?»

Per un momento stavo per rispondere "perché" poi mi sono ricordato che dovevamo andare a bere una birra insieme.

«Arrivo.» Rispondo.

Lui sparisce, e io finisco di vestirmi.

Quando raggiungo Ryan, mi meraviglio di vedere Cameron seduto nei sedili dietro.

Alla fine è venuto, immagino che non abbia apprezzato la sfida di stamattina, quindi per non farmi capire che avevo ragione io, ha deciso di venire.

Mi siedo sul sedile, e come se fosse la mia macchina accendo la radio.

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