29° parte

Luis

«Puoi lasciarmi adesso!»

Lo dico in un modo del tutto calmo, anche se il mio cuore batte ancora troppo forte, anche se il sudore cola ancora dalla mia fronte.

Anche se sento già il pentimento che mi possiede. Perché molto probabilmente ho giocato a carte scoperte, e se si tratta di me... non lo faccio mai.

Ma ormai è troppo tardi, il mio migliore amico mi tiene ancora fermo, nonostante gli abbia detto di potermi lasciare, semplicemente perché, Ryan percepisce tutto quello che ho espressivamente detto. Come se alla fine, quel dolore glielo avessi inflitto davvero.

Ryan non molla la presa, anche se la sento sempre meno salda, e alla fine fa quello che pensavo stesse per fare.

Mi abbraccia, facendo scivolare le sue braccia dalle mie spalle al petto, e mi stringe, proprio come un bravo amico farebbe.

Glielo lascio fare, non so bene il motivo. Forse perché ne ho bisogno? Forse perché è come dice Steve?

Forse voler un abbraccio non vuol dire essere deboli, però io... cazzo se mi sento vulnerabile quando qualcuno mi abbraccia, e non so se mi convinca quella sensazione di... protezione che percepisco, anche solo per un secondo.

E chissà, forse è questo, forse significa questo ricambiare amore. Ho sempre pensato che amare fosse un meccanismo troppo complicato.

Invece... forse è così dannatamente semplice.

Appoggio la mia mano sopra quella di Ryan, come a rassicurarlo, ma non so di cosa, non so il perché, ma sento di farlo, e a volte vorrei capire perché faccio una determinata azione.

Vorrei avere il manuale della vita, e che risponda a tutte le mie fottute domande.

Ma infondo ci sentiamo tutti un po' così... così insensati in questo mondo. Così sbagliati nella nostra vita, come se fossimo dannati da chissà quale Dio ci guardi.

Siamo tutti un po' annodati da corde indistruttibili, e stringono, stringono sempre di più quei nodi insormontabili.

«So che la colpa non è mia, ma sappi che mi dispiace di non esserci stato...»

Ryan lo sussurra, come se fosse sul punto di mettersi a piangere, spero non lo faccia sul serio. Mi sentirei troppo a disagio, anche se non lo mostrerei mai.

Mi sentirei, non so... in colpa. E diciamo che è stato già appurato che io di colpe ne ho tante, e non me la sentirei di subirmi anche questa.

«Tutto passa, Ryan!» Rispondo secco, senza alcun tipo di sentimento in volto.

Basta, adesso basta vulnerabilità.

Gli lascio la mano, e mi allontano da lui, giusto per afferrare il mio pacchetto di sigarette.

Giusto per mantenere a distanza quell'alone di tragiticità.

Vado a fumare l'ennesima sigaretta. Mi appoggio alla ringhiera del balcone, e mi ritornano in mente dei ricordi...

Un me bambino che guardava mio padre riparare una moto che presto o tardi mi avrebbe regalato.

Oppure di quella volta in cui vidi i miei litigare per chissà quale cosa.

Non ho mai capito perché mio padre avesse voluto il divorzio, o del perché mia madre si fosse invischiata nell'alcol e nella droga.

Sapevo e so che litigavano molto, anche davanti a me, e finiva sempre che volavano delle cose. Finivano per colpirsi. Quello che si faceva male il più delle volte era mio padre, perché lei non era in sè, e lui non si sarebbe mai permesso di picchiare la sua donna.

E chissà, forse proprio la dipendenza di mia madre ha fatto in modo che il loro rapporto si rompesse.

Ma la verità è che ne so poco, so poco della mia vita da ragazzino, so solo che un maledetto giorno mio padre ha deciso di togliersi la vita. Ha deciso di tagliarsi le vene, proprio nel suo appartamento, e che io l'ho trovato nella vasca da bagno in una pozza di sangue.

Non potrò mai dimenticare il suo viso pallido, l'acqua della vasca che ormai era diventata rossa.

Non potrò mai dimenticare il dolore di un bambino di appena otto anni che trova il proprio padre privo di vita.

E non potrò mai dimenticare la felicità che provavo solo cinque minuti prima di entrare in questa casa.

Avevo preso un bel voto in matematica, e io facevo schifo in quella materia.

Volevo solo condividere il senso di vittoria che provavo con mio padre.

Per poi rendermi conto che, dove io stavo vincendo un bel voto in un compito di matematica, lui invece... stava perdendo la cosa più importante della vita: la voglia di vivere.

«Sai, stavo pensando ai pomeriggi passati qui.» Ryan si avvicina a me.

E sembra come se lui avesse capito a cosa sto pensando, perché non appena lo guardo, il sorriso che mi stava porgendo fino a qualche secondo fa si spegne.

«Ci pensi mai a lui?» Gli chiedo di botto.

«Luis...»

Sì, ha capito a chi stavo pensando. Ryan sembra come se voglia rimuovere quello che mio padre si è fatto.

Quando provavo a parlarne, lui cambiava argomento, proprio come sta facendo adesso.

«Ti ho chiesto soltanto se ci pensi mai...»

«Certo che ci penso, amico. Era un secondo padre per me.»

E allora perché non ne parli mai?

«Io ho come l'impressione che tu voglia dimenticarlo, invece!» Sbotto.

Butto il mozzicone della sigaretta sul posacenere e distolgo lo sguardo da Ryan, concentrandomi sul punto in cui quella volta i miei genitori litigarono.

"Luis è solo un bambino, dovresti avere più cura di lui!"
Diceva mio padre.

Mi sembra di rivederli lì.

Forse litigavano per me.

«Non potrei mai dimenticarlo, come non ho dimenticato te nel periodo in cui abbiamo perso i rapporti, e lo sai perché?»

In realtà non so nemmeno se mi importa sapere davvero il motivo, ma lo incito comunque a parlare.

«Perché siete stati la mia famiglia, e tu per me lo sei ancora.»

Mi volto verso di lui, e so che è sincero. Anche lui lo è stato per me, e lo è tuttora.

Ma penso che certe cose non bisogna dirle, lui lo sa che può contare sempre su di me.

Che se commettesse un errore, che se per puro caso finisse invischiato in un omicidio io lo aiuterei a nascondere il cadavere.

Ma non dico niente, non rispondo alla sua dichiarazione, ma lui sa che a differenza di anni per me è lo stesso, lui mi conosce davvero, sa chi sono, chi ero, cos'ho fatto e cosa rifarei.

«Andiamo a letto, Ryan...»

"Andiamo a letto perché mi sento stanco" avrei voluto dire.

Perché mi sento stanco emotivamente, perché ho troppe domande che mi frullano per la testa. Perché nessuno può darmi le risposte, e perché non ho capito che c'era qualcosa che non andava in mio padre che l'ha spinto a suicidarsi.

Ma alla fine avevo solo otto anni, e non sapevo niente della vita. Vedevo solo cose che non avrei mai dovuto vedere, cose a cui non sapevo dare un significato.

Ero solo un bambino felice di aver preso un bel voto in una stupida verifica di matematica.

«Sì, andiamo a letto, che domani andiamo a bere qualcosa come ai vecchi tempi.»

Già, come ai vecchi tempi, peccato che dei vecchi tempi a volte mi sembra di ricevere solo pugni feroci sul petto.

Un po' come se ti lasciassero senza respiro.

Spazio autrice:

Questo capitolo è stato difficile da scrivere, pensate che ci ho messo un bel po' a concluderlo, ma spero vi piaccia!

Dalla vostra autrice del passato è tutto!🌹

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