23° parte
Non esistono scheletri nell'armadio. Esistono i demoni che ti porti dentro, quelli sì che fanno paura.
Brenda Settembre
Luis
"Sempre più a fondo."
Giù. In basso. In mezzo al nulla. Nel buio più totale.
"Sempre più a fondo."
Sangue, schifo, nessun senso di colpa.
"Sempre più a fondo."
Era un sussurro, un sussurro violento. Un sussurro gelido... avevo i brividi per tutto il corpo. Mi faceva male la testa. Sentivo le vene pulsare sulle tempie.
Sudavo, non ce la facevo più, stavo scoppiando... cosa che sapevo che prima o poi sarebbe successa.
Io non ero più in me.
Fisicamente ero in quella stanza, ma mentalmente non c'ero.
Vendicati, fagli male...
Quella cazzo di vocina mi confondeva ancora di più.
"Ancora più a fondo."
Gli volevo urlare di tacere, ma non sapevo più parlare. Non sapevo più il mio nome, non sapevo più nulla.
Vendicati...
E cosa è successo alla fine? Alla fine ho perso la testa... ho perso completamente la testa e l'umanità.
Avevo finito per diventare qualcosa che non aveva ancora conosciuto... avevo toccato il fondo, proprio come diceva lui.
«Papà...»
Sento il mio corpo muoversi. Come se qualcuno mi stesse strattonando.
Non riesco a muovermi, sono bloccato sul letto a guardare un punto fisso.
Come se stessi sognando a occhi aperti, come se fossi un telespettatore di qualcosa di incredibilmente bello.
Bloccato, fermo, mentre la mia mente viaggia... fa un viaggio troppo turbolento e drammatico.
«Papà...»
A un tratto vedo della luce e un viso familiare.
È davanti a me e mi fissa preoccupato.
E io ancora non riesco a identificare niente.
«Ci sei?»
Mi volto lentamente, e afferro quel viso.
E non so perché, d'istinto stringo forte, al punto da sentire la persona che ho davanti irrigidirsi.
«Papà, mi fai male...»
E stringo ancora, senza capirci realmente qualcosa. Mi sento come se avessi un estraneo impazzito dentro.
«Papà... sono io. Lasciami su...»
Papà... ed ecco che torna la vocina.
Rallento di pochissimo la presa, e mi avvicino a quel volto.
«Papà, tu non vuoi farmi male...» La sua voce è bassa, ha paura. Lo leggo nei suoi occhi chiari, è terrorizzato.
E poi... stringo nuovamente.
«Papà...» Delle lacrime gli rigano il volto. Cerca di scansarsi, la mia presa è troppo forte.
Mi afferra le mani con le sue, ma non riesce a tenermi testa.
«Papà, sono Steve... tuo figlio.» Lo dice in tono spezzato.
Steve...
Porta la sua mano sulla mia guancia, e l'altra sul mio petto, è come se non sapessi che il mio cuore batte... mi meraviglio del rumore insistente del mio petto.
«Lasciami, papà, io ti voglio bene, molto...» Continuo a guardarlo, e pian piano acquisisco lucidità.
«Steve...» Pronuncio a bassa voce.
«Sì... papà.»
E come se mi fossi scottato dalla sua pelle... lascio subito la presa, e lui si allontana.
Mi guardo le mani, provo... paura.
Mi sento impaurito, come quando da piccolo cercavo mio padre nella notte, nella mia camera minuscola, e lui... cazzo lui non c'era mai.
Mi sollevo dal letto, e guardo Steve che mi sta guardando con occhi spalancati e impauriti.
Prova anche lui timore.
«Mi dispiace io...» Cerco di avvicinarmi a Steve, ma lui si allontana nuovamente.
Si passa nervosamente le mani sul viso, e si asciuga le lacrime.
«Che cosa cazzo ti è preso?!» Urla. Poi si tappa la bocca.
«Non lo so...»
«Non lo sai?»
Faccio di no con la testa, e poi mi accorgo che Steve si avvicina alla porta.
«Dove vai?» Mi alzo.
E non appena mi trovo davanti a lui si allontana ancora.
Mio figlio ha di nuovo paura di me...
«Sai che non volevo farti del male, vero?» Non risponde. Continua a guardarmi come se temesse che da un momento all'altro finissi per aggredirlo nuovamente.
«Lo sai, Steve? Dimmi che lo sai...» Mi avvicino ancora. Cerco di sfiorarlo ma scansa via la mia mano.
«Non toccarmi!» Ringhia. E questa frase credo mi abbia colpito come una lama affilata sulla schiena.
«Mi dispiace io non ero cosciente di quello che stavo facendo... davvero, cazzo...» Mi blocco sentendo una dolorosa fitta alla testa.
«Vieni qui, ti prego...» Mi sento stupido a doverlo addirittura pregare, ma voglio che lui lo sappia. Voglio che sappia che non gli farei mai più del male.
«Cosa è successo, papà...»
Non glielo devi dire.
Non glielo posso dire, non posso dirgli che in quel momento non era il suo volto quello che mi appariva davanti.
«Dormivi, e allo stesso momento ti agitavi, poi hai aperto gli occhi, e non ti muovevi più...»
Non so bene cosa mi sia successo, ma non voglio che accada ancora. Soprattutto se ho delle persone che amo al mio fianco.
«Credo che stessi sognando.»
«Cosa?»
«Non me lo ricordo...» Mento, perché me lo ricordo eccome.
«Menti!»
«Perché dovrei?»
«Perché sono sicuro che ci sono molte cose della tua vita che non mi vuoi dire.»
Io voglio solo proteggerlo dai miei errori, non voglio che sappia che suo padre è stato sia un artefice che una vittima al tempo stesso.
Non voglio che mi veda debole. Un po' come è successo a me con mio padre.
«Perché hai delle foto strappate?»
«Cosa?»
«Mentre ti aiutavo con il trasloco ho visto delle foto strappate.»
Sto per incazzarmi, e Steve penso lo percepisca. È nervoso, si tira le dita, e io conosco tutti i suoi gesti, e quello che stanno a significare quando li mostra.
«Chi cazzo ti ha dato il permesso di toccare la mia roba?!»
«Era inevitabile.»
«Invece no! Dovevi solo portare via i scatoloni, non dovevi toccare!»
«Potresti non cambiare discorso? Ti ho fatto una domanda...»
E adesso quello che provo è rabbia allo stato puro.
Non doveva vedere quelle foto, non doveva mettere le mani sulle mie cose, non ne aveva nessun diritto.
«Vai a letto, Steve!»
«No!»
«Ti ho detto di andare a letto!» E quello ad alzare la voce adesso sono io.
Tanto da sentire dei passi provenire da fuori la porta.
Cameron deve aver sentito il casino.
«Non sono più un ragazzino, non puoi dirmi cosa fare. Quindi voglio una risposta, papà... da cosa ti nascondi?»
Da cosa ti nascondi?
In quel momento Cameron appare davanti la porta della mia camera.
«Cosa succede qui?»
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