3-Visitando il locale
Adam non era mai stato un tipo speciale, tutt'altro.
Si definiva ordinario, il genere di persona che viveva bene a Sferiano dato che era una tranquilla quanto banale città. Gli piaceva vivere lì e, al contrario di sua sorella, mai aveva pensato di trasferirsi, anche se in certi giorni si annoiava molto e, a malincuore, li doveva passare sdraiato sul divano senza neanche uscire per una passeggiata.
Lui sapeva di non aver nulla di speciale, se non considerava la sua sincerità, qualità che gli aveva messo in testa, per sbaglio, suo padre fin da quando era piccolo.
"Se dirai un'altra bugia ti lavo quella lingua con il sapone!"
Gli urlava disperato suo padre arrabbiato, rincorrendolo anche se non riusciva a prenderlo dato che era piccolo e molto veloce, soprattutto quando trovava dei disegni sugli immacolati muri e Adam, ridendo, dava la colpa a sua sorella Clara anche se mentre correva teneva fra le mani i pennarelli.
E così ad Adam era venuta questa strana fobia riguardo le bugie, ma soprattutto verso il sapone, che continuava a comprarlo liquido nonostante non vivesse più con i suoi genitori.
Adam non si era mai sentito speciale, predestinato a chissà quale avventura, il protagonista di una storia che si chiama vita, tutto ciò lo considerava uno spreco di tempo e non invidiava gli altri che grazie alla così detta ambizione scappavano dal loro paese per seguire i loro sogni. Preferiva rimanere nel suo caldo guscio, ritenendosi solo una comparsata, una di quelle persone che durante la scena principale, lui passeggiava nell'inquadratura dietro i due protagonisti, tenendosi stretto il telefono e stando comunque attento a dove camminava.
Nulla lo interessava per davvero e poche volte era curioso. Non aveva nemmeno un vero e proprio hobby; non sapeva disegnare, non sapeva suonare alcun strumento ed era negato con qualsiasi tipo di sport non essendo per nulla coordinato. C'era stato un tempo però in cui aveva trascorso molti giorni con la vecchia macchinetta fotografica Canop di sua madre. In quel periodo, nella casa in cui viveva, si era arredato uno piccolo sgabuzzino di nemmeno 4 metri quadrati come camera oscura, ma questa passione non durò a lungo, il tempo di ricominciare a dare libero sfogo con la sua accidia, lasciando così impolverare quella macchina fotografica.
Trasferito a diciotto anni in un piccolo appartamento, sempre nella stessa palazzina su cui vivono i suoi genitori, viveva la sua tranquilla vita fra studio, cucina, lettura, pulire e stirare i vesti, interagire con i suoi amici grazie ai social e, ciliegina sulla torta, i videogiochi. A volte usciva anche la sera, ma come ribadito fin troppe volte, a Sferiano non c'era nulla da fare se non scappare da lì ed il primo divertimento che si poteva incontrare fuori dalla città erano discoteche dove la musica hause regnava sovrano. Ogni volta che ci andava se ne pentiva sempre a causa del mal di testa che gli veniva il giorno dopo.
Due anni da solo in quell'appartamento e ancora non aveva capito come divertirsi, infatti, quel giorno, Adam si annoiava.
Sua sorella se ne era appena andata promettendogli che si sarebbero rivisti a cena, ma era ancora mattina e non sapeva che fare fino a quel momento. Sdraiato sul letto, aveva pensato di chiamare qualcuno, ma tutti gli amici che aveva, a detta di Adam, avevano deciso di scioperare quel giorno.
Si alzò dal letto per dirigersi in cucina quando notò che sul tavolino con la tovaglia a quadretti, Clara aveva dimenticato il foglio su cui c'era scritta la versione romanzata di una descrizione fatta male di un locale.
Stava per metterlo via quando si rimise a leggere quel prologo da quattro soldi.
...
Era incredibile, anche se Adam non l'avrebbe mai ammesso.
Quel testo ridicolo aveva attirato la sua attenzione.
Decise allora di uscire ed andare a vedere di persona quel locale che aveva fatto tanto colpo su sua sorella; seguì le istruzioni che gli aveva dato quella stessa mattina e proprio vicino al fiume, in un vicolo che si affacciava ad una piazza, c'era il così detto bar con la scritta dorata "Carnival".
Il posto era completamente cambiato; Adam non passava mai per quel vicolo dato che era sempre sporco ed i barboni erano abituati a fare i loro bisogni all'angolo della piazza, ma ora che vedeva come era migliorato il posto non poteva che fare i complimenti a questo Riokey. I mattoni avevano riacquistato il loro caldo bordò, le finestre rotte erano state sostituite da vetrate con mosaici di tutti i colori e la grande porta era sia in vetro che in legno scuro da cui sbucavano due pomelli dorati.
Era tutto così elegante e a tratti vintage, solo una cosa stonava talmente tanto da far alzare un sopracciglio ad Adam e farlo bloccare davanti l'ingresso.
Sulla porta, con dello scotch trasparente, era attaccato un foglio con scritto una frase contenente due semplici parole dal significato abbastanza esplicativo.
"Rutto libero."
Adam rimase lì, interdetto, a fissare quel cartello, chiedendosi del suo significato intrinseco o filosofico che poteva nascondere codesta frase. Non trovandolo, aprì la porta.
Il rumore di un campanello lo accompagnò in quel salto temporale.
Non aveva mai visto un posto del genere, non a Sferiano comunque, forse in un film, ma nemmeno ricordava in quale. Quel locale era la fusione perfetta tra un saloon western ed un bar che, illegalmente, vendeva l'alcool durante il proibizionismo in America negli anni venti. Era queste due accozzaglie di stili, due luoghi ambientati in un lasso temporale lontani fra di loro, ma che andavano a confluire squisitamente davanti ai suoi occhi.
Il locale era prevalentemente in ombra, alcuni raggi di luce calda illuminavano il bancone in legno scuro e pesante. I vari tavoli per i clienti erano posizionati sotto le finestre a mosaico creando sul legno dei giochi di luce dove i colori più disparati delicatamente danzavano. Anche se era mattina tarda, i clienti erano davvero pochi contando che due erano su un tavolo a mangiare dolci ed uno se ne era appena andato via suonando di nuovo il campanello. Un buon odore di caffè aleggiava nell'aria che si sposava con quell'atmosfera... Ed un uomo con la camicia bianca mal messa era al centro del locale a pulire con la scopa con la stessa voglia che aveva un delinquente di pulire la sua cella.
Sembrava essere l'unico dipendente, pensò Adam non vedendo altre persone e si appropinquò verso la cassa senza però che qualcosa cambiasse. Passarono venti secondi e il tizio che stava ancora spazzando non gli aveva degnato di uno sguardo.
-Ehm... Scusa?
Adam si spostò dalla cassa per piazzarsi di fronte a quella persona. Ora che gli era davanti notò la mostruosa differenza di altezza che si mostrava prepotentemente fra di loro.
"Quanto diavolo sarà alto? Due metri?"
Ma il gigante, anche fin troppo snello, ancora non gli degnava di uno sguardo.
Se Adam non ricordava male, da quello che aveva letto dallo scritto di Clara, Riokey doveva essere alto un metro e settanta se non di meno, quindi il biondo che aveva davanti non poteva essere altro che il bel tipo silenzioso a cui sua sorella aveva messo gli occhi addosso.
-Ehm...
Non sapeva come attaccare bottone, avrebbe fatto meglio ad andarsene e non tornare mai più per quanto disagio stesse provando nel vedere quella persona spazzare invece di starlo a sentire. Era una sensazione orribile sentirsi invisibili...
Ed invece di scappare con l'orgoglio ferito, anche se il cameriere non aveva fatto effettivamente nulla, iniziò a parlare della prima cosa che gli venne in mente.
-Scusa, ma... In che senso "Rutto libero"?
Il biondo alzò di poco gli occhi glaciali e senza anima fissando quelli semplici e castani di Adam. Ad inquietare il tutto era una piccola cicatrice sulla tempia che lo rendeva più spaventoso. Il povero ragazzo poteva sentire il freddo che gli entrava nella pelle, che si insinuava nel sangue fino ad arrivare dritto nelle ossa, anzi, dritto nella sua anima. Scordandosi di stare a fissare uno sconosciuto in mezzo ad un bar, si chiese come potevano esistere degli occhi del genere; erano strabilianti, un semplice umano non poteva neanche immaginare una simile tonalità. Incantato da quel celeste così chiaro, un cielo nel quale stava cadendo a velocità elevata tanto da farlo spaventare e sudare freddo, il proprietario di quegli occhi emise un particolare rumore con la sua bocca.
Per la seconda volta in quella giornata, Adam rimase interdetto, non capendo cosa fosse successo, riassumendo nella sua mente ciò che era appena accaduto.
Quel tizio, una persona che non aveva mai visto prima, bello da incantare qualunque madamigella con il suo sguardo tagliente... Anzi, con tutto ciò che aveva, facendo invidiare il povero Adam... Quel tizio, quel tizio così alto che doveva rivolgere lo sguardo in basso per rivolgergli la parola, che invece di spiegare quel cartello... Preferì mille volte fargli una dimostrazione.
Quel dipendente aveva appena ruttato in faccia ad Adam.
Quest'ultimo fece fatica a riprendersi da quel gesto, stupendosi anche del fatto che un atto del genere non puzzasse affatto, anzi, una ventata di profumo alla mente invase le sue narici. Sbatté le palpebre ed alla fine si tolse definitivamente lo stupore di dosso.
-Va bene... Capisco tutto quanto.
Disse indietreggiando.
-Si... Ok. Se permetti, io vado, é stato veramente... Come potrei dirtelo... Un orrore, si... è stato disgustoso incontrarti, già. Addio.
Si girò per nascondere la sua espressione corrucciata, deciso come non mai ad andarsene per non tornare mai più, per poi bloccarsi nuovamente dato che dalla porta, precisamente dal vetro trasparente, aveva visto che stava arrivando un'altra persona che di certo voleva entrare impedendo la fuga ad Adam.
Per farlo passare, gli aprì la porta suonando di nuovo il campanello e in quel tintinnio che risuonò in tutto il locale, Adam poté ammirare il viso più bello che avesse mai visto.
La persona che era di fronte a lui era incantevole, aveva lo sguardo basso quando era entrata e dovette alzarlo per ringraziare l'educato che gli aveva appena aperto la porta. Aveva indosso un cappello, precisamente una coppola a quadretti neri e marroni; alzò di poco quel cappello in segno di saluto e stupendosi, proprio come aveva fatto Adam, allargò i suoi occhi e gli regalò un largo sorriso.
Adam continuava a fissare quella persona; avrebbe giurato che fosse un'incantevole ragazza dalla pelle diafana, una bellissima donna dal viso tondo e gli occhi verdi, grandi, infantili e ingenui come quelli di una bambina, corporatura minuta e dita sottili con unghie ben curate. Era come se avesse avuto quel famoso colpo di fulmine che aveva sempre sentito parlare nei film e nei cartoni animati, un colpo che gli era arrivato dritto al cuore facendo accelerare il battito, per poi salire su ad elettrizzare il suo annoiato cervellino, ma una rivelazione, alla fine, fece si che si spegnesse tutto quanto come un blackout, interrompendo bruscamente anche la musica smielata che iniziava a sentire solo lui.
-Salve! È un nuovo cliente? Non mi dica che stava scappando?- disse con voce profonda il nuovo arrivato.
Nel secondo successivo, alcuni particolari molto pesanti colpirono violentemente il povero cuoricino di Adam. Sopracciglia folte, un accenno di barba, spalle larghe e vestiti non propriamente adeguati per una donna... o una persona della sua epoca.
Quello che aveva davanti era un giovane ragazzo ed Adam sospirò pesantemente a quella tremenda verità.
-Eh si, ha proprio la faccia di uno che sta scappando.- disse osservandolo ancora con i suoi grandi occhi verdi.
-Victor! Si può sapere cosa hai fatto a questo qui?- continuò il nuovo arrivato non notando il dispiacere del cliente.
Il così detto Victor, il dipendente dal rutto fin troppo facile, non cambiando minimamente la sua espressione aprì la bocca per parlare, inutilmente dato che cercare di comprenderlo fu un'impresa impossibile per Adam.
-Boss, hast du mich die Bedeutung von dem Schilt draußen gefragt.
Con voce veloce e fluente, parlò in un'altra lingua così strana da sembrare che lo stesse rimproverando dal tono che aveva, rivolgendosi solo al tizio che era appena arrivato.
Quest'ultimo scoppiò a ridere.
-Ah ah! Sei una sagoma Victor!
Per poi smetterla subito di ridere cambiando repentinamente espressione.
-Non ti azzardare a parlare tedesco in questo locale, si parla la lingua del cliente, ricordi?
Victor sospirò, riprendendo con lentezza a spazzare il pavimento.
-Victor ha detto che le ha spiegato il cartello fuori dalla porta. É stata una mia idea.- disse rivolgendosi di nuovo ad Adam, indicandosi con il pollice, fiero di quella strana iniziativa.
-Tutti a dirmi, "Dai Riokey, sei sicuro di una cosa del genere? É veramente ridicolo!" Ma io non voglio di certo vivere in un mondo dove una cosa tanto divertente come ruttare sia definito da maleducati. Non ho forse ragione?
Per la terza volta, Adam rimase interdetto.
"Davvero ho sentito quello che ho sentito?!"
Con un occhio nervoso, quasi chiuso, indicò la porta.
-Io andrei.
-Ma dove pensa di andare!- gli rispose lo strano tizio prendendogli il braccio in una forte presa a tenaglia.
-Devo assolutamente offrirle qualcosa per scusarmi!
Adam però era irremovibile; contrastando quel piccoletto, cercava in tutti i modi di aprire la porta per fuggire il più lontano possibile.
-Ma ti pare... Figurati! Non vorrei approfittare! Lascimi scappare in santa pace!
-Invece insisto!- incredibilmente, il piccoletto ero riuscito a staccarlo dalla porta e farlo posizionare seduto su un tavolo appoggiato al muro sotto la finestra.
-Davvero... Non é necessario. Voglio solo allontanarmi il più possibile da qui.
-Quando Riokey vuole qualcosa... É difficile fargli cambiare idea...
Con quell'ultima frase, detta dal dipendente che fino a quel momento non gli aveva degnato di uno sguardo, se non solo un rutto, Adam fissò con occhi che rispecchiavano molto disagio, con un pizzico di panico, il sorriso raggiante del proprietario del bar denominato Carnival.
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