Capitolo 7

Quando tornai a casa, si erano già fatte le nove di sera.
Fred mi aveva invitato a cena a casa sua, ma non avevo intenzione di sentire i litigi tra lui e sua moglie.  Erano sposati da dieci anni, due bellissimi bambini ed erano veramente vicini al divorzio. Insieme al mio Ross eravamo andati alle loro nozze; erano bellissimi insieme. Si capiva che erano innamorati proprio alla follia; in fondo, come io del mio Ross. Era tutta la mia vita. Le nostre anime erano cucite insieme. Un giorno, un pezzo della sua, si strappò ferocemente dalla mia. A volte, può sembrare strano, ma è come se lo sentissi vicino a me.
Dalla sua morte avevo deciso di togliere la fedina nuziale. C'erano incise le nostre iniziali. La lasciavo ben costudita in un cassetto di un piccolo armadio della mia camera da letto.
Com'è strana la vita. Può darti tutto e in un giorno qualunque può farti rimanere senza niente.
Avevo passato tutta la giornata a cercare di capire perché il padre di Amanda non denunciò la sua scomparsa. Non credevo a quello che aveva detto Elizabeth. Non credevo che Peter Wilson pensasse che sua figlia in quei giorni fosse sparita per andare chissà dove. Un padre normale si preoccuperebbe della propria figlia. Un padre normale ne denuncerebbe subito la scomparsa. Forse, anche io iniziavo a pensare che Amanda fosse stata uccisa da suo padre. Da come raccontò Elizabeth, Peter non versò una lacrima. Ricordai il primo interrogatorio che feci con loro. Peter non era disperato. Semplicemente accarezzava sua moglie per darle conforto. Quando eravamo nella stanza dell'interrogatorio, continuava fissare le telecamere. Non era agitato. Era come se sapesse già da tempo che Amanda era morta e che era stata brutalmente uccisa.
Avevo ancora tante cose da fare; tante cose da capire.
Il giorno successivo ci saremmo diretti al liceo di Amanda per vedere cosa nascondesse dentro l'armadietto.
La pioggia iniziava a cadere sulle strade di Newport. Vedevo le foglie cadere dagli alberi e il venticello spostava i rami che erano caduti sul prato del mio giardino.
Mi sdraiai sul divano e cercai di ascoltare quel rumore pacifico dell'acqua che toccava il vetro delle finestre. Chiusi gli occhi, feci un respiro profondo e cercai di rilassarmi. Avevo bisogno di una pausa. Una pausa da tutto il mondo. Sapevo che il lavoro mi stava solo procurando stress, ma era l'unico modo per non pensare alle cose brutte della mia vita. A mio marito. Ai miei genitori. A mia sorella. La mia cara Lily, così la chiamavo quando eravamo piccoline. Va al college, studia legge. Vorrebbe diventare un avvocato e come tutti sogna di cambiare il mondo. Non riesco a sentirla mai, se non per messaggio.
Proprio mentre i miei occhi stavano veramente iniziando a rilassarsi, mi ricordai delle tre lettere. Me n'ero completamente dimenticata.
Mi alzai di scatto dal divano e le tirai fuori dalla giacca di pelle.
Aprì la prima busta bianca. Conteneva un foglio; più precisamente un estratto conto di una carta di credito intestata a Jack Russel. Una data era evidenziata di giallo. Tredici settembre. Il giorno della morte di Amanda, secondo il medico che le fece l'autopsia. Qualcuno gli versò centomila dollari, senza una causale.
Aprì immediatamente la seconda lettera. Conteneva un post-it verde con su scritto 23:58. Nient'altro.
L'ultima busta aveva lo stesso post-it ma con una frase "a quell'ora, morirà".
La morte di Amanda era una morte pre-intenzionata. Qualcuno sapeva che sarebbe dovuta morire.

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