Lo Straniero
Numero totale di parole: 3694
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In una cittadina ai capi estremi della terra, lì dove il sole splende anche nelle ore notturne, una figura misteriosa e mai vista prima si aggira tra le strade.
Le strade però sono vuote, perché tutto il villaggio è riunito nella grande sala comune per un’emergenza.
E poi ecco, lo straniero spalanca le porte della grande sala, come se proprio quella fosse la sua destinazione.
Tutti si girano verso di lui. Tutti sono spaventati, se fosse un uomo in cerca di una rissa sarebbero tutti spacciati: da settimane non si vede una goccia d’acqua al villaggio, nessuno sarebbe in grado di sostenere una lotta.
Lo straniero si dirige però verso il grande capo, che lo guarda preoccupato.
“Buon… Buongiorno. Come posso esserle utile?”.
“Buongiorno. Mi servirebbe un’informazione, nulla che richieda troppo tempo, vedo che avete dei problemi più importanti da risolvere. Volevo sapere… lei mi sa dire in che direzione si trova il Cappello della Strega?”.
Mentre l’intera sala si riempie di sussurri l’uomo rabbrividisce e chiede: “Per quale oscuro motivo dovrebbe voler andare là? Quella montagna è maledetta, signore!”.
“Chiamiamola una visita di cortesia”.
“Temerò per la vostra incolumità, signore. La montagna si trova verso nord, in mezzo al deserto, ad un paio di giorni a cavallo da qui. Non farete fatica a trovarla, il suo nome rappresenta la sua forma”.
“La ringrazio infinitamente, signore. Vedo che ci sono problemi in questo villaggio. Che succede, se posso chiedere?”.
Una donna urla alle sue spalle: “La strega è furiosa con noi! Da settimane non piove su queste terre, le coltivazioni muoiono e la nostra fame aumenta! Se lei deve andare là, ci renda giustizia!”.
“Non posso garantire di poter fare giustizia, ma mi permetto di sdebitarmi in questo modo per l’informazione”, dice il giovane avvicinandosi ad una botte vuota. Distende una mano su di essa e in pochi secondi essa è piena del liquido cristallino più prezioso.
Urla di stupore e di terrore riempiono la sala. Un mago lì! Che ci fa lì davvero? Vuole uccidere tutti?
“Questa non basterà di certo a dissetare e ad aiutare”, osserva il giovane mago avvicinandosi ad un’altra botte e riempiendola di acqua, subito seguita da altre botti. Quando tutte risultano piene, fa un inchino di ringraziamento ed esce dalla grande sala. Raggiunge il suo cavallo mentre ascolta con un sorriso stampato sul volto i bambini esultare felici.
Si mette in marcia, pensando a quanto gli è stato detto. Da quando è partito per salvare il suo villaggio da una carestia senza precedenti è stato in molti villaggi, ha conosciuto molte persone, tutte con le stesse informazioni, con lo stesso problema: una carestia causata dalla magia nera. L’unica responsabile, secondo tutti, non può che essere la famosa strega che da decenni, se non secoli, vive nel Cappello della Strega.
L’idea che il mago si è fatto però è diversa dal pensiero comune: non solo lei ha il dono di padroneggiare la magia, lui stesso ne è la prova. Non è detto sia lei la responsabile di quel disastro. Per questo deve andare da lei, deve fermarla, o chiedere un aiuto per fermare il vero responsabile.
Nel frattempo ad ogni villaggio ha fornito dell’acqua - l’elemento che meglio riesce a controllare - per sopravvivere qualche giorno in più, così da avere lui più tempo per risolvere il problema, senza avere morti sulla coscienza.
Tempo in più che non può permettersi di perdere: sprona il cavallo al galoppo,approfittando delle ore sicure per procedere il più possibile. Durante la “notte” - semplicemente il periodo che va dalle ventuno alle sei - il deserto può nascondere pericoli che vuole evitare di affrontare, per quanto possibile.
La corsa di quel giorno termina verso le venti, ora in cui in teoria dovrebbe iniziare la “sera”, della durata di circa un’ora. A quel punto il mago scende da cavallo e fa bere e mangiare il suo compagno di viaggio, evidentemente stanco - non gli è certo bastata una sola pausa all’ora di pranzo per riprendersi dalla stanchezza di quei giorni, il suo padrone lo sa bene.
Una volta finito monta la tenda, indicando anche al suo compagno che finalmente è ora di riposarsi. Mentre il cavallo si stende in mezzo alla sabbia con uno sbuffo il mago lo libera dal peso del cibo per sé stesso.
Il sonno li prende entrambi in fretta. Allo stesso modo, il loro risveglio avviene all’improvviso: il mago si sveglia sentendo il suo compagno di viaggio nitrire disperato, e in un istante è fuori dalla tenda. Si ritrova davanti cinque briganti, uno dei quali sul suo cavallo, e lui sa che potrebbe usare la magia per sistemarli, ma niente ha mai divertito l’uomo più di una bella rissa di primo mattino. In pochi minuti i briganti sono messi in fuga, sia dall’uomo che dal cavallo che, riconoscendo il suo compagno, si leva di dosso l’uomo sulla sua schiena e lo calcia via con le zampe posteriori.
Conclusa la piccola rissa, il mago decide che possono mangiare qualcosa e poi riprendere il loro viaggio.
Non è neanche mezzo dì quando intravede il Cappello della Strega in lontananza. Il mago sorride e accarezza il suo compagno, sussurrando: “Ci siamo quasi, bello. Quella è la nostra destinazione”.
Ci mettono meno di un’ora al galoppo a raggiungere le pendici della montagna. Anche da vicino, mantiene l’insolita forma di un cappello da strega: base ampia e punta un po’ storta, tanto che il mago si chiede come faccia a restare effettivamente in piedi e a non crollare su un lato.
L’uomo smonta da cavallo e inizia a percorrere la base della montagna alla ricerca di un’entrata, visibile o nascosta. Il cavallo lo segue, sbuffando ogni tanto.
È proprio lui a trovare l’entrata che il suo padrone sta cercando. L’uomo lo vede avvicinarsi ad annusare quelli che lui vede come dei fiori, poi lo vede fare un passo avanti: fa per fermarlo dall’infilare il muso nel il terreno, ma la testa del cavallo attraversa la roccia come se fosse uno specchio d’acqua. Mentre l’equino si tira indietro spaventato il mago si avvicina e prova a toccare la terra, ma anche la sua mano affonda nella roccia. Sorride soddisfatto e accarezza il cavallo, riconoscente.
“Bene, allora è il caso di entrare. Vieni, andiamo”, dice il mago afferrando le briglie e tirandosi dietro il cavallo, non molto contento di doverlo seguire attraverso la roccia.
Si ritrovano in un corridoio ampio abbastanza da permettere al cavallo di starci, illuminato da fiammelle sospese nell’aria. Il mago inizia a percorrerlo e il cavallo lo segue immediatamente.
Più procede più sente delle voci, che presto diventano una voce sola, quella di una donna, che borbotta continuamente. Il mago guarda il cavallo, che gli risponde con uno sguardo vacuo.
Sfociano infine nella sala più grande in cui fossero mai stati, una casa in piena regola scavata nella roccia, anzi, modellata nella roccia. Nemmeno il più abile degli scultori avrebbe potuto modellare la pietra fino a farne una serie di decorazioni finissime sui muri, sui tavoli, sugli oggetti comuni.
Finalmente sente anche cosa ha aiutato il suo compagno a trovare l’entrata: un profumo di zuppa a dir poco delizioso, che gli fa brontolare lo stomaco. Da troppo non mangia un pasto decente, i giorni precedenti non ha mangiato nulla tranne pane e acqua.
Una figura nella penombra compare sul balcone e dice: “Niente visitatori oggi! Ho abbastanza problemi da risolvere!”.
“Visitatori?”, risponde l’uomo stranito. Il cavallo sbuffa come a ripetere la parola a sua volta.
La figura ricompare al balcone e li guarda. Dopo un momento dice: “La tua faccia mi è nota, straniero. Dimmi il tuo nome”.
“Andras”.
“Non voglio avere demoni nella mia dimora”.
“Non sono il demone Andras, sono il mago Andras”.
La figura inizia a scendere le scale mentre dice: “Conoscevo un tempo un ragazzino chiamato Andras. Un gran combinaguai ma con un cuore d’oro, sempre pronto a dare il suo aiuto con la magia. Il suo elemento era l’acqua, se non mi inganna la memoria. Tuttavia un giorno scomparve, non lo rividi mai più. Tu chi sei dunque, straniero?”.
“Dei banditi mi rapirono, mi vendettero ad un uomo il cui nome è stato cancellato dalla storia con la sua morte. Fuggii, venni salvato da una gentile donna di un villaggio che mi accudì come una madre, nonostante il mio dono. Lì rimasi fino alla carestia di cui la padrona di casa è incolpata. Allora decisi di partire, per cercare di salvare i villaggi e risolvere la carestia che da settimane sta travolgendo ogni cosa”.
Finalmente la figura compare alla luce delle fiammelle. È una donna piuttosto alta, anche se non quanto il mago, i capelli rossi raccolti in una coda alta, gli abiti rossi anch’essi sporchi di chissà cosa. Nonostante gli anni, il mago la riconosce.
“Io non sono responsabile di questa carestia, ma un aiutino con un po’ di acqua potrebbe essermi gradito. Io sono Ithea, penso il nome ti sia noto”.
“Lei mi rimprovera del mio nome da demone e ne porta uno a sua volta, cara signora? Mi delude”, dice il mago con un sorriso.
“Meno chiacchiere, più fatti, avremo tempo di chiacchierare più tardi”, dice facendo un gesto verso il cavallo, che cade a terra profondamente addormentato.
“Non è molto educato addormentare così il cavallo altrui”.
“Non è molto educato nemmeno trasformarti in un piatto. Ora vieni con me, ho bisogno di acqua”.
Ithea inizia a salire le scale come un fulmine, tanto che il mago fatica a starle dietro. Lo conduce attraverso un’infinità di corridoi, finché non arrivano a destinazione: una grande sala circolare, che è stata trasformata in un giardino. Un giardino piuttosto secco, non può fare a meno di notare Andras.
La donna corre verso una piantina in particolare, l’unica un po’ rigogliosa in mezzo alle altre. La raggiunge e ordina: “Annaffiala”.
“Non sono un annaffiatoio, Ithea”.
“Fallo”.
Il mago sospira e mette le mani a coppa sopra la piantina. La bacinella improvvisata si riempie subito d’acqua, con cui bagna il terreno attorno alla piantina: quest’ultima si raddrizza con uno scatto, e se essa avesse un volto Andras è certo che lo vedrebbe sorridente.
“Okay, così può bastare”, afferma la donna. L’uomo versa l’ultimo goccio d’acqua, poi stacca le mani e le scuote per asciugarsele. Si guarda intorno e dice: “Oso supporre che non sei tu ad aver causato questa terribile carestia”.
“Decisamente no. Non ho interesse a massacrare tutta la terra e le mie povere piante. Ormai queste sono tutte morte, come vedi; l’unica sopravvissuta è quella che hai appena annaffiato”.
“Sai chi è stato?”, chiede seguendo Ithea fuori da quella stanza.
“Non sei più stato a contatto con i maghi ultimamente? Ce ne sono due oltre a noi, e uno di essi è stato catturato forse una settimana fa. Il mago dell’aria”.
“Quattro maghi, uno per elemento, dunque. Terra, aria, acqua, fuoco…”.
“La maga del fuoco sta facendo tutto questo. Non so perché, nessuno ha mai turbato la sua quiete. So solo che il mio potere è totalmente inutile finché c’è siccità”, dice raggiungendo la cucina.
Andras guarda nel pentolone sospeso sopra il fuoco e dice: “Non è totalmente finita l’acqua a tua disposizione se riesci a preparare una zuppa”.
“L’ho finita con oggi, genio. Aspettavo ospiti, quindi ne ho preparata in più”, dice Ithea ficcandogli un piatto tra le mani, subito riempito di zuppa.
“Grazie”, dice Andras sedendosi al tavolo.
“Non vogliamo certo un mago dell’acqua morto. Ho seguito con la sfera di cristallo i tuoi spostamenti, i villaggi stanno resistendo grazie alle tue donazioni cristalline. Ammirevole, non tutti i maghi lo avrebbero fatto”.
“Di certo non la nostra maga del fuoco. Sai magari come si chiama, o dove vive?”.
“Il dove non è importante, al contrario di te io mi sono esercitata con la magia e posso aprire un portale per raggiungerla, così da accorciare i tempi. Lei si chiama Seere, non l’ho mai conosciuta, al contrario di te e di quell’idiota di Metheus”.
“Più ti sento parlare, più percepisco dell’astio nei miei confronti”.
“Pensi che io possa dimenticare come ci hai provato con me da giovane, di come hai provato ad andare oltre e di come poi sei sparito?!”, dice irritata Ithea. Sulle decorazioni del tavolo compaiono delle spine.
“Primo, mi hanno letteralmente rapito, non è colpa mia se sono scomparso. Secondo, ero giovane e stupido, e non accettavo un no. Ti amavo davvero, ma mancavo di esperienza e coscienza. Non avrei mai voluto ferirti in quel modo”, confessa Andras abbassando lo sguardo sulla propria zuppa di verdure.
“Lo dici come se fossi cambiato”.
“Ci siamo appena incontrati dopo anni, non credo tu ne sappia abbastanza di me da poter sapere se sono o meno cambiato. Vorrei dirti con fermezza di sì, ma lascerò a te il giudizio finale”.
“Già il fatto che fai decidere a me è qualcosa”, dice Ithea finendo la zuppa. Mette il piatto in un catino e butta lì anche quello di Andras, poi lo guarda in attesa.
“Che c’è?”.
“I piatti non si lavano da soli. Dai, uomo acqua, lava mentre io preparo ciò che serve per raggiungere la dimora di Seere”.
Un sospiro lascia le labbra del mago, che si rimbocca le maniche della camicia e inizia a lavare i piatti come ordinatogli. Quando finalmente finisce, Ithea appare dal nulla nel bel mezzo della cucina e dice: “Il portale ha bisogno di una bagnata”.
“Pure quello?”.
“È fatto di piante, ovvio che ne ha bisogno, almeno per funzionare e restare aperto abbastanza da farci anche tornare indietro. Seguimi”.
Andras la segue senza aprire bocca. Dopo che la donna gli ha rievocato quei ricordi che per anni erano rimasti sepolti nella sua mente, non ha più voglia di essere lì. Non ha più voglia di dover sentire la sua voce irritata, non ha più voglia di sentirsi insultare. Non ha più voglia di vederla, di ricordare quello che erano stati.
Potrebbe piantare tutto in asso e andarsene; resta solo per salvare tutti i villaggi che ha aiutato, ed è in loro nome che annaffia il portale con cura, facendo rinsavire quelle piante ad un passo dalla morte.
“Si sa qualcosa sul perché Seere è così irritata con queste terre?”, chiede mentre un fiore giallo sboccia davanti al suo naso e fa un gesto molto simile ad un bacio.
“No, in realtà. Ieri sono andata a parlare con Metheus, l’unico che l’ha incontrata dal vivo. Mi ha detto che è sempre stata buona e allegra, nonché focosa. Tralasciando la lunga descrizione delle loro avventure amorose, pare che sia una brava persona. Dobbiamo scoprire noi che è successo”.
“Come hai fatto ad incontrare Metheus se è in prigione?”.
“Sono andata a trovarlo. Drogare con qualche pianta le guardie non è troppo difficile. In cambio delle informazioni gli ho promesso, una volta conclusa la faccenda, che lo avrei tirato fuori”, dice Ithea, poi aggiunge: “Okay, così può bastare. Il portale è pronto”.
“Devo portarmi dietro qualcosa?”.
“Solo il tuo potere”.
“Bene, allora ti lascio fare”.
Rimane indietro in attesa, mentre Ithea si avvicina al portale e chiude gli occhi. Alza le mani, inizia a pronunciare un incantesimo, e Andras inizia a vedere i fiori e le foglie vibrare. In un paio di minuti nel portale compare un’immagine che brilla delle fiamme dell’inferno: una sala di un castello, a fuoco, che quasi cade a pezzi. Ithea la guarda, poi cammina in avanti, entrando nella stanza.
“Non pensavo che il portale fosse come aprire una porta in un posto diverso”, dice Andras raggiungendola.
“E io non pensavo tu fossi così stupido. E che qui facesse così caldo”.
“Beh, ti lascio fare strada, dato che sai molto più di me”.
Ithea non se lo fa ripetere. Inizia a salire le scale, schivando pezzi di legno infuocato che cadono dal soffitto. Andras la segue, ascoltando tra il crepitio delle fiamme un urlo tetro e continuo. Non si prende la briga di informare la maga, però, vede dal suo volto allarmato che lo ha sentito anche lei.
Raggiungono il piano superiore e trovano i corridoi deserti. Nessuna guardia, nessuna anima viva, solo fuoco. Fuoco che non riesce a fiaccare Andras, ma che indebolisce evidentemente Ithea.
“Stai bene?”, le chiede mentre arranca lungo il corridoio.
“Odio il fuoco. Odio il caldo”, dice lei irritata, o con il mago o con il caldo stesso. O entrambi.
Le urla improvvisamente diventa più forte. Ithea corre verso la fonte delle urla come un razzo e spalanca la porta che li divide.
Andras non sa cosa aspettarsi di vedere, ma di certo non semplicemente Seere stesa sul letto gli occhi chiusi e un’espressione sofferente sul volto. Guarda Ithea, che ricambia con uno sguardo altrettanto confuso.
La maga della terra si avvicina e inizia a recitare un incantesimo mentre l'uomo esamina la stanza. Ci sono molti libri sparsi per la stanza, di cui uno solo non andato a fuoco, sebbene abbia un pezzo di legno che brucia su di esso. Afferra il libro e legge di cosa si tratta.
La soluzione arriva da entrambi nello stesso momento: “Magia nera autoinflitta”.
Andras le passa il libro e Ithea legge velocemente.
“Brutta bestia questo incantesimo. Il controincantesimo è facile da attuare, le parole sono semplici, ma bisogna essere in un ambiente che sia il meno caldo possibile, e non ce ne sono”.
“Non è abbastanza fresca la montagna della strega, almeno nei piani più bassi?”.
“C’è la temperatura di una cantina”.
“Va più che bene, io posso tener fresca lei con un po’ d’acqua. Portiamola da te”.
Vedono però Seere inarcarsi. La donna apre gli occhi - braci incandescenti senza pupilla - e una bomba infuocata travolge il castello intero, scagliando i due contro le mura.
“È dannatamente potente!”, urla Andras rialzandosi dai resti di una libreria.
“STO ANDANDO A FUOCO, ANDRAS!”.
L’uomo corre in soccorso, riuscendo spegnere le fiamme dei suoi vestiti prima che si distruggano completamente.
“Dobbiamo muoverci. Tu la trasporti, io ti faccio strada!”, urla Ithea furibonda per la situazione. Andras esegue: prende tra le braccia Seere e si costringe a trasportarla, nonostante il dolore che prova.
Diventa una corsa contro il tempo: Ithea corre come un fulmine verso il punto più basso della sua casa e il mago cerca di starle dietro, sebbene ormai le braccia non se le senta più. Almeno le vede ancora integre, al contrario dei suoi vestiti che si erano trasformati in cenere nella corsa.
Raggiungono il punto più basso della montagna. Andras appoggia per terra Seere e si piazza all’entrata nel momento stesso in cui la maga rilascia un’altra bolla infuocata, assorbita dalle pareti e dai due maghi. Ithea si fa spegnere di nuovo da un Andras che è ormai coperto di vesciche dovute al fuoco e al calore, ma che deve comunque tener fresca la donna.
Il controincantesimo inizia. Ithea cerca di fare più veloce che può, mentre Andras cerca di abbassare la temperatura della maga. La formula viene conclusa; Seere lancia un urlo di dolore che assorda entrambi, infine ricade per terra, svenuta, la pelle esposta che fuma come un incendio spento.
Il mago si lascia cadere a terra stremato, la maga pure. Restano in silenzio mentre il suono di un tuono scuote tutta la montagna.
“Credo stia per venire un temporale”, dice Andras.
“L’acqua può rigenerarti quelle ferite?”.
“Non lo so, forse. Di sicuro mi farà passare il dolore”. Sentire quanto lei non è preoccupata per le sue condizioni lascia interdetto Andras, ma del resto anche lui sente così tanto dolore tutto insieme da non sentirne più del tutto.
Tornano nella sala d’accoglienza trascinandosi dietro Seere, che viene messa a riposare contro il compagno di viaggio del mago, ancora profondamente addormentato, poi la strega trascina Andras fino al giardino pieno di piante morte.
Si ritrovano immersi nella pioggia. Il mago chiude gli occhi e apre le braccia, lasciando che le gocce d’acqua gli scivolino addosso, alleviandolo da qualunque dolore stesse ancora sentendo. Quando li riapre per un istante, vede che le ferite si stanno lentamente rimarginando.
È mentre è ad occhi chiusi che sente un paio di labbra sulle sue. Apre gli occhi e guarda Ithea per un istante, poi li richiude e ricambia il bacio, festeggiando così quella vittoria e quel ritorno alla normalità.
La notte la trascorrono, a turni, a vegliare su Seere. Non sanno quando si potrebbe svegliare, ma può prendersi tutto il tempo che vuole. I due sanno cos’è successo, devono solo badare che il controincantesimo abbia funzionato.
Quando si sveglia, qualche giorno dopo, nessuno le fa domande. I due maghi si presentano e le spiegano cos’è successo dopo aver tentato l’incantesimo. Le scuse non tardano ad arrivare: come aveva detto Metheus, quella strega davvero non aveva voluto fare nulla di male.
“Non pensavo quell’incantesimo fosse così potente, cielo, ho combinato un disastro”.
“Non ti preoccupare, ora è tutto sistemato. Sta piovendo da quando hai perso i sensi, tutto tornerà alla normalità”, la rassicura Ithea con un sorriso.
“Comunque, dov’è Metheus? Pensavo fosse qui anche lui”.
“È stato catturato perché stregone. Ti posso aprire un portale per andarlo a prendere”.
Seere sorride felice e annuisce. Poco dopo il portale viene aperto e la maga si tuffa al suo interno, pronta a soccorrere il suo amato. Ithea non si lascia sfuggire l’occasione e con una mossa repentina butta su uno dei divani Andras, inchiodandolo sotto di sé.
“Seere mi ha detto che intende stare là per qualche ora, quindi direi che possiamo approfittarci del momento e divertirci”, dice levandosi il vestito lungo.
Non accetta un no.
Quando i due amanti tornano dal portale, trovano gli altri due profondamente addormentati sul divanetto, completamente nudi ma stretti in un abbraccio caldo.
Le settimane successive le trascorrono preparando la casa all’accoglienza dei tre nuovi ospiti. Come precisa subito Andras, lui preferisce cavalcare per quelle terre sempre illuminate dalla luce solare piuttosto che stare sempre lì, quindi la sua camera spesso sarà vuota: nessuno rinuncia a creargliela lo stesso.
Una volta conclusi i lavori, Andras decide di andare. Deve informare i villaggi di ciò che è successo, del fatto che è tutto sistemato.
Abbandona il Cappello della Strega con il suo fedele compagno di viaggio, promettendo ai villaggi che lo straniero tornerà da tutti loro per portare buone notizie.
Si poteva ricominciare daccapo.
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