Una lettera per Santa Claus

«Diciassette per Gabriele!»

«Ventuno! Ventidue per Gian!»

«Diciotto!»

«Ventidue anche per Ric!»

«Ventiquattro e... Stop! Mi spiace, amico, tempo scaduto». Carlo, il barista del locale sotto l'ufficio dove lavoravano, bloccò la mano di Gabriele a mezz'aria, prima che potesse ingollare un altro shottino di rum.

«Esatto! È arrivato il momento di tornare su e pagare pegno...» Riccardo e Gianluigi mollarono sulla schiena del ragazzo una pacca ciascuno, anche un po' appesantita da quello che avevano appena ingurgitato. Poi lo prelevarono sollevandolo per le ascelle e abbandonarono, barcollando, il casino che avevano contribuito a creare.


* Il giorno dopo *

Elena si diresse verso il suo ufficio attraversando il corridoio con passo spedito, come ogni mattina da un anno ormai, più precisamente da quando era entrata a far parte dello Studio Virgilio come junior associate. Lasciò la borsa sulla sedia, posò il caffè e il cellulare sulla scrivania e accese il computer mentre già cercava di sfilarsi una manica del cappotto, che quindi appese all'attaccapanni.

Recuperò la corrispondenza dalla vaschetta in plastica della posta interna. Una busta era gialla e formato A4 e proveniva dalla contabilità: la aprì e si ritrovò davanti il prospetto del mese precedente, come ormai avveniva a scadenza regolare, relativo al suo rimborso spese. La seconda era bianca ed era più una busta da lettere, stretta e lunga: la aprì, dispiegò il foglio al suo interno e cominciò a leggere.

Caro Babbo Natale

"Eh?" Il cervello di Elena smise di funzionare per una frazione di secondo.

Poi si riaccese: guardò il foglio, lo rigirò ed esaminò anche la busta, ma sia quella che il retro erano bianchi. Così ricominciò.

Caro Babbo Natale,

non posso credere che lo sto facendo veramente, ma, evidentemente, perdere una gara di shottini porta a scrivere lettere a entità barbute con poteri sovrannaturali.

Non ci sentiamo da un bel po' di tempo io e te, vero? Eppure so che mi hai tenuto d'occhio e che quindi sai che quest'anno sono stato bravo. Grazie a Dio... un'altra entità barbuta con poteri sovrannaturali... ho raggiunto il successo! Il mio talento mi ha portato a essere un avvocato associato in un prestigioso studio legale, mentre il mio fascino... ammettilo anche tu... non mi ha fatto mancare la compagnia femminile.

Elena interruppe di nuovo la lettura, chiedendosi ancora una volta se tutta quella storia non fosse uno scherzo, oppure una trovata di marketing aziendale, visto l'avvicinarsi delle festività natalizie. Eppure non poté impedirsi di arrivare fino alla fine.

Ho tutto: fama, gloria, soldi e belle donne. Quindi ti chiederai perché ti sto scrivendo. Tralasciando il fatto che mi stanno obbligando Ric e Gian della contabilità, direi che lo sto facendo per chiederti un'unica cosa: i colori. Sei in grado di farmi avere i colori?

In questo lavoro ne vedo così tante... Coppie che litigano per un figlio, un cane o un TV al plasma con la stessa fredda passione... Donne maltrattate da uomini che dicevano di amarle... Cristo, a volte mi chiedo se ne uscirò illeso...

Così ho pensato che, magari, i colori potessero farmi capire che c'è ancora una speranza a questo mondo, che non è tutto così piatto, come in una foto in bianco e nero che ha immortalato una scena ormai perduta per sempre.

Allora, se riesci con la tua magia, puoi farmi avere una bella scatola di Giotto al terzo piano di Via Parisse 16?

Grazie e buon Natale!

Gabriele

Gabriele? Possibile che Elena stesse stringendo tra le mani una lettera per Babbo Natale da parte di Gabriele? L'uomo del quale era innamorata da mesi, ormai, senza che lo avesse mai rivelato ad anima viva?

Pareva tutto un terribile scherzo, eppure le sembrò plausibile la storia della gara, soprattutto conoscendo Ric e Gian... Con quei due non si poteva mai stare al sicuro. Inoltre quella richiesta così assurda e allo stesso tempo... poetica.

E se fosse stato tutto vero? Se davvero i colori erano l'unica cosa che mancava nella vita di Gabriele? E se lei avesse potuto fare qualcosa a riguardo? Forse un modo c'era, per aiutare lui e per dare una spintarella al suo coraggio di farsi avanti e proporsi a lui sotto una veste diversa dalla semplice collega di lavoro.

Le venne un'idea: prese il telefono e selezionò il contatto di sua sorella. «Betta, ciao! Ho pensato di farti un favore... O forse alla fine sarai tu a farne uno a me!» Il suo sorriso divenne sempre più grande, man mano che il suo piano cominciava a prendere forma.


* Il giorno dopo *

Gabriele era davanti alla macchinetta del caffè intento a sorseggiare dal bicchierino di plastica l'amaro intruglio, quando sentì due manate sulla schiena che per poco non gli fecero saltare via tutto e macchiare camicia e cravatta.

«E io lo dico che siete scemi!» Guardò storto i due amici appena arrivati.

«Ma come vivresti senza di noi, Gabriellino?» Gian gli tirò una guancia come solo un nonno potrebbe fare con un nipotino.

«Senza ammaccature, tanto per cominciare» si difese l'avvocato, scacciandogli la mano dalla faccia.

«Ma noi ti facciamo divertire, ti teniamo attivo!» lo rimbeccò Riccardo.

«Sì, finché non cercate di farmi andare in coma etilico. Penso di non essermi ancora ripreso...»

«Dopo due giorni? E certo che sei delicato!»

«Riccà, qua non si tratta di essere delicati. Io manco mi ricordo che cazzo abbiamo combinato!»

I compari sghignazzarono scambiandosi occhiate complici.

«Ti ricordi della gara?» gli chiese Gianluigi.

«Sì».

«E che siamo tornati in ufficio?» fu la volta di Riccardo.

Gabriele annuì. «Sì, e mi ricordo pure che mi avete fatto scrivere una stupida lettera a Babbo Natale. Ma come cazzo vi è venuto in mente?»

«Volevamo sapere che avresti chiesto, tu che hai tutto».

Gian sollevò le spalle, appoggiando il discorso dell'amico: «Eravamo curiosi».

«Eh... E alla fine che ho chiesto?»

Ric e Gian si guardarono di nuovo e scoppiarono a ridergli in faccia. «Una scatola di Giotto!»

«Una scatola di Giotto?» Gabriele pensava che lo stessero prendendo in giro. Ancora.

«Eh. Quello hai chiesto» gli confermò Gian.

«Vabbè, una cazzata quindi. E mo' dove sta la lettera? L'avete buttata, sì?»

«Sì, sì» Riccardo lo tranquillizzò: «L'hai cestinata subito dopo la stampa».

«Quale stampa?» L'avvocato tornò ad allarmarsi, mentre i due commercialisti sembravano, per la prima volta, a disagio. «Ragà, non scherzate. Quale stampa?»

«Beh... Effettivamente l'abbiamo stampata. Ma tu eri d'accordo!» si difese Gianluigi.

«Io ero ubriaco!» Gabriele stava perdendo la pazienza definitivamente.

«E perché, noi no?»

Gabriele si arrese con un sospiro. Si chiuse gli occhi con pollice e indice, fino a premere poi l'attaccatura del naso sulla fronte. «Vabbè, l'abbiamo stampata. Ma poi l'abbiamo buttata... Giusto

Riccardo si schiarì la voce: «Veramente non me lo ricordo... Tu, Gian?»

Il compare scosse la testa.

«Ma mannaggia a quella...» Gabriele avrebbe voluto imprecare tutto quello che gli avevano proibito negli anni della sua vita. «Ma non ci avevo scritto pure l'indirizzo di casa mia?»

I due annuirono.

«Quindi ora, da qualche parte, qualcuno ha tra le mani i vaneggiamenti di me da ubriaco che dico a Babbo Natale di portarmi una scatola di colori a casa?»

I due annuirono. Di nuovo.

Gabriele non si trattenne più. Era in procinto di saltare addosso al primo dei due che gli sarebbe capitato a tiro, proprio quando sentì un paio di tacchi ticchettare in corridoio. Si voltarono tutti e tre nella direzione dalla quale proveniva il rumore: Elena era arrivata in ufficio. Li salutò e tirò dritto per la sua strada. Indossava un basco di lana, una sciarpa e un paio di guanti rossi. Quelle macchie vermiglie ipnotizzarono lo sguardo di Gabriele, che non poté fare a meno di seguirla per tutto il tempo, finché non sparì alla sua vista.

Gli arrivò uno scappellotto sulla nuca da parte di Gianluigi: «A-Romeo! E non è mica la prima volta che la vedi!»

Gabriele sbatté le palpebre un paio di volte, come se si stesse ridestando da un sogno: «Ma è sempre stata così... così...?»

«Figa?» Riccardo completò la frase per lui: «Sì».

Eppure a Gabriele sembrò di notare la sua luce solo quel giorno, per la prima volta.


* Il giorno dopo *

Seduti attorno al grande tavolo nella sala riunioni, tutti i soci dello studio, dai junior ai senior, stavano discutendo del modo migliore, per quell'anno, di mostrare quanto lo Studio Virgilio fosse impegnato socialmente.

Gabriele però aveva ignorato praticamente tutti i suoi colleghi nello stesso momento in cui era entrato nella stanza e i suoi occhi si erano posati su Elena: indossava una camicetta di seta gialla, che le accarezzava morbidamente le curve, e gli impediva di distogliere lo sguardo da lei.

Era... ammaliato.

Si chiese come potesse essere possibile stare a stretto contatto con una donna per mesi, dandola quasi per scontata, e poi accorgersi improvvisamente di quanto luminoso fosse il suo viso.

«Io avrei un'idea». Fu proprio Elena a prendere la parola. «Mia sorella gestisce un orfanotrofio e ogni anno organizzano una festa per i bambini. Potremmo sponsorizzare l'evento».

Non appena aprì bocca, Gabriele si rese conto che anche la sua voce era morbida, proprio come la stoffa della sua camicetta. Si guardò attorno un momento, solo per constatare che anche gli altri presenti erano rimasti affascinati da lei, dai suoi modi, dalla sua idea.


* Il giorno dopo *

«E così questo posto lo gestisce tua sorella». Erano andati a fare un sopralluogo dell'orfanotrofio, per valutare gli spazi a disposizione e testare alcune idee di giochi per i bambini. Gabriele si avvicinò a Elena, cercando di nasconderle il fatto che la stava scrutando, gustando con gli occhi, respirando con la mente: Elena indossava una tuta azzurra, di un colore così vivo e splendente che gli sembrò di stare a osservare un cielo primaverile.

«Esatto. Oggi volevo provare un paio di attività, perciò grazie per esserti proposto come cavia». Gli sorrise, come solo lei sapeva fare.

Non aveva mai visto un sorriso così caldo in nessun'altra. «Cosa devo fare?»

«Prendi questi e distendili sul pavimento». Gli passò dei teli di stoffa bianca, mentre lei andò a prendere delle latte di vernici atossiche e naturali, che non avrebbero fatto male ai bambini... e nemmeno a loro. Quando tornò da lui, aveva svolto un lavoro eccellente.

Si tirò su da terra e le chiese: «E adesso?»

«Adesso... sperimentiamo!» Il cuore le batteva forte mentre gli prendeva una mano e la immergeva, insieme alla sua, in una latta.

Lo sentì trattenere il respiro. Le loro mani si tinsero di viola; le dita scivolarono in un groviglio di colore che celava il contatto della loro pelle.

Lo guardò negli occhi, dove le parve di scorgere timore e curiosità, desiderio e paura. Possibile che fosse quello che lui effettivamente provava? O si stava solo illudendo di fare la cosa giusta?

Accompagnò la sua mano verso il telo e poi attese un secondo, quell'attimo che precede l'impatto della prima goccia che si stacca dall'artista per dare vita alla sua opera. E poi giù, di colpo sul pavimento, a strisciare con il palmo fino a creare scie purpuree e segni di dita e cerchi di polpastrelli.

Il volto di Gabriele di tinse di un sorriso sincero, mano a mano sempre più ampio e allegro, finché non aprì la strada a una calda, eppure allo stesso tempo fresca, risata. Il petto scosso dalle risa, gli occhi stretti giusto quel tanto che gli permetteva di non fare danno sul pavimento, ma di limitare la sua creatività al telo. Era felice, come non si sentiva da tempo.

Si alzò per andare a immergere l'altra mano in un barattolo di arancione e cominciò un altro giro, percorrendo la stoffa in un altro verso, per poi correre a mischiare le sue linee sfrangiate con quelle più nette di Elena, che immediatamente rispose al contrattacco, andando ad attingere dal verde e cercando di ricreare simboli simili a kanji giapponesi.

«Tu va' a disegnare da quel lato, questo spazio è mio!» cercò di difendere il proprio lavoro.

Ma lui sembrava inarrestabile, e ci si mise proprio di impegno per giungere, con una manata di rosso, dritto al centro dell'opera espressiva di lei. «Ma non avevi detto che doveva essere un componimento libero? Non puoi darmi delle regole! E non puoi confinarmi la fantasia!»

Elena rise di gusto: «Devo fare attenzione con te: prendi tutto alla lettera».

Gabriele scrollò le spalle. «Siamo avvocati: ci piace giocare con le parole. E poi...» La sua pausa attirò la sua attenzione, tanto da farle smettere di disegnare.

«E poi... cosa?» sussurrò a pochi centimetri dal suo viso.

«E poi sono il migliore avvocato dello studio, per non dire dell'intera città. Non potrai mai battermi con le parole». Gabriele aveva un sorriso contagioso, che gli faceva spuntare due simpatiche fossette sulle guance, e faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi o di riempirlo di baci, nella stessa misura.

«Tu...» Elena assunse l'espressione più truce che riuscì a creare il suo volto: «Tu sei un maledetto pallone gonfiato!»

«No, mia cara. Io sono il miglior pallone gonfiato!» la corresse sfrontato.

«Va bene, pezzo grosso. Allora facciamo un altro gioco» lo sfidò.

Gabriele sollevò le mani mostrandole i palmi imbrattati: «Devo andarmi a lavare?»

«Più tardi, magari». Si sedette sul bordo del telo per contenere i danni della vernice che continuava a colare e gli suggerì di fare lo stesso, mettendosi davanti a lei, a gambe incrociate. «A chi chiude gli occhi per primo!»

Gabriele scoppiò a ridere per quella sfida: «Non dirai sul serio?»

«Sì, invece. Se non posso batterti con le parole, ti batterò con lo sguardo».

Le studiò bene il viso: non stava scherzando. O meglio, stava giocando, ma voleva davvero batterlo. «Ok. Ci sto. Ma non lamentarti quando perderai». Si sistemò meglio a sedere e puntò gli occhi neri in quelli marroni di lei.

Per qualche secondo nessuno dei due fiatò, mantenendo le palpebre ben spalancate, ognuno con la paura di perdere.

Poi, più passava il tempo, e più Gabriele capì che avrebbe perso, ma non per come Elena intendeva il gioco. Avrebbe perso perché più la guardava e più la vedeva. E più la vedeva e più la voleva.

«Sai, l'altra sera ero al bar sotto l'ufficio, con Ric e Gian, e abbiamo fatto una gara».

«Schhh» lo zittì lei, senza successo.

«Una gara a chi beveva più shottini in tre minuti».

Visto che aveva capito che non avrebbe chiuso bocca, decise di commentare l'accaduto: «E fammi indovinare... Stai per dirmi che hai vinto anche quella?»

Gli occhi negli occhi, il profumo di lei che si confondeva con quello delle vernici naturali, le fossette sulle guance di lui. Ognuno notava i dettagli dell'altro, cercando di appropriarsene gelosamente, di conservare il ricordo di quel momento sospeso nel silenzio.

Un silenzio che Gabriele si ostinò a rompere per l'impazienza di dirle quello che aveva capito in quei giorni: «No. A dire la verità, quella l'ho persa».

Elena spalancò la bocca come stava facendo con gli occhi, fingendo incredulità, nonostante sapesse dalla lettera recapitatale per sbaglio quello che era successo.

Lui non si lascò distrarre da quell'espressione buffa e continuò: «Così ho dovuto pagare pegno».

«Hai dovuto chiedere il numero alla ragazza più brutta del locale?» Non resisteva alla voglia di punzecchiarlo.

«No!» obiettò scioccato. «No. Quei due deficienti mi hanno fatto scrivere una lettera a Babbo Natale».

Elena trattenne con un grande sforzo una risata in gola: «Mi sarebbe piaciuto leggerla... Cosa gli hai chiesto? Una Mercedes? Il dono di vincere tutte le cause? O quello di vincere tutte le sfide che ti lanciano le tue colleghe?»

Gabriele scosse il capo, senza mai staccare gli occhi da quelli di lei: «Gli ho chiesto di colorare il mio mondo. E mi ha portato te». Con un movimento rapido colmò la distanza che c'era tra le loro labbra e la baciò.

Elena rimase stupita da quel gesto inaspettato e, allo stesso tempo, ne fu felice.

Felice perché lui lo era: era riuscita a realizzare il suo desiderio, anche se era dovuta ricorrere a dei piccoli stratagemmi. Era felice perché lui, dopo mesi, l'aveva finalmente notata.

Così chiuse gli occhi, per prima, lasciandosi andare a quella tenerezza, pur sapendo che in quel modo avrebbe perso la sfida.


--------------------------

Il prompt era questo:

https://www.wattpad.com/662224896-il-rubacuori-concorsi-challenge-giochi-una-lettera


Questo racconto ha vinto il 3° premio del contest di Dicembre de "Il Rubacuori - Concorsi, Challenge, Giochi" di @AfterRomanceIT 


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top