Amore ai tempi di...

Qualcosa colpì la finestra della camera di Carmela: nonostante fosse sveglia, impossibilitata a chiudere occhio per quello che sarebbe accaduto il giorno dopo, la ragazza sussultò sotto le coperte per lo spavento.

Poi di nuovo, un altro suono ticchettante sul vetro: un sassolino, non poteva essere altrimenti.

Si alzò nel buio della sua stanza per affacciarsi dietro il vetro: sotto l'ombra del noce piantato sul retro della casa, si nascondeva alla luce della luna la figura di Ernesto.

Carmela trattenne il fiato tappandosi la bocca con le mani, gli fece cenno di aspettare; si infilò la vestaglia e sgusciò all'esterno, sperando che nessun suono potesse essere sentito da sua madre, nemmeno quello del cuore che le batteva forte in petto.

Ernesto le andò incontro e la strinse forte non appena voltò l'angolo dell'abitazione: era maggio, eppure le notti erano ancora fresche.

Carmela rabbrividiva e non sapeva se fosse colpa del freddo.

Ernesto tremava e non sapeva se fosse colpa della paura.

La baciò di un bacio morbido, come le sue labbra gli avevano insegnato.

«Che ci fai qui?» chiese in un sussurro.

«Dovevo vederti» l'urgenza nella voce.

«Ma se ti scoprono... Potrebbero pensare che tu voglia scappare!»

«Che lo pensino pure! Non mi importa!» Il ragazzo raddrizzò la schiena, pronto a farsi perno contro la vita... O forse contro la morte... «Non potevo partire senza parlarti...»

«... Un'ultima volta» concluse per lui.

Le lacrime cominciarono a scenderle lungo le guance, Ernesto cercò di raccoglierle con le dita: «No... Shhh... No, amore mio» le baciò il viso per calmarla: «Non piangere, per favore. Ho bisogno del tuo sorriso. È a quello che dovrò aggrapparmi in quell'inferno.»

Carmela singhiozzò, ma cercò di trattenere il dolore che sentiva nel torace. Lo abbracciò ancora, forte, esigente: «Vorrei che non partissi» ammise.

«Nemmeno io» confessò. Indossava già l'uniforme da fante, che rendeva allo stesso tempo lui affascinante e quella situazione terrificante.

«E se non tornassi più? Se perdessi anche te, come ho perso mio padre?» La ragazza stava cedendo nuovamente alla disperazione: «Vedo mia madre! Vedo i suoi occhi, vuoti da quando lui non c'è più!»

«Non mi perderai! Io tornerò da te!» Ernesto sapeva che le stava promettendo la luna, ma non poteva lasciarla in quello stato, un'agitazione che lo rendeva inerme. Avrebbe affrontato la guerra del Mondo, ma come avrebbe potuto affrontare la tristezza di Carmela?

Lei lo guardò consapevole della sua menzogna, non era in grado di prometterle niente, eppure lo stava facendo, per lei: «Vieni» gli disse, prendendolo per mano, e lo condusse nel fienile.

L'odore di terra si mescolava a quello del legno, procedevano a tentoni, ma ormai la ragazza conosceva ogni aspetto di quel luogo, da quando suo padre era partito per la Grande Guerra ed era stata costretta a portare avanti la fattoria al suo posto.

Lo condusse in un angolo in fondo alla struttura; dalle travi filtrava il tenue bagliore della notte e la musica soffusa di una civetta.

Lui si lasciò portare, perché sarebbe andato fino in capo al mondo con lei, senza chiederle nemmeno la destinazione. L'amava da sempre, da quando l'aveva vista per la prima volta nella sua libreria: cercava "Cime tempestose" e si scoprì a desiderare di essere il suo Heathcliff.

Parlarono di letteratura e di come lei dovesse quasi nascondere quella passione ai suoi genitori, che invece la volevano moglie di qualcuno che portasse avanti la fattoria.

Carmela gli sfilò il berretto con la tesa rigida e lo impigliò su un gancio inchiodato a una trave di legno; il seno le si sollevava sempre di più, sempre più velocemente a ogni respiro. Si slacciò la cinta della vestaglia, mostrandogli la camicia da notte.

Non era così che se l'era immaginata, la sua prima volta, non con un indumento così poco attraente, non con l'idea che potesse essere anche l'ultima.

Eppure si sentì stranamente serena, quando Ernesto sbottonò la giacca, lasciandola da parte, passando poi alla camicia, che, una volta tolta, le rivelò il torace poco muscoloso e ricoperto da una leggera peluria castana.

Continuarono a spogliarsi lentamente, come se non avessero fretta, come se il loro mondo non finisse dopo quella notte.

Lui la accarezzò, delicatamente, quasi per timore di sfiorarla o forse addirittura di sciuparla, di rovinare tanta bellezza. Si avvicinò di mezzo passo, tanto bastò, e la baciò, ma stavolta c'era dell'altro, oltre alla morbidezza: c'era la dolcezza, la gioia, c'era l'amore, la speranza.

Carmela gli cinse le braccia al collo, lasciò vagare le dita sui capelli tagliati corti dall'esercito, quei capelli che una volta erano ricci, quei ricci che aveva sempre adorato, attorcigliati attorno ai lobi delle orecchie sottili.

Si lasciò andare sulla schiena, rimanendo nel suo abbraccio, che l'avvolgeva e la rendeva sua, mentre, piano e profondo, le donava la sua vita. Una vita che, dopo quella notte, non sarebbe più stata sua, ma di una Nazione che preferiva mandarlo a morire, piuttosto che lasciarlo vivere con la donna che amava.

Fu quella la notte in cui Ernesto e Carmela concepirono la piccola Elisa, una bambina cresciuta con la consapevolezza di un padre che aveva combattuto per la Patria, ma che non era riuscito a regalare la luna a sua madre.


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Il prompt era questo (numero 3):

https://www.wattpad.com/681836768-la-sfida-dei-bardi-concorsi-amore-ai-tempi-di

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