Capitolo 19 - Fegomir

Baltigo scrutava quel che restava della notte in attesa dell'alba dal tetto della struttura fatiscente che aveva subito l'assalto dei predoni, la mano sull'ankh che portava al collo. I pensieri giravano nella sua testa in totale libertà. In larga parte riguardavano l'attacco che aveva appena contrastato.

Un mago può davvero teletrasportarsi?

Per rispondere frugò nei propri ricordi in cerca di un mago di sua conoscenza che avesse compiuto un'impresa del genere e non ne trovò.

Cos'era allora? Un incantesimo di apparizione? Si può fare anche con un essere vivente, un essere umano?

Domande e domande, solo domande.

Chi altri avrebbe potuto dare una risposta certa a tali quesiti se non i maghi dell'Adunanza? Se loro non avessero saputo rispondere, ciò significava che un mago più dotato e abile li stava contrastando. Un uomo sarebbe rabbrividito alla sola idea, ma uno spettro no.

Questi pensieri tumultuosi lasciavano spazio di tanto in tanto al ricordo di Alira. La giovane maga riaffiorava nella mente dello spettro, sola, senza nessuna emozione ad accompagnarla; mentre Baltigo si limitava a poggiare la mano sul pendaglio che gli cadeva sul petto, puro istinto in azione. Non cercava spiegazioni razionali sul perché o sul percome, lo faceva e basta.

In verità spesso aveva pensato a lei da quando l'aveva conosciuta e ogni volta aveva inconsciamente toccato il pendaglio. Mai aveva raccontato questo singolare evento ad altri; anzi sarebbe stato disposto anche a mentire pur di tenersi quella faccenda per sé. Una volta riaffiorato, il ricordo tornava nelle profondità lasciando spazio ad altro.

Perché volere la morte dell'ambasciatore di Osling e Atla? Perché volere la morte di Aristides? Cos'è che vuole l'assassino?

In cosa consisteva davvero la missione di Aristides? Cos'è che l'assassino doveva impedire che accadesse? Era questo il punto, vero?

Le stesse domande tempestavano la mente di Aristides e quella del capitano Muscatt.

La preparazione per il proseguimento del viaggio dovette fare, poi, i conti con gli uomini persi nella carneficina.

I cadaveri impuzzolentivano l'aria: mentre il tenente si tamponava la ferita, il capitano razionava le scorte necessarie fino alla meta e Aristides si tappò la bocca e il naso con il fazzoletto, muovendosi verso l'esterno.

Gli spettri ora erano tutti lì nelle vicinanze, a controllare la situazione.

Il barone aveva gli occhi di due di loro puntati addosso.

«Quanto manca per Fegomir?»

«Dopodomani arriveremo nel regno di Volr e da lì un altro giorno di marcia per la capitale» rispose esaustivo lo spettro.

Lo stomaco di Aristides era ancora in subbuglio per la cavalcata notturna sulle ali del pegaso e la testa girava per i fatti suoi, mentre Baltigo lo teneva d'occhio dall'alto.

Lo spettro doveva scandagliare il cielo notturno per prevenire ulteriori minacce ed eseguì il compito finché l'alba non decise di presentarsi puntuale al suo consueto appuntamento giornaliero.

«Dobbiamo metterci in viaggio» annunciò Baltigo, prima di scendere.

«Come sappiamo che non ci sono altri predoni in agguato tra queste rovine?» domandò sprezzante Stell.

«Ci avrebbero attaccato una seconda volta» rispose svelto uno spettro.

«Perché non tenderci un'altra trappola?»

«Perché organizzare due agguati?» domandò Muscatt.

«Non c'è motivo, ma meglio non sostare troppo qui» osservò Baltigo.

Così, la compagnia riprese il cammino alla volta di Fegomir. Le rovine di Goria li circondavano e li accompagnavano sull'altro versante degli altopiani.

Mentre gli uomini cavalcavano all'erta pronti al minimo segnale di pericolo, Baltigo li guidava attraverso quei ruderi e gli altri spettri li seguivano a distanza volteggiando nelle immediate vicinanze.

Baltigo non avvertiva presenze insidiose sulla loro strada. La vista più nitida e l'udito più ricettivo lo rendevano più pronto a reagire, ma non ce ne fu bisogno.

Avevano ragione: i predoni erano morti nell'attacco e, se anche altri gruppi fossero soliti bazzicare quelle rovine usandole come rifugio, non erano nei paraggi in quel momento.

Attraversarono gli altopiani di Goria senza ulteriori intoppi e Baltigo li condusse lungo la strada rocciosa che un tempo collegava in linea diretta quello snodo commerciale a Fegomir.

Quella striscia di terreno era arida e la vegetazione non era riuscita a riappropriarsene, così i cavalli poterono proseguire velocemente.

Baltigo li spronò a spingerli al galoppo, perché desiderava arrivare nel territorio di Volr entro notte. Anche Muscatt concordò e approvò il programma a patto che ci fossero delle piccole soste ogni quattro ore di galoppo circa per far riposare i cavalli.

Seguirono la tabella di marcia, mentre i pegasi degli spettri volavano a una decina di metri da terra facendosi vedere in pieno giorno, al contrario di quanto era accaduto durante tutto il resto del viaggio. Le loro ombre coprivano le loro sagome a protezione delle loro teste, mentre il capitano e il tenente avevano i nervi a fior di pelle.

Aristides continuava a guardarsi le spalle indispettito dall'essere un bersaglio; tuttavia il cavallo lanciato al galoppo avrebbe reso difficile uccidere qualcuno in movimento a quella velocità.

La prima sosta avvenne a metà mattina e Baltigo li fece spostare lontano dalla strada. Come tutti i sentieri e le strettoie delle terre senza controllo, anche quella strada non era battuta da tempo; sì, certo, ogni tanto predoni e golgothiani ci passavano, ma decenni prima quelle vie erano decisamente più battute.

In quel maledetto fazzoletto di terra non c'era acqua per abbeverare i cavalli e questo era potenzialmente problematico per una situazione simile, a meno che al di là di quel deserto non ci fosse stato un lago appartenente al territorio di Volr.

Baltigo smontò dal pegaso e restò vicino ad Aristides per tutto il tempo. Questi mangiava e lui era lì, questi beveva e lui era lì, questi sedeva e lui era lì, questi pisciava e lui era lì.

Il barone lo trovava invadente anche per una guardia del corpo e, alla fine, sbroccò.

«Ma che cazzo! Potresti mantenere le distanze?»

«Devo farti arrivare a Fegomir sano e salvo.»

«Voglio solo pisciare in pace! Se qualcuno tenta di uccidermi mentre piscio, potrai intervenire quando vorrai, ma fino ad allora lasciami un po' di spazio.»

Baltigo indietreggiò di qualche passo.

Tempo un paio di minuti, Aristides si ricompose e il gruppo fu pronto a procedere oltre. Quella solfa si ripeté fino a tarda sera. Ormai l'oscurità avvolgeva ogni cosa e le ombre e le sagome degli spettri si persero in essa. Nessuno poteva vederli, a parte altri spettri.

Quando la notte calò su di loro, erano già nel regno di Volr e uno specchio d'acqua consentì ai cavalli e agli uomini un minimo di ristoro. Si rifornirono d'acqua e si accamparono.

«Finalmente di nuovo in un dominio degli uomini!» tirò un sospiro di sollievo Aristides.

«Chi ci assicura che nessun altro attenterà alla vostra vita?» chiese Muscatt.

«Beh... ma chi oserebbe? Insomma uccidermi nelle terre senza controllo e far sparire il mio corpo avrebbe avuto un senso, ma ora...»

«Ora cosa?» polemizzò Muscatt. «Siete scampato a un agguato e gli spettri sanno che qualcuno ha commissionato l'atto; quindi anche i maghi dell'Adunanza lo verranno a sapere e con loro tutti i sovrani coinvolti in questa ambasceria.»

«Ma questo gioca a mio favore, no? Sì, voglio dire, se tutti sanno o sapranno già che la mia morte non sarebbe dovuta a un incidente, a un caso, perché tentare ancora? Perché esporsi di nuovo, con gli spettri ancora intorno?»

«Se c'è un mandante, voleva che la vostra morte passasse come un caso per l'appunto» intervenne Stell.

«E non sarà soddisfatto nel sapere che il suo piano è stato scoperto e che voi siete ancora vivo» spiegò Muscatt.

«Quindi l'assassino potrebbe voler rimediare in parte attentando di nuovo alla vostra vita» concluse Stell.

Il fuoco scoppiettava allegro, illuminando la faccia pensierosa di Aristides.

Gli spettri erano a un passo da lui e ciò lo rincuorava: era grazie a loro se loro tre erano vivi.

Eh, già! L'assassino potrebbe voler portare a termine il compito anche da solo. In fondo un mago può uccidere qualcuno anche da una certa distanza, no? Però ci sono sei spettri a farmi da scorta e il primo tentativo è fallito. Perché dovrebbe riuscire da solo quando ha fallito con trenta predoni?

«Baltigo!» lo chiamò Aristides, prima che lo spettro raggiungesse i propri simili. «Pensi che il mago che è sfuggito alla cattura la scorsa notte si farà rivedere?»

«Non credo rischierà di essere preso da noi.»

«Cosa succede ai maghi che fate prigionieri?»

«Li portiamo ad Amarax e lì vengono processati e giudicati.»

«Quindi, secondo te, non corriamo pericoli questa notte?»

«Vi occulteremo. Occultare tre uomini è più semplice che fare lo stesso con un'intera compagnia di soldati.»

«Io, comunque, preferisco tenere la spada a portata di mano» commentò aspro Stell.

Baltigo si riunì agli spettri e i tre rimasero a dormire sulla riva del lago, i cavalli legati all'albero più vicino. Gli spettri si disposero a semicerchio e utilizzarono un incantesimo di occultamento per tutta la notte. Nessuno passò di lì e nessuno notò niente.

Muscatt e Stell dormirono con gli occhi aperti, mentre Aristides era troppo turbato per beneficiare di un sonno riposante e ristoratore. Continuava a girarsi e rigirarsi, la testa poggiata sulla sella. Sognava e risognava i momenti in cui aveva rischiato la vita quella notte e rivide la freccia piombargli addosso non desiderando altro che trafiggerlo, poi Baltigo spingerlo e subire il colpo al suo posto.

Lo spettro gli aveva già salvato la vita due volte e Aristides, preso com'era stato dai recenti avvenimenti, non si era neanche sincerato delle sue condizioni.

A essere onesti, Baltigo non aveva accusato il colpo nemmeno per un attimo, perciò le preoccupazioni per le sue condizioni non erano sorte. La questione si era persa nel nulla e Aristides sentì di dover rimediare in qualche modo; ma cosa poteva fare per lo spettro?

Tutti quei pensieri lo tormentarono fino all'alba e si svegliò arruffato e ancora stanco.

Muscatt si stava lavando, mentre Stell cambiava il bendaggio alla sua ferita.

«Ah, merda! Comincia a puzzare» sussurrò il tenente tra sé e sé.

«Alla fine non è successo niente» constatò Aristides.

«Gli spettri devono essere nei paraggi. Mi sento osservato e non mi piace proprio.»

«Un altro giorno di cavalcata e saremo a Fegomir, in un palazzo, serviti e trattati con il riguardo che si riserva agli ospiti. Pensate: dormire in un letto caldo e asciutto senza preoccuparsi di essere sgozzato nel sonno.»

«Un pasto decente non sarebbe male» convenne Muscatt.

Baltigo sbucò fuori dai cespugli e li spronò a ripartire, dalla groppa del suo pegaso.

«Mettiamoci in viaggio.»

«Ah, spettro, facci mangiare un po' prima!» ribatté aspramente Stell.

«Non devi portare l'ambasciatore vivo alla meta? Non è quello che vai ripetendo da quando siamo partiti?»

«Se non metto qualcosa sotto i denti, sverrò prima di sera!» esclamò Aristides.

«Gli uomini hanno bisogno di mangiare» rincarò Muscatt.

«Quindi mangiamo!» esclamò il barone, tagliando un po' di formaggio e di carne essiccata.

Trangugiarono in fretta e nel frattempo gli spettri attesero.

«Ho un'idea!» esclamò Muscatt. «Non possiamo escludere che ci siano altri assassini a Fegomir o sulla strada per arrivarci. Ed è ovvio che voi siate l'obiettivo! Siete vestito come un nobile in compagnia di due soldati. Una freccia ben piantata e siete morto: non occorrerebbe altro.»

«Quindi cosa proponete?» chiese Aristides.

«Abbiamo più o meno la stessa taglia, giusto?»

Il barone annuì.

«Scambiamoci i vestiti! Mi spaccerò per l'ambasciatore e farò da bersaglio; quando saremo al cospetto del re di Volr chiariremo la questione.»

«È un buon piano» convenne Stell.

«Sì, ma fare da bersaglio...» titubò Aristides.

«È la cosa migliore: inutile correre rischi a un passo dal traguardo» fu risoluto Muscatt.

Aristides si arrese e scambiò i suoi vestiti con quelli del capitano. Rimontarono a cavallo che ancora il cibo galleggiava nel loro stomaco e cavalcarono a tutta velocità; prima di notte, quando ancora il sole era una spanna al di sopra dell'orizzonte, i cancelli di Fegomir li attendevano solo per aprirsi al loro passaggio.

Baltigo bussò alla porta, sulla feritoia.

«Chi siete?» domandò la guardia, sbirciando attraverso la fessura.

Alla vista dello spettro, la tracotanza lasciò il posto a un brivido di paura.

«L'ambasciatore del regno di Atla e dell'impero di Osling e la sua scorta. Siamo attesi» rispose secco Baltigo.

«Chi di voi è l'ambasciatore?»

«Io!» alzò la mano Muscatt.

«Voi potete entrare, ma lo spettro no!»

«Impossibile. Io sono assegnato alla protezione dell'ambasciatore per tutta la missione. Lo seguirò con o senza permesso» rispose Baltigo.

«Non possiamo far entrare uno spettro senza l'autorizzazione del nostro re.»

«Allora andate a chiederla e dite che il barone Aristides Pius Lavart di Montier non incontrerà re Usamir di Volr e re Tamofer di Fertia senza la sua scorta al completo!» polemizzò il capitano, recitando nei panni del barone.

Si era calato perfettamente nella parte, tanto che lo stesso Aristides rimase colpito dalla sua arte teatrale.

Quando si dice fare di necessità virtù, pensò il vero barone.

«Attendete, per favore» si arrese la guardia.

«E ricordate di portare i miei omaggi al vostro sovrano qualunque sarà la sua scelta!» esagerò Muscatt.

La guardia li tenne fuori dalle mura il tempo necessario per mandare un messo a riferire, il quale tornò con la risposta di re Usamir in persona.

La feritoia si aprì e il responso venne annunciato.

«Potete entrare!» disse la guardia.

«Anche lo spettro?» chiese Muscatt.

«Sì, tutti voi!»

La guardia aprì i cancelli e fece passare la piccola delegazione. Non aveva idea che fossero presenti altri cinque spettri che non avrebbero chiesto il permesso per introdursi in città. Avrebbero vigilato dall'alto, pronti a intervenire protetti dall'oscurità della notte.

Re Usamir affidò il compito di accoglierli nel suo palazzo di ossidiana e oro al suo camerlengo.

Quel signorotto elegante e impomatato, che agitava sempre un bastone da passeggio, non mancò di esprimere le proprie riserve per aver accolto a palazzo uno spettro.

«Ma dato che è la volontà dell'ambasciatore e il mio sovrano è d'accordo...» aveva concluso il camerlengo.

I cavalli furono affidati agli scudieri, mentre gli ospiti vennero accompagnati nelle proprie stanze.

La massima attenzione venne riservata all'ambasciatore, ovviamente a quello falso. L'inganno non doveva essere rivelato prima di arrivare di fronte a re Usamir, per cui Aristides dovette accontentarsi di dormire negli alloggi meno prestigiosi, quelli riservati agli ospiti minori, uomini nobili o meno, senza grande importanza. Dopo aver trascorso gli ultimi giorni nelle terre senza controllo, una camera striminzita gli sembrava una reggia e poco gli importava di non avere servitori a coccolarlo.

Venne il momento di sistemare Baltigo.

«Mmm... è la prima volta che ospitiamo uno spettro» ammise il camerlengo. «Non abbiamo famigliarità su quali possano essere le vostre esigenze.»

«Non voglio una camera e non ho bisogno di restare a palazzo.»

«Strano! Mi pareva di aver capito che l'ambasciatore avesse insistito per avervi qui.»

«Posso assolvere al mio compito sorvegliando il castello da fuori.»

«Vi assicuro che è ben protetto.»

Baltigo neanche rispose e si diresse all'esterno a fare la ronda assieme ai suoi simili.

Spazio Autore

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