Capitolo 15 - Una persona bizzarra (Parte 1 di 2)
Alira era piombata nel mondo dei sogni. Viveva e riviveva i suoi ultimi momenti di coscienza: il tempo trascorso con i mercanti, l'acquazzone, la trattativa per il manto del leone di montagna, la ruota rotta e poi aggiustata, l'assalto dei predoni.
Già, l'assalto dei predoni! Cosa era successo dopo? Era fuggita inseguita da quel pazzo esagitato che non voleva lasciarla vivere.
Nella sua mente, in quella dimensione indefinita a metà tra sogno e realtà, una sola domanda la faceva da padrona: Sono ancora viva?
Avrebbe voluto destarsi e riprendere conoscenza, ma il suo corpo era di avviso diverso. Una strana sensazione di bagnato e umido le cingeva la testa. Cominciò lentamente a percepire il suo corpo, a iniziare dalle estremità.
«Sono viva! Sono viva? Forse lo sono ancora.»
Alira era convinta di averlo pensato, ma in realtà lo aveva farfugliato a bassa voce.
«Sì che lo sei!»
Udì una voce acuta, ma era di qualcuno lì presente o era solo nella sua testa?
Alira era convinta di aver pensato, ma in realtà aveva bofonchiato a bassa voce. Qualche minuto più tardi, sentì qualcosa di morbido e bagnato sulla propria fronte. Aprì gli occhi e si ritrovò a un centimetro dal naso due occhi piccoli e una protuberanza a patata che stava su quella faccia a titolo di naso.
«Ahhhh!» sussultò Alira.
«Ahhhh!» si scansò il suo salvatore, e nel farlo tirò una craniata a una grossa radice che spuntava dal tetto.
Ne seguì una serie di improperi che è meglio non riferire. Il nuovo sconosciuto le diede, quindi, le spalle poggiandosi a un tortuoso bastone.
Alira cercò di capire dove si trovasse. Attorno a sé vide delle radici formare un reticolo che teneva compatta la terra sopra di lei. Era sdraiata in una nicchia – ci stava a malapena – sopra un letto di legno rivestito da una coperta morbida e pulita. Il pavimento era abbastanza piano, fatta eccezione per qualche radice su cui si rischiava di inciampare, e in pietra levigata, mentre il tetto era sorretto da archi di pietra e legno. Quello strano luogo era illuminato da fasci di luce provenienti da alcune feritoie. L'arredamento era scarno: solo una sedia a dondolo, uno sgabello, un tappeto che sembrava buttato lì quasi per caso, un cerchio di sassi in un camino e i resti di legna bruciacchiata sopra il quale era posto un artefatto di metallo che serviva per posizionarci sopra le pentole di coccio ammassate in un angolo.
La giovane maga scrutò il suo salvatore con più attenzione: era basso – non doveva superare il metro e mezzo – ed era avvolto in un mantello grigio chiaro che trasmetteva una sensazione di ruvidità e rozzezza.
«Tu chi sei?» chiese Alira.
«Nessuno ti ha insegnato che prima ci si presenta?»
«Mi sono svegliata in un posto che non conosco, in compagnia di una persona che non conosco...»
«Come ti chiami, bambina?»
Quel nomignolo non le piacque, ma decise di soprassedere.
«Alira.»
«Io sono Antinos.»
«Come sono arrivata qui?»
«Non ci sei arrivata, ti ci ho portata io.»
«Cosa mi è successo? Mi ricordo di essere svenuta e poi più niente...»
Antinos si girò. Reggeva una candela accesa e si accostò al letto. Alira ebbe modo di guardarlo meglio: sotto il mantello portava dei vestiti logori ma puliti, di colore scuro; era molto vecchio, gli occhi piccoli e azzurri; dalla testa spuntava una folta criniera bianca, incontrollata e incontrollabile, ma nessuna barba incorniciava le labbra sottili.
Antinos stava per risponderle, quando la porta di corteccia scolpita alla bell'e meglio si spalancò e fece capolino una creatura che Alira mai aveva visto dal vivo prima: era un golem di argilla e pietra, che lasciò cadere dei ciocchi di legna sul pavimento. Era molto più alto di Antinos, almeno di trenta centimetri, e di gran lunga più imponente.
«Non vorrai mollare quella roba davanti alla porta, vero? Metti in ordine!» lo sgridò Antinos.
Il golem, per sua natura, non aveva il dono della parola; pertanto non poté controbattere e gli toccò ubbidire.
«Dov'è che eravamo?» tentò di riprendere il filo Antinos.
«Come sono finita qui?»
«Ah, giusto, giusto... io e questo coso ti abbiamo trovata priva di sensi sull'erba. Ho capito che eri viva e ti ho portato a casa mia.»
I gesti di protesta del golem interruppero il loro dialogo.
«Va bene, va bene... lui ti ha preso in braccio e ti ha posato dove sei ora» concesse Antinos. «Va bene così?»
Il golem alzò il pollice verso l'alto.
Alira cercò di mettersi seduta e, a fatica, ci riuscì.
«Dovresti riposare. Eri ammaccata e hai dormito fino a tirare il mattino.»
«Il mattino? Aspetta un momento... e l'uomo che mi inseguiva?»
«Ah, quello... È una lunga storia. Reggimi questa.»
Le diede la candela e trasse a sé lo sgabello aiutandosi con il bastone. Si accomodò e poi riprese.
«Hai attraversato una barriera posta a protezione di questo posto. Funziona in modo molto semplice: mi permette di sapere chi la varca e la sua posizione, ma se chi la varca ha cattive intenzioni viene schiantato al di fuori di essa. L'uomo che ti inseguiva è morto in questo modo.»
Alira si fece pensierosa.
«Oh, non ti dispiacere! Il mondo non ha perso niente.»
«Un momento... una barriera? Una barriera magica? Ma allora tu sei un mago!»
«Davvero? Non me ne sono mai accorto! Il golem che gira per casa mia non te l'ha fatto capire?»
«Pensavo si potesse comprare da qualche parte...» borbottò Alira, come a giustificare la sua affermazione.
Seguirono una smorfia e un verso sprezzante.
«Ho usato qualche incantesimo di guarigione, ma è meglio se resti a letto.»
«Dove siamo esattamente?»
«Questa è casa mia, scavata nella terra all'interno di una piccola collina.»
«Ma dove di preciso? In quale regno?»
«In nessun regno. Siamo nelle terre senza controllo.»
«Tu vivi qui?»
«Devi aver battuto la testa! Quale parte di "questa è casa mia" non ti è chiara?»
«Come fai a sopravvivere?»
Rumori confusi provennero dal golem che stava impilando la legna in modo ordinato.
«Lui raccoglie la legna, mi procaccia il cibo e pulisce casa. È il mio tuttofare.» Antinos si piegò in avanti, attento a non farsi sentire dalla creatura. «Meglio non mangiare quello che cucina: non ha il senso del gusto.»
«Io devo tornare a casa mia. Stavo tornando a casa mia!» esclamò spaventata Alira, gli occhi lucidi.
«Lo so, lo so. Eri in viaggio assieme a una compagnia di mercanti, ben scortata, in partenza da Amarax e diretta a Govonat.»
«Come lo sai?»
«Mentre dormivi, ho dato una sbirciatina alla tua mente. Non dirmi nulla. Lo so che non si deve fare, guardare nella mente altrui senza permesso. Solo che mi sono detto: "E chi se ne importa?" Perdonami: è che sono vecchio e ogni volta che posso farmi gli affari altrui potrebbe essere l'ultima.»
«Allora sai tutto di me.»
«Già!» esclamò Antinos, prima di alzarsi.
Prese un bollitore, lo riempì grazie a un mestolo di legno con dell'acqua che il golem aveva raccolto al fiume e preparò il fuoco, senza magia. Quando la fiamma iniziò a scoppiettare allegra, ci poggiò il bollitore e si sedette di fronte a esso, sempre sullo sgabello.
«Sai anche perché ero ad Amarax?»
«Già!»
Preparò due tazze di tè e gliene diede una.
«Sai anche perché stavo andando via da Amarax?»
«Già!»
«Sono una maga anch'io» sussurrò Alira.
«L'ho intuito. Ti sei sottoposta all'esame di ammissione e hai fallito.»
«Secondo te devo lasciare perdere?»
«Perdere cosa?»
«Di voler diventare una maga.»
«Non puoi semplicemente lasciar perdere. Sei una maga, che tu lo voglia o no. Nessuno può farti smettere di esserlo.»
«Ma mi ha detto che non ce l'avrei fatta!»
«A stare al passo in quella scuola? Non è poi la fine del mondo.»
«È la fine di un sogno, però!»
«Per quello che ti ha detto Barnabas? Lui è stato un grande mago ai suoi tempi, ma l'età deve averlo completamente rincoglionito!»
«Lo hai mai conosciuto?»
«Talmente tanto tempo fa che non mi ricordo nemmeno quando!»
La conversazione venne interrotta dal borbottio del bollitore.
«Rifletti bene su quel che ti ha detto, ma fallo da sdraiata: sei ancora convalescente!» disse, prendendole la tazza vuota.
Alira aveva ancora un cerchio alla testa e vedeva di buon occhio l'idea di stendersi. Era sdraiata in quella nicchia e la prima cosa che notò fu che quel vecchietto aveva dormito – se aveva dormito – sulla sedia a dondolo. Poi le venne in mente un'altra cosa: non aveva più vestiti, soltanto quelli che aveva addosso.
«Non ho niente! Nessun vestito, nessun mezzo per tornare a casa, niente!»
«La vita ce l'hai ancora. Non ti basta?» rispose Antinos, che nel frattempo aveva poggiato il bollitore su una mensola di legno e si era accomodato sul dondolo. «Riposati. Qualcosa mi inventerò.»
Antinos attese che dormisse e sgattaiolò fuori in silenzio. Alira venne affidata alle cure del golem.
«Dagli un'occhiata!» gli ordinò in un bisbiglio.
L'anziano mago camminava su e giù nei pressi della sua casa che sorgeva dentro una collina, sotto l'ombra e tra le radici di un albero formato da più tronchi nodosi e storti avvolti l'uno attorno all'altro.
Dannazione! E ora cosa faccio? Non ha niente... niente! È dispersa in queste terre desolate. Non può restare qui, ma non posso neanche cacciarla. Quindi?
Con le mani dietro la schiena, continuava ad andare avanti e indietro, con un'espressione crucciata.
Potrei indicarle la strada giusta per tornare ad Amarax. Potrebbe farsi una nuova vita, magari potrebbe trovare lavoro in qualche emporio di pozioni e potrebbe imparare. Sarebbe un'esperienza utile per chi desidera essere un mago. Ma posso indicarle il fiume e farla andare da sola verso la città? Potrei farla accompagnare da quell'ammasso di argilla...
Si soffermò un attimo su quanto aveva appena pensato e scosse subito la testa.
No, no, no! Messo il piede fuori dalla barriera, niente è sicuro. La carovana su cui viaggiava è stata assaltata dai predoni. Di solito hanno rifugi temporanei e si spostano dall'uno all'altro. Potrebbero essere ancora qui intorno! Ah, Antinos, stai mettendo il carro davanti ai buoi! Le serviranno un paio di giorni per ristabilirsi e non potrà muoversi fino ad allora. Pensiamo alle priorità! Per il cibo non c'è problema. Per dormire non c'è problema. Per il bagno ci organizzeremo, ma per i vestiti? Ci dev'essere un incantesimo per risolvere la cosa. Possibile che non me ne venga in mente neanche uno? Avanti, pensa!
Antinos si sedette su una roccia che svettava sull'erba. Respirava profondamente e guardava avanti. Solo un velo li proteggeva da quello che correva, camminava e strisciava all'esterno.
Ah, bambina! Certo che è stata una bella fortuna per te valicare la barriera e trovare aiuto. Peccato che fortuna sia il nome che gli imbecilli danno al destino.
Antinos rimase in contemplazione fino all'ora di pranzo. Rientrò e vide il golem intento a preparare uno stufato. L'anziano mago sollevò gli occhi al cielo e pregò che non fosse avvelenato come l'ultima volta, quando l'ammasso d'argilla e pietra l'aveva cotto con piante che non conosceva.
Antinos sapeva che, nel migliore dei casi in quel calderone, bollivano dei fili d'erba assieme alla carne.
Il golem agguantò due scodelle e un mestolo e servì lo strano pantano ai commensali.
Il mago si sedette sullo sgabello accanto al letto e alla ragazza, attese che il golem si girasse e si piegò verso di lei.
«Bocconi piccoli, mangia piano e mastica bene» le sussurrò.
Antinos portò il cucchiaio di legno alla bocca e seguì il suo stesso consiglio. Fu scosso dai brividi e sopraffatto dalla nausea.
Quel coso d'argilla senza cervello ha messo radici amare e foglie di olivoro.
Anche Alira si apprestò a mangiare, ma Antinos la fermò.
«Meglio di no.»
«Ma sono affamata!»
«Meglio tenersi la fame che trangugiare questa sbobba!» commentò Antinos. «Hai sentito? Hai anche sprecato dell'ottima carne per questo bel risultato! D'ora in avanti cucinerò sempre e solo io!»
«È così malvagio?» chiese Alira, prima di assaggiarne un po'. Se ne convinse subito e lo sputò.
«Ti avevo avvertito, bambina! Comunque, visto che la nostra ospite deve rimettersi in forze, servile del pane e del formaggio stagionato.»
Il golem afferrò un paniere da una mensola e ne trasse del pane; poi spostò il tappeto, aprì la botola che nascondeva e scese di sotto. Ne riemerse con una caciotta, ne tagliò un pezzo, lo posò su un piatto accanto al pane e lo servì.
«Mangia! Questi sono buoni.»
In effetti Alira dovette dargli ragione. Lo erano davvero, anche se, dopo quel pantano che aveva assaggiato prima, avrebbe considerato appetibile anche la ruota di un carro. Mangiò voracemente, mentre Antinos si rimpinzò di pane e mise a cuocere del pesce sul fuoco.
«Ne vuoi uno anche tu?» chiese Antinos.
«Sì, grazie.»
«Ho pensato alla faccenda dei vestiti. Immagino che tu sia andata ad Amarax con un bagaglio.»
«Sì, ma l'ho lasciato dov'era quando sono scappata.»
«Comprensibile. Quindi immagino sia perso, o meglio sia nelle mani dei predoni.»
«Non lo so per certo, ma credo di sì.»
«Non resta altro da fare che farne apparire di nuovi. Vuoi provarci tu?»
«Io ho letto solo un paio di libri di magia vecchi e consunti e ho provato a fare qualche incantesimo, ma mai di questo tipo.»
«Gli incantesimi di apparizione sono un argomento ostico sia per i neofiti sia per quelli che credono di essere esperti.»
Antinos si schiarì la gola, puntò la mano e, detta la formula, fece apparire dei vestiti nuovi e puliti.
«Non sono certo di aver azzeccato la taglia.»
Alira li prese e se li misurò.
«Dovrebbero andarmi!»
«Se vuoi cambiarti, esco un attimo, ma poi dovrai rimetterti a letto.»
Antinos uscì e aspettò che Alira lo richiamasse. Ci volle poco e rientrò appena in tempo per togliere i pesci dal fuoco.
«Da dove li prendete i pesci?»
«Il fiume Mirith è abbastanza vicino» spiegò, azzannando il suo.
«E il pane?» chiese Alira, con la bocca piena.
«Incantesimo di apparizione.»
«E il formaggio?»
«Incantesimo di apparizione.»
«Conosci altri incantesimi?» chiese la ragazza, cambiando discorso.
«Qualcuno! Ora finisci il tuo pesce e poi a riposare.»
Alira ubbidì.
In fondo mi è andata bene. È stato gentile e sta avendo cura di me. Se non ci fosse stata quella barriera, sarei morta e, se non mi avesse trovata, sarei stata sola in queste terre.
Lo guardava e si meravigliava che un uomo tanto piccolo da somigliare a un folletto vivesse in quell'inferno senza compagnia umana. Lo osservava mentre Antinos sbraitava contro il golem.
La sua dimora era grande e il golem ci stava, ma il mago si era stufato di averlo tra i piedi.
«Ora basta! Miniaturizzati!» urlò, rimpicciolendolo fino alle dimensioni di una statuina da tenere in una mano.
Lo posò su una mensola e, infine, sgridò Alira che ancora era sveglia, prima di precipitarsi fuori.
Spazio Autore
Grazie per essere arrivati fin qui con la lettura.
Fatemi sapere la vostra nei commenti e, se vi è piaciuta questa parte, lasciate una stellina.
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