Capitolo 14 - Muhtak (Parte 3 di 3)

I golgothiani si svegliarono, uscirono dal Pta'Mon e fecero colazione.

C'era un clima diverso da quello dei giorni precedenti. Erano più eccitati e scalpitanti. I guerrieri si diressero ordinati nello stesso posto, seguiti a ruota dai giovani e dai bambini; tutti tranne Hugai, Oga'Teh e Gavister.

«Preparalo! È il giorno della Muhtak, il giorno della sopravvivenza.»

Hugai uscì e seguì la folla, ma soltanto per un po'. Delle tracce lo incuriosirono, così le seguì fino a un gruppo di fili d'erba piegati e schiacciati. Sorrise e tornò sui propri passi.

Gavister si alzò, gli occhi vuoti anche se rossi e gonfi.

Oga'Teh sparì per un paio di minuti e tornò con due ciotole tra le mani. Le posò sull'erba e mise a sedere il ragazzo a forza.

«Togliti i vestiti! Il torso deve restare nudo e così anche i piedi e le gambe.»

«Devo rimanere... nudo?»

«No, solo questi» disse, tirandogli i pantaloni.

Gavister obbedì, ormai rassegnato al suo destino.

Oga'Teh intinse le dita in un brodo lattiginoso per poi spruzzarglielo in faccia e sul corpo.

«Cos'è?»

«Quello che resta del latte cagliato di capra.»

Una smorfia di disgusto dipinse il volto del ragazzo.

Oga'Teh prese l'altra ciotola e disegnò due strisce rosse verticali sul suo torace.

«Questa è la marcatura! Serve per sapere quale clan ti possiede.»

«Anche gli animali che rubate ce l'hanno. È quello che fate per rivendicarli come vostri?»

«Ri...? Rivendi...?»

«Rivendicare! Dire che è roba vostra!»

«Sì! Rivendicare... rivendicare... rivendicare...»

«Sono come un animale per voi?»

«Se sopravvivrai, potrai diventare qualcosa di più.»

Si alzarono e, appena fuori dal Pta'Mon, trovarono Katu ad aspettarli.

«Muoviti, rynniu!» intimò il giovane golgothiano.

Gavister annuì.

«Mi farà del male?» chiese, con voce sussurrata.

«No, ti accompagnerà nel luogo prescelto» lo rassicurò Oga'Teh.

Katu lo afferrò per il braccio e lo tirò, seguito dalla sorella.

«So camminare da solo!»

«Adesso parli, rynniu?»

«Sì, parlo! Quanto mi pare e piace!»

«Sei uno schiavo: non ti devi permettere di rivolgerti a me con quel tono!» sbraitò Katu, caricando il pugno.

«Fermo! Non puoi toccarlo!» si intromise Oga'Teh, aggrappandosi al braccio del fratello.

«Ah, muoviti. Tanto non sopravviverai alla Muhtak. Io sono in disaccordo con vopto: credo che morirai per primo.»

Cos'è "vopto"?, pensò Gavister, ma porre la domanda fu superfluo, visto che Oga'Teh lo spiegò subito.

«Vopto significa padre nella nostra lingua.»

«Non tradurre! Non deve imparare, deve solo morire!»

Un gran tumulto proveniva da lontano e si faceva sempre più impetuoso, tanto da coprire il fruscio del fiume che si snodava armonioso tra le rocce.

Katu lo portò verso la riva passando tra gli altri golgothiani del clan, che aprirono un varco sollevando le braccia e gridando in segno di esultanza.

Arrivati a destinazione, trovarono Hugai ad attenderli, la spada di Ungar tra le mani.

«Questa è tua, cucciolo d'uomo!»

Gavister prese l'arma lasciando trasparire un'espressione confusa. Accanto a Hugai, il vohnir del clan lo fissava reggendo un corno di vacca scavato, contenente un liquido dall'odore strano. Aveva un copricapo fatto di piume, una collana di ossa appese a crini di cavallo e una specie di mantello di cuoio con due fasce che cadevano sul davanti lasciando scoperto il petto.

«È questo il piccolo uomo?» domandò Unnak nella propria lingua, non senza una vena di schifo. «E tu vedi in lui una lama?»

Unnak lanciò uno sguardo di disapprovazione che raggelò Katu e Oga'Teh, mentre Hugai restò impassibile.

«Bevi, piccolo uomo!» gli intimò Unnak.

Gavister storse il naso, ma non fece troppe storie e bevve tutto in un sorso. Se l'odore era nauseabondo, il sapore era peggiore. Tossì ed ebbe dei conati di vomito non produttivi. Si sentì gli occhi bruciare, quasi fossero stati posati su un metallo incandescente; la bocca secca e uno strano crampo allo stomaco.

«Ora vieni!»

Unnak e Hugai scesero lungo un sentiero e balzarono sulle rocce che spuntavano dal corso del fiume fino ad approdare su un masso nel mezzo del suo letto.

Gavister vedeva sbiadito e faceva fatica a mantenere l'equilibrio, perciò Hugai dovette aiutarlo ad arrivare a destinazione.

Anche gli altri prigionieri avevano subito lo stesso trattamento e Gavister si ritrovò assieme agli altri. Era tutto sfocato, sagome indefinite che barcollavano sulla pietra nuda e umida.

Le urla dei golgothiani risuonavano come un rombo insopportabile: era come avere un'eco perpetua e infinita nei timpani. Una fila di guerrieri su una riva e una sull'altra brandiva lance con punta di selce e asta di legno.

Dalla cima di una sporgenza del fiume Mirith, che scorreva largo e impetuoso, si udì una voce roca e autorevole.

«Schiavi, avete bevuto l'eveshin e siete stati armati. Ora combatterete gli uni contro gli altri per la vostra vita. Chi ucciderà gli altri sopravviverà, ma fate attenzione: il veleno che avete bevuto vi dà un tempo limitato. Non provate a fuggire, perché non ci riuscireste» si pronunciò Tunyk, vohnir del clan di Johta.

Gavister fu in grado di sentire quanto bastava per capire il senso del discorso. Il suo equilibrio era precario e usò la spada come sostegno. Provò a contare i suoi avversari in quel gioco al massacro. Erano nove. Uno di loro partì contro il vicino e lo pugnalò. Questo diede il via a una gazzarra senza regole e senza ordine. Gavister preferì stare un momento in disparte.

Merda, non ci vedo! È tutto sfocato! Pensa... pensa! L'acqua! L'acqua del fiume... forse mi può aiutare.

Gavister si buttò a terra, la spada stretta in una mano, e gattonò verso il fiume.

«Ah, è proprio un rynniu!» commentò caustico Katu.

Gavister tastava la pietra per evitare di cadere per sbaglio nel letto del fiume, muovendosi verso il bordo. Capì di esserci arrivato quando i flutti bagnarono la mano aggrappata alla roccia levigata. Immerse la mano, si lavò la faccia e bevve.

Le immagini rimasero sfocate, ma si sentì meglio e si rialzò. Strizzò gli occhi per mettere a fuoco e vide tre corpi esanimi a terra, due uomini che si azzuffavano a mani nude, uno che veniva buttato in acqua e trascinato via dal fiume, altri due che si rincorrevano a vicenda.

Uno di questi provò a scappare saltando su un'altra roccia, ma venne subito trafitto dalle lance golgothiane. L'uomo alle sue calcagna si girò guardandosi attorno, il volto paonazzo e le mani tremolanti. Si precipitò su Gavister, che sguainò la spada, si spostò di lato e puntò l'arma davanti a sé. L'uomo corse contro la lama e venne trafitto. L'effetto del veleno gli aveva annebbiato i sensi, i riflessi e l'equilibrio. Lo stesso Gavister faticò a capire come fosse riuscito a fermarlo e lo vide cadere ai suoi piedi.

I due rimasti erano ancora impegnati nella loro zuffa e rotolavano sulla pietra, la testa di entrambi fuori dal bordo. Uno sovrastava l'altro e lo stava strangolando, spingendogli la testa nell'acqua. La corrente era forte e il malcapitato non faceva altro che bere.

Gavister non smaniava all'idea di uccidere qualcuno, ma la prospettiva di morire lo entusiasmava ancor meno; così non stette a pensarci e trafisse alle spalle l'uomo a cavalcioni e lo gettò in acqua.

Ne era rimasto uno. Solo uno e sarebbe sopravvissuto.

Il veleno soffocò improvvisamente Gavister, una mano alla gola e l'altra sulla spada. Barcollò indietro. L'altro sollevò la testa. Fiotti d'acqua uscirono dalla sua bocca, il respiro incerto e lo sguardo stordito. Gavister cadde in ginocchio, mentre l'altro provava a trascinarsi via dal bordo.

«Ra-ragazzo, s-sei tu?»

Gavister tornò a vedere solo macchie sfocate, mentre i suoni arrivavano ovattati alle sue orecchie.

«Chi parla?»

L'uomo con cui aveva parlato il giorno prima, il prigioniero di Beott, provò a rialzarsi, ma la testa prese a girargli senza dare cenno di volersi fermare. Cominciò a lacrimare sangue.

«Sia-siamo ri-rimasti noi d-due!» tentennò l'uomo.

Si trascinò carponi verso il ragazzo.

Gavister alzò la spada e la puntò in direzione del nemico, le ginocchia ancora sulla pietra umida. Ora anche lui aveva la testa spaccata in due e uno strano senso di nausea.

L'uomo sputò un fiotto di sangue. L'acqua gli aveva lavato gli occhi, per cui riusciva a vedere dove stava andando e dove doveva andare, mentre Gavister non era nelle stesse condizioni: ora gli occhi del ragazzo lacrimavano sangue.

Sentì afferrare la sua spada. Pensò volesse strappargliela, così la strinse con tutta la forza che possedeva. Sentì uno strattone e poi più niente, tranne una flebile voce.

«Muori libero!»

Gavister vide una massa informe precipitare sulla pietra tirandosi dietro la spada, che gli sfuggì dalle mani.

Era l'unico sopravvissuto, ma si sentiva scivolare la vita tra le dita. Un sapore amaro misto a quello del sangue in bocca, un brivido di freddo lungo tutto il corpo e si accasciò a terra.

«Sono morti tutti, alla fine!» osservò Johta.

Katu ridacchiò, mentre Oga'Teh pareva l'unica a essere dispiaciuta.

«Cosa fa il vohnir del clan?» chiese polemico Hugai, in golgothiano.

«Che cosa vuoi dire con questo, capoclan?» ribatté Unnak.

«È compito del vohnir curare i feriti del suo clan.»

«Il cucciolo d'uomo è morto. Va al di là delle mie capacità riportarlo in vita.»

«È vivo! Ma lo sarà ancora per poco, se il vohnir non farà niente.»

Hugai fece per attraversare il fiume, ma Unnak lo afferrò.

«I corpi vanno lasciati dove sono. È la regola!» lo rimproverò Unnak.

«E il vohnir deve curare l'ultimo sopravvissuto dal veleno. È la regola!» ribatté a muso duro Hugai.

«Vuoi una prova che sia morto? Bene!»

Unnak saltò da un sasso all'altro fino al corpo di Gavister. Borbottii e urla di disapprovazione mista a indignazione si sollevarono tra i golgothiani di tutti i clan, compreso quello di Hugai. Unnak si inginocchiò e sentì il battito cardiaco con il palmo della mano.

«È vivo!» sussurrò incredulo. «Hugai aveva ragione!» Unnak depose l'altra mano sulla testa del ragazzo.

«Fermo, Unnak! È morto! L'uomo è morto!» tuonò Tunyk.

Un bagliore verde smeraldo avvolse il ragazzo e le sue dita si mossero lievemente. Sentì il proprio respiro riappropriarsi della sua forza e il suo cuore riprendere vigore e ritmo. Riaprì gli occhi e si accorse di poter vedere in maniera nitida e chiara.

«Alzati in piedi, piccolo uomo!» lo aiutò Unnak, sorreggendolo.

Le urla di protesta si fecero sempre più intense e molti golgothiani agitarono le lance. Gli unici a stare zitti furono quelli del clan di Hugai, fatta salva qualche eccezione; persino Katu non fiatava, l'espressione di disprezzo sul volto.

«Hai interferito, Unnak!» gridò Johta.

«Non è giusto!» gridò Beott.

«Il piccolo uomo doveva morire!» protestò Danum.

«I vohnir non interferiscono nella Muhtak. Vergognati, Unnak!» sbraitò Tunyk.

I golgothiani parlavano nella loro lingua e Gavister, ancora frastornato, non capiva una parola, ma era chiaro anche a lui quanto la situazione fosse critica.

La spada di Ungar! Dov'è? Era tra le mie mani e... quell'uomo...

Gavister lo cercò con lo sguardo e lo trovò a qualche passo, la spada conficcata nello stomaco e le mani ferite.

Si è ucciso! Si è reso conto che non aveva speranza di vivere e si è ucciso. O forse non voleva vivere come uno schiavo? Ecco perché mi ha detto quelle parole.

Le lamentele continuavano, facendosi più rumorose, quando a un tratto scemarono e le fila dei golgothiani si aprirono. Incominciarono a inginocchiarsi in silenzio, tutti, dai bambini ai vohnir passando per i capiclan.

Gavister vide qualcuno avanzare, una figura che non riusciva a mettere ancora a fuoco. Arrivò alla riva del fiume e un albero si piegò in un inchino, la accolse su uno dei suoi rami e la accompagnò sulla pietra nuda.

Unnak si inginocchiò.

Gavister poté vederla meglio. Era una femmina e sembrava essere molto anziana. Vestita con pelli e cuoio, i piedi e le braccia nude, se ne stava appoggiata a un bastone biforcuto in cima, con ossa di animali appese ai due rami tramite dei crini.

Gli si avvicinò e Gavister non sapeva se indietreggiare, inchinarsi o scappare. La golgothiana allungò la mano e la posò sul petto del ragazzo. Chiuse gli occhi e Gavister sentì una strana forza emergere, un'energia che bruciava e che mai aveva percepito prima. La golgothiana sollevò il bastone sopra la testa.

«Lo spirito del fuoco arde in questo cucciolo d'uomo!» disse con voce squillante, nella propria lingua.

Una fiamma si accese e divampò al di sopra del suo bastone, calda e splendente.

Spazio Autore

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