Capitolo 11 - Golgoth (Prima Parte)

I bufali correvano nell'erba alta e senza confini, diretti verso sud. Conoscevano bene la strada, era impossibile perdersi per loro: la brezza sottile e rinfrescante li guidava verso casa.

L'erba era cresciuta tanto da formare delle vere e proprie fruste che infierivano sui fianchi di quegli animali e sulle gambe nude dei loro cavalieri.

Gavister era ancora svenuto e a niente servivano il fruscio del vento che muoveva i fili d'erba come onde del mare, le percussioni del galoppo o le grida dei golgothiani.

Andarono avanti per ore senza mai fermarsi un momento, almeno fino a quando il sole non si avviò sotto alla linea dell'orizzonte. La fine della traversata del sole segnava il tempo di riposarsi. Per quanta stamina avessero i golgothiani, anche loro avevano bisogno di dormire una volta sopraggiunta la notte. Avevano un modo tutto loro di accamparsi: nessuna tenda, soltanto fuoco. Era facile per loro tagliare la legna da ardere, così tranciarono tutti i rami e gli arbusti contorti che li circondavano, dando vita a fiamme che iniziarono a scoppiettare con tutta la loro vivacità.

Gavister era rimasto svenuto a lungo e venne svegliato da quello scoppiettio, dalle voci roche dei golgothiani e dai passi dei bufali che ruminavano lì intorno. Si accorse di avere mani e piedi legati e una corda alla caviglia. Seguì il lembo con lo sguardo fino all'altro capo e arrivò al tronco di un faggio. Altri erano legati allo stesso albero, tutti erano ridotti male e molti erano messi peggio di lui. In un lampo di lucidità, si rese conto di essere stato fortunato a svenire subito. Non provò a contarli, l'unico bagliore che poteva illuminarli era distante e circondato dai golgothiani. Accanto a lui un vecchio ansimava per il dolore, mentre altri più in là si giravano per guadagnare una posizione più comoda.

Dove sono? Perché sono legato a un albero? Cosa mi è successo?

Era disteso, la pancia a terra e una guancia premuta su un sasso, le mani in preghiera. Si girò sulla schiena e cercò di mettersi seduto. E li vide.

Sono stato catturato. Sì... ora ricordo! Mi stavo nascondendo tra le fronde degli alberi e quel mostro enorme mi ha stanato e steso. Deve avermi portato qui assieme ad altri prigionieri.

Strizzò le palpebre, puntando lo sguardo sulla fonte luminosa.

Hanno acceso un grande fuoco... forse vogliono cucinarci e mangiarci... forse siamo noi la cena!

Ebbe un sussulto al solo pensiero, il battito aumentato e il respiro affannato.

No, no, aspetta... perché saccheggiare la dispensa del villaggio se siamo noi la cena?

Il battito rallentò appena.

Stanno già banchettando. No, non credo che ci mangeranno per dolce.

Tentò di riprendere la calma. Quanto era difficile! Faceva di tutto per sfuggirgli.

«Qualcuno sa dove siamo?» bisbigliò agli altri prigionieri.

Nessuno rispose: troppo sfiniti per parlare.

«Ehi... ehi... ehi! Mi sentite?»

Ancora nessuna risposta; così strisciò verso i più vicini, con prudenza, un occhio a dove stava andando e l'altro rivolto ai golgothiani.

«Sapete dove stiamo andando?» insistette, alzando un pochino la voce.

«A s-sud!» tentennò uno.

Aveva un profondo taglio sulla testa che gli macchiava i capelli e, nel confronto con i razziatori, doveva aver perso un paio di denti. Sputacchiava sangue quando parlava e le smorfie di dolore gli deturpavano il volto.

«Dove a sud?»

«Gol-Golgoth.»

«Golgoth! Sicuro?»

«L'hanno detto mentre ci spostavamo.»

La voce di un uomo dietro al tronco dell'albero lo raggiunse in modo chiaro. Gavister non poteva vederlo e sperava che i golgothiani non li sentissero.

«Non sei stato attento mentre parlavano? Eppure quegli animali parlano la lingua degli uomini» proseguì l'uomo, senza curarsi di contenere il volume delle proprie parole.

«Parla piano o ci scopriranno!» lo rimproverò Gavister.

«Siamo già morti, tutti! Ora o domani che differenza fa? Se anche qualcuno restasse vivo, sarebbe ridotto in schiavitù. Vuoi fare da schiavo ad assassini che hanno trucidato un villaggio intero e hanno trascinato i sopravvissuti in questa landa dimenticata?»

Prima che Gavister potesse ribattere, sentì dei passi pesanti farsi largo nell'erba. Capì che erano di un golgothiano e che stava venendo verso di loro.

Gavister si afflosciò a terra fingendo di essere ancora privo di sensi, gli occhi socchiusi e il cuore palpitante fino a schizzare fuori dal petto. Vide il piede del golgothiano passare oltre e subito dopo udì di nuovo la voce dell'uomo.

«Cosa vuoi, mostro?»

Il golgothiano non rispose. Gavister spostò lentamente la testa e aprì un po' di più gli occhi per vedere meglio la scena.

Quel che vide furono le sagome dei due disegnate dal fioco bagliore del fuoco acceso alle loro spalle.

«Che fai? Lasciami, schifoso!»

L'uomo era stato sollevato a mezz'aria, afferrato per i capelli; i piedi penzolavano a mezzo metro dal suolo. Venne scaraventato contro l'albero.

Gavister, dalla sua posizione, non poté vedere dove batté di preciso il poveretto, ma dal tonfo che fece quando ritrovò la terra il golgothiano doveva averlo lanciato davvero in alto. Sentì delle urla di dolore e vide una sagoma infierire con dei calci su un'altra riversa a terra.

Il golgothiano, senza proferire verbo, tornò tra i suoi simili e lasciò l'uomo a rantolare di dolore e a leccarsi le ferite.

Gavister attese e si sincerò che il golgothiano si fosse allontanato.

«Psss... stai bene?» bisbigliò, una goccia di sudore gli percorse la guancia.

«Sì» rispose a fatica l'uomo, la voce ridotta a un sussurro questa volta. «Maledetti! Che siano tutti maledetti!»

«Non parlare! Tieni duro!»

«Siamo morti o schiavi» mormorò l'uomo, il braccio sulle costole dolenti.

«Si addormenteranno, no? Possiamo scappare!»

«No, ragazzo! Siamo morti o schiavi, ti dico» insisté l'uomo.

«Se non potrai vivere libero, allora ti auguro di poter morire libero.»

Gavister sentì il suo cuore tremare di paura. Si era buttato all'inseguimento dello spettro senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Eppure l'odio per quella creatura e il desiderio di vendetta erano così prepotenti da incitarlo a cavarsela, a uscire da quel pasticcio enorme in cui si era cacciato.

Ma come scappare? Come svignarsela senza dare nell'occhio? Come allontanarsi tanto da evitare di essere ritrovato e ricatturato? Gli sembrava impossibile; perché era tutto così maledettamente impossibile?

Pensa... pensa... pensa! Avanti, in fretta! Stanno mangiando, giusto? Giusto! E una volta finito, se ne andranno a dormire, prima o poi, no? Sì, è così! Certo che è così! Deve essere così! Queste corde... queste maledette corde... sono resistenti! Mi serve un coltello per tagliarle. Un coltello come si deve. La spada di Ungar! È l'ideale! Ma dov'è? Deve averla presa quel tizio.

Sospirò e posò la fronte contro la terra, tra le radici dell'albero, poi riprese il filo dei propri pensieri.

Vale la pena rischiare la vita per riprenderla? Ah, che razza di domande! Era di Ungar. L'unica cosa che mi è rimasta di lui. Non posso lasciarla in mani che non sono le mie. E soprattutto non nelle loro. Dove l'avrà messa?

Gavister fece gironzolare lo sguardo tra i golgothiani, alla ricerca di quello che lo aveva catturato. Per lui erano tutti uguali e il chiarore del fuoco che si perdeva nell'oscurità della notte non aiutava.

È inutile! Le loro facce sono tutte simili.

Poi notò un particolare evidente, che sarebbe balzato anche all'occhio della persona più distratta.

Sono nudi, quasi. Le loro armi non le hanno con sé, le fanno portare alle loro bestie; quindi è probabile che la sua bestia abbia la spada di mio fratello. Ma dov'è? Anche se la trovassi, come prenderla? Sono troppo lontano e sono legato stretto. Per liberarmi mi serve la spada e per prendere la spada mi devo liberare. Questi nodi sono stretti, ma devo provare a scioglierli.

Li avevano legati fin troppo bene. Le corde erano tanto strette da bloccare la circolazione e i loro nodi sembravano impossibili da sciogliere a mano.

Dannazione! Eppure dovranno slegarci per portarci via, no?

Si stava indispettendo.

«È inutile» gli disse l'uomo, sentendolo trafficare. «Se ti scoprono, ti ammazzano.»

«Dobbiamo scappare, o almeno tentare.»

«Moriremmo in meno di un minuto.»

«Meglio morire liberi, no? Quanti di voi riescono a correre?»

«Ragazzo, ti stai condannando con le tue mani. Lascia perdere!» lo avvisò un altro, mezzo moribondo.

«Io non finirò la mia vita qui!»

Gli uscì uno strano bisbiglio acuto dalle labbra assieme a quelle parole.

I golgothiani iniziarono ad agitarsi e si avvicinarono ai prigionieri. Ognuno ne prese uno. Gavister venne sollevato, afferrato per la collottola come un gatto. Il golgothiano tagliò di netto la corda che lo fissava al tronco e lo portò poco distante. Lo gettò accanto al fianco del suo bufalo e legò il lembo libero di corda al suo polso.

Hugai si sdraiò a terra e poggiò la testa sulla pelliccia della sua bestia fuori misura. Gavister era poco distante dall'animale e aguzzò la vista in cerca della sua spada, finché non vide impugnatura ed elsa spuntare dalla sella. Sarebbero bastati pochi passi per riprendersela. Attorno a loro c'erano altri golgothiani legati ad altri prigionieri.

Merda! Ovunque mi giri ci sono questi tizi. Potrei anche riuscire a recuperare la spada di Ungar, il mio passo è leggero, ma filarsela sarà più difficile. Oh, cielo! Speriamo che vada bene!

Hugai aveva gli occhi chiusi e il suo petto si abbassava e si alzava mosso da un respiro profondo.

Starà dormendo? No... è ancora sveglio! Devo avere pazienza: il momento giusto arriverà presto. La notte rappresenterà l'occasione migliore, la mia occasione! Se riuscirò a svignarmela in silenzio, potrò andarmene indisturbato. Nessuno di loro saprà dove sono finito e non sprecheranno tempo a cercarmi. Hanno molti prigionieri e stanno tornando a casa. Se ne andranno per la loro strada in ogni caso.

Hugai si era lasciato andare con tutto il corpo. Era chiaro come il sole che stesse dormendo, ma non era l'unico a cui badare. Farsi scoprire da un suo simile sarebbe stata la stessa cosa. Selvaggi grossi almeno il doppio di un uomo normale lo attorniavano. Decise di aspettare che tutti fossero bene immersi nel sonno prima di muoversi.

Continuava a guardarsi intorno, quando la notte fonda li avvolse nello stesso abbraccio. I golgothiani sembravano tramortiti, fermi immobili, mentre solo il loro respiro aleggiava nell'aria tersa. Gavister si mise in piedi lentamente.

Calma... calma... e sangue freddo. Devo solo evitare di fare rumore.

Un passo silenzioso alla volta e la spada fu lì, a portata di mano.

Il russare del bufalo lo aiutava, sovrastando qualsiasi altro rumore molesto, mentre le orecchie di Hugai erano quasi incollate al naso della bestia: non avrebbero potuto sentire altro.

Mancava poco, era a un palmo. Protese le mani legate e afferrò il manico dell'arma.

Hugai dormiva seduto alla sua sinistra, la schiena contro la bestia. Gavister lo fissò mentre faceva scivolare la spada fuori dalla sella, trattenendo il respiro. Stava per farcela. Mancavano solo pochi centimetri e l'avrebbe recuperata. Il bufalo smise di russare; Gavister se ne accorse e si congelò, una statua di cera accanto al suo aguzzino. L'animale scosse la testa. Gavister guardò Hugai, il fiato spezzato, ma il golgothiano continuò a dormire. Riprese la spada. Era sua. Era di nuovo sua.

Il bufalo girò la testa e lo fissò. Il ragazzo si portò le dita alle labbra e gli fece segno di stare zitto; esaminò l'ambiente intorno a sé e, quando si accorse che tutti stavano dormendo, tirò un sospiro di sollievo.

Mise la spada tra le ginocchia e la sfoderò quel poco sufficiente per tagliare la corda. Era quasi fatta. Sarebbe sgattaiolato via con la spada e, una volta messa una sicura distanza tra sé stesso e i golgothiani, avrebbe iniziato a correre ancora più lontano. La corda stava cedendo. Ancora un altro po'.

Fatto!

Si guardò intorno di nuovo. Una mano gli tappò la bocca e un'altra gli strappò la spada che aveva appena recuperato; poi una fitta tremenda alle costole. Qualcosa di stretto e duro lo aveva colpito. Il dolore gli tolse il respiro. Fu come una pugnalata, ma non perdeva sangue. La mano gli strinse la bocca e gli tappò il naso; dopodiché svenne di nuovo.

A quanto pareva, non era il solo a sapere come arrivare di soppiatto e sorprendere qualcuno.

Hugai si era svegliato e, lesto e silenzioso, soprattutto per la sua mole, lo aveva sorpreso colpendolo con il pomolo della spada di Ungar.

Hugai lo legò di nuovo al suo polso e lo lasciò cadere a un paio di passi da lui.

I piedi di Gavister erano ancora ben legati: il ragazzo non ebbe il tempo di tranciare quella corda.

Il golgothiano si riaddormentò e fece una lunga e tranquilla tirata fino alla prima luce dell'alba.

Spazio Autore

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