One night in Paris
Edoardo
Avverto una cosa morbida e umidiccia strofinarsi contro il mio viso, apro gli occhi e vedo il mondo ruotato di novanta gradi, l'asfalto bagnato mi graffia una guancia e sento gente allontanarsi correndo.
I ricordi mi investono: camminavo in strada e sei ragazzi mi hanno circondato e aggredito. All'ennesimo calcio nell'addome che mi fa un male assurdo devo essere svenuto.
Una lingua rasposa passa sul mio viso e un cane guaisce triste come se volesse parlarmi: mi metto seduto e vedo un pastore tedesco che mi guarda e continua ad annusarmi, sembra si voglia accertare che io stia bene. Mi sembra di riconoscerlo...
"Evander!" Sento gridare da una voce che non mi è nuova. Provo a girarmi ma avverto una fitta alla testa e mi lamento attirando l'attenzione del cane che abbaia per segnalare la sua presenza alla padrona. Arriva una ragazza correndo trafelata, la riconosco è la modella della settimana scorsa: sempre dannatamente bella, ho pensato spesso a quegli occhi che ora mi osservano preoccupati.
"Stai bene? Evander ti ha aggredito? Ti ha fatto del male?"
"No, anzi in verità mi ha salvato."
"Ma tu sei Edoardo! Che cosa è successo?"
"Dei ragazzi volevano rapinarmi: si sono infuriati perché non ho soldi con me e per vendicarsi mi hanno aggredito, sei contro uno. Evander li ha messi in fuga ed eccoci qua."
"Bravo il cucciolone coraggioso di mamma sua! Mi dispiace averti rincontrato in queste circostanze, come ti senti?"
"Come se m'avessero investito."
"Qui è buio, fatti guardare con la torcia del telefono: hai un labbro spaccato, un occhio pesto e a giudicare da come ti tieni l'addome, deve farti malissimo. Chiamo subito un'ambulanza e ti accompagno in ospedale."
"No, non è necessario che ti disturbi, davvero."
"Allora ti accompagniamo alla barca."
"Ehm, non posso tornarci fino a domattina, l'ho affittata a una coppia per San Valentino. Stavo girando senza meta, per passare il tempo, quando sono stato assalito."
"Ma non puoi restare per strada, fa anche freddo! Senti, io abito qui vicino, vieni da me, ti medicherò e starai al caldo, almeno."
"Modella con la vocazione della crocerossina? Bizzarro."
"Se ti sembra strano questo, allora impazziresti se mi conoscessi meglio! Le mie abilità da infermiera si limitano all'applicazione di disinfettante, qualche cerotto e una benda se voglio proprio esagerare, perciò ti avevo proposto l'ospedale."
"Ti ripeto niente ospedale, li odio."
"Ok, allora vieni da me. Non farti idee strane, sei simpatico a Evander, ma resta un cane da guardia, se fai lo scemo avrai modo di accorgertene."
"In questo momento non sono nella mia forma migliore, non corri alcun pericolo, credimi , per cui accetto la tua offerta. Mi aiuti ad alzarmi Ginevra, giusto?"
"Sì, giusto. Dai, ti aiuto."
Ginevra infila un braccio sotto la mia spalla sinistra e facendo leva sulle gambe mi aiuta a rimettermi in piedi; dopo un breve giramento di testa, riesco a stare relativamente saldo sulle gambe e, pian piano, ci avviamo verso casa sua con Evander che ci segue silenzioso.
Ora che mi è più vicina, noto dei particolari che non avevo potuto vedere prima: ha i capelli legati in una specie di chignon disordinato, un paio di cuffiette pendono dalla scollatura della maglietta che nasconde a malapena le sue curve mozzafiato. Stasera niente tuta oversize.
La luna fa capolino dalle nuvole e le illumina il viso, la sua espressione è seria e concentrata per lo sforzo fisico. Attraverso il tessuto avverto il calore della sua mano appoggiata sul mio fianco destro e inizio ad avvertire un certo turbamento nelle parti basse: sono contento di vedere che è tutto ok nonostante il dolore diffuso, ma mi dico di stare calmo, le ho appena promesso di fare il bravo!
In pochi minuti raggiungiamo casa sua che si trova all'ultimo piano di un palazzo antico, l'ascensore è piccolo, per cui siamo costretti ad avvicinarci ulteriormente: la luce della cabina, per quanto fioca, mi fa scoprire delle meravigliose, piccole lentiggini sul suo naso.
Vorrei baciarla, ma quando lo realizzo ecco che l'ascensore si ferma e ci troviamo in un attimo sul pianerottolo. Mi lascia delicatamente e subito avverto la mancanza del suo tocco, ma è solo un attimo, il tempo di far scattare la serratura e siamo dentro casa. Chiude la porta con un calcio e mi porta al divano su cui mi fa stendere, mentre Evander si accuccia sul tappeto di fronte a noi.
"Vado a prendere l'occorrente per medicarti, torno subito."
Mi guardo intorno e vedo che l'ambiente è molto minimalista e ordinato: pochi mobili, qualche quadro, nessuna foto, nè di lei nè di altri. Strano, per una che di mestiere si fa fotografare: mi aspettavo di trovare vestiti ovunque, copertine incorniciate, qualche gigantografia, ritratti di famiglia almeno, invece sulle pareti trovo solo poster di paesaggi e libri di psicologia e yoga.
Questa ragazza sembra non corrispondere al cliché della supermodella e la cosa mi intriga molto. Devo saperne di più, così quando torna con la cassetta del pronto soccorso, complice l'eccitazione che sembra avermi fatto perdere le buone maniere, le chiedo a bruciapelo: "Che ci fai a casa il giorno di San Valentino?"
Ginevra
Wow, diretto come un treno e delicato come un elefante in una cristalleria.
"È obbligatorio fare qualcosa stasera?"
"No, certo, ma credevo che non avessi problemi a trovare compagnia in un'occasione del genere."
"Guarda che è la festa degli innamorati, mica degli incontri occasionali! O pensi che io sia un po' zoccola?"
"No no, scusami per l'uscita infelice, è la botta in testa a parlare! Volevo dire che col lavoro che fai conosci tanta gente, non credo proprio che gli inviti scarseggino, o sbaglio?"
"Non sbagli, ma come vedi sono qui. A proposito, dovrei medicarti, ora stai fermo."
Ma tu guarda questo, si merita una punizione.
"Ahia!"
"Scusa, ma il disinfettante pizzica, abbi pazienza. Quindi tu stasera non hai nessuna con cui accompagnarti?"
"Il Destino ha deciso che incontrassi te, evidentemente."
"Devi stare proprio male per trovare del positivo in questa situazione oppure hai una strana idea di romanticismo."
"Quindi non sono riuscito a farmi perdonare con la galanteria?Ahia!!!"
"Edoardo, dici sciocchezze, mi fai deconcentrare e ti faccio male, vedi? Alzati la maglietta e fammi vedere i lividi, ho una crema per il dolore."
Wow che fisico, d'improvviso mi si è seccata la bocca.
"Hai segni dappertutto, ti hanno conciato proprio male. Credo sia impossibile che tu non senta dolore."
"Parliamo, così mi distraggo. Quindi tornando a prima, non sei innamorata?"
"Inizio a credere che non siano le botte a farti parlare così! No, non ho un compagno/fidanzato/altro e non sono innamorata. Perché?"
"Perché la prima impressione che ho avuto di te è stata smentita quella sera che sei tornata sulla ma barca: da top model sei passata a ragazza qualsiasi e sei anche meglio. Stasera, nonostante siamo degli sconosciuti, mi hai prestato soccorso e mi hai portato a casa tua che non rientra nello stereotipo di prima: è un ambiente impersonale, quasi asettico ma sento a pelle che non sei così, ho come la sensazione che tu voglia nascondere qualcosa e questo mi incuriosisce quindi voglio sapere se farò a botte con qualcuno per te. Ah, e ovviamente sei bellissima, il che non guasta, ma è un piccolo particolare."
Sono interdetta, è la prima volta che un uomo mi approccia così: sembra sincero, ma potrebbe essere tutta una tattica.
Quegli occhi, però, mi ispirano fiducia, vedo un genuino interesse insieme a un guizzo di passione che mi attira a lui come una calamita.
Decido di aprirmi: se si spaventa e se ne va non sarà nulla di nuovo per me. Viceversa...
Così gli racconto la mia vita, della bambina amata dalla sua famiglia, dell'adolescente popolare tra i suoi coetanei, della modella che in poco tempo diventa star e gira i set del mondo, ma che dentro avverte un disagio: gli dico della mia fobia, della repulsione verso il mio aspetto, di come questa cosa abbia allontanato gli uomini che non pensavano fossi così problematica e in un attimo inizio a piangere senza rendermene conto.
Evander guaendo mi poggia la testa su una gamba, mentre Edo mi stringe forte a sè, accarezzandomi la testa.
"È una situazione paradossale, come riesci a lavorare nel tuo campo?"
"Ci riesco perchè c'è un contratto, ho degli obblighi e non devo pensare a trucco e parrucco da sola, diversamente non potrei. Non mi faccio fotografare senza un accordo, nè esistono set improvvisati."
"E alle feste?"
"Beh fa parte del pacchetto, non posso impedire ai paparazzi di fare il loro lavoro, ma per il resto conduco una vita tranquilla. Sono piena di pesanti contraddizioni lo so, per cui immaginerai che non ci sono altri uomini e non ti biasimerei se scapp..."
Mi zittisce inaspettatamente con un lungo bacio appassionato, che ha il potere di spegnere le vocine che mi hanno sempre tormentato: le sue labbra riescono a riappacificarmi con me stessa, il suo tocco è come un balsamo che sparge a piene mani sulle mie cicatrici prima di darmi letteralmente fuoco.
Gli passo delicatamente le mani addosso e lo sento gemere e penso di avergli fatto male, ma mi impedisce di staccarmi, anzi mi fa stendere addosso a lui e sento che stiamo per perdere il controllo e la cosa non mi spaventa, anzi.
Proprio quando sto per capitolare, Edo si ferma:
"No Ginevra, fermiamoci. Per quanto ti desideri, ti sei appena confidata con me e mi sembra di giocare sporco. Diamoci un po' di tempo, frequentiamoci e vediamo come va, ok? E prima che tu lo dica, non è una scusa, chiaro?"
"Se lo dici tu... Restiamo abbracciati?
"Tutta la notte se vuoi."
Parliamo tutta la notte, Edo mi racconta di sè, del suo passato e dei suoi sogni per il futuro, il tutto senza mollare la presa su di me. È così che mi addormento, tra le sue braccia, finché un "clic" seguito da un bagliore mi svegliano di soprassalto: apro gli occhi e trovo Edo col cellulare in mano che ci fa un selfie.
"Ginevra, non saltare a conclusioni affrettate, fammi spieg..."
Perdo il lume della ragione, lo schiaffeggio più forte che posso urlandogli che è uno stronzo bugiardo e che deve sparire dalla mia vista. Non gli lascio modo di parlare, lo spingo fuori di casa ed Evander ringhiando si frappone tra di noi impedendogli di provare a rientrare: gli sbatto in faccia la porta, contro cui mi lascio scivolare mentre piango disperatamente tutte le mie lacrime, dandomi della emerita idiota.
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