2. Incubi, poteri e sfide
Gli Speciali hanno due o tre poteri. Io ne avevo solo uno al momento e se entro tre mesi dai miei quindici anni non avevo almeno due poteri dovevano ricoverarmi al San Mungo. Dato che avevo compiuto 15 anni agli inizi di maggio, il tre precisamente, ma il corso per Speciali iniziava alla fine di settembre avevo solo quella settimana. E tanto perché non bastava, i controlli mi stavano uccidendo. Nell'ultimo ho visto i miei peggiori ricordi che fino a qualche anno prima, il solo pensarci mi portava a fare incubi sui miei genitori.
Nel primo vedevo mio padre. Ero nella mia stanza e c'era un uomo davanti ad una bambina di undici anni. Ai piedi del letto c'era un baule con uno stemma araldico con un grifone, un serpente, un tasso e un corvo che circondavano una H: lo stemma di Hogwarts.
«Eccoci di nuovo qui.» Sorrisi, in direzione del mio coach.
«Chi é quell'uomo? Non l'ho mai visto nei tuoi ricordi.»
«Quello è mio padre.» Risposi, girandomi verso il padre e la bambina.
«Piccola mia, devo confessarti una cosa. Lo sai che siamo cercati da molte persone cattive, vero?» Chiese l'uomo. Aveva una voce strana, che non avevo mai sentito prima.
La bambina annui vigorosamente. «Sì! I Mangiamorte.»
«C'è un modo per fermarli... In modo tale che non facciano più cose brutte. Tra pochi giorni si terrà una battaglia, proprio nel giardino di casa nostra. Sarà un'imboscata per loro. Ma qualcuno dovrà fare delle determinate mosse per attirarli. Questo piano ha un rischio di morte molto alto.» Spiegò lui tranquillamente, sempre fissando la bambina negli occhi.
Quest'ultima era confusa, non aveva capito ciò che il padre volesse dirle. «Lo faranno gli Auror, vero? Noi resteremo qui in casa, abbracciati... Vero?» Chiese la piccola speranzosa. L'uomo, che aveva sempre sostenuto il contatto visivo, abbassò la testa.
«No piccola mia. Servono tre persone e due di quelle saremo io e tua madre. Abbiamo già deciso. Mi dispiace.» Si alzò e si avviò verso la porta. La bambina saltò giù dal letto, triste e arrabbiata. «Non preoccuparti, ci saranno zia Luna e Amelia a prendersi cura di te.» Detto ciò, uscì chiudendo la porta.
«Non potete farmi questo! Sono ancora piccola, ho passato poco tempo con voi. Ho ancora bisogno di voi! NON POTETE FARMI QUESTO!» La piccola Sullivan picchiava contro la porta e urlava. Urlò fino a mancarle il fiato. Poi si mise a singhiozzare, appoggiata alla porta.
«Ti prego, portami via.» Sussurrai, mentre tremavo di terrore.
Il mio coach mi fissò, mi prese per mano e in batter di ciglia ci trovavamo in una stanza completamente blu. Mi guardai attorno con aria perplessa.
«Questa stanza non fa parte dei miei ricordi.» Dissi, mentre mi tremava ancora la voce. Ma nonostante ciò, sentì le mie parole in modo normale e non come se fossi sott'acqua. «Infatti. Questa è una parte nascosta della mente, della mia in particolare. I PC registreranno solo un piccolo bug temporaneo. Mi spieghi che è successo?» Mi chiese mentre metteva un mano sulla mia spalla.
«Che cosa dovrei spiegare... Hai visto già tu, no?»
«Ok, cercherò di essere più specifico. Solo io ho notato che la figura di tuo padre-»
«Era sfocata e poco distinta?» Dissi senza farlo finire di parlare. «Sì, l'ho notato. Questo perché i miei genitori non me li ricordo bene. Anche la voce era strana, come se fosse un mix di tutte le voci maschili che conosco ma mai una precisa.»
«Che è successo dopo?» Chiese mentre mi fissava negli occhi, avido di sapere. La mia risposta non tardò ad arrivare. «Non lo vidi più, per molto tempo. E neanche mia madre. Lei era già da qualche giorno che non la vedevo. Se la incrociavo nei corridoi la vedevo sempre stanca e triste. Ma lei evitava accuratamente di guardarmi o parlarmi. Mi venivano a trovare Zia Luna con i suoi figli, Lysander e Lorcan Scamandro.»
«Scamandro è tuo cugino?» Mi chiese il coach. Lorcan era anche un suo allievo. «No. Luna Lovegood è la mia madrina, per cui per me è come una zia anche se non di sangue. Dopo la morte dei miei genitori la mia tutrice legale era mia sorella Amelia, ma decise di affidarmi alle cure di Luna. Ora infatti abito con lei e i gemelli sono come dei fratelli.» Spiegai tranquillamente fissandolo negli occhi azzurri.
«Lei è quella che abbiamo visto in uno dei tuoi primi ricordi, se non sbaglio. Quello in cui tu eri svenuta dopo la battaglia.» Confermai con un cenno del capo e lui mi invitò a continuare quello che stavo dicendo. «Amelia e Derek passavano tutto il tempo nella mia stanza, cercavano di farmi sorridere e mi portavano da mangiare. Per una settimana sono rimasta chiusa nella mia stanza, non potevo uscire.»
«Derek? Non sapevo avessi un fratello.» Sorrisi, con nostalgia. «Non era mio fratello, era il ragazzo di Amelia. Anche se effettivamente era come un fratello per me. Posso chiederti una cosa?»
«Certo, chiedi pure.» Feci un respiro profondo. «Qual è il tuo nome? Insomma, ci diamo del tu da molto tempo e tu sai tutto di me. Mentre io non so neanche il tuo nome.» Lui ridacchiò ma poi si fece più serio e mi rispose fissandomi negli occhi. «Tom. Il mio nome è Tom. Ora ho io una domanda per te. Perché hai detto "era" il ragazzo di tua sorella? Si sono lasciati?»
«Beh, Tom. Se passiamo al prossimo ricordo lo scoprirai.» Buio.
Di nuovo in quella stanza, sempre più cupa e triste. Ed eccolo lì, Derek, davanti alla bambina. Lui aveva perso i suoi genitori qualche anno dopo il fidanzamento con Amelia. Ora so anche come, ma da piccola non glielo avevo mai chiesto. Fuori era iniziata la battaglia e ogni tanto sulle pareti passava un lampo verde o rosso.
«Bonnie devo dirti una cosa... Promettimi che farai la brava e rimarrai qui, ok?» Lei lo giurò e poi aspettò che il ragazzo parlasse. «Io... Io sono la terza persona che si sacrificherà. Mi dispiace davvero tanto, ma lo faccio per voi.»
«No per favore, anche tu no. Pensa con la sua testa, scegli con il cuore. Hai soltanto questa vita.» Derek ignorò le preghiere della bambina. «Sorridi non per gli altri solamente per te stessa e ricorda principessa: non appoggiarti mai a nessuno perché se lui si sposta tu cadi.» Lasciò un bacio sulla fronte della piccola e poi uscì a combattere. Quest'ultima si rannicchiò sul letto, senza versare una lacrima: ne aveva consumate fin troppe.
«Questa è stata l'ultima volta che lo hai visto?» Scossi la testa, mentre andavo ad accarezzare il corpo della bambina stesa sul letto anche se sapevo che non mi avrebbe sentita.
«L'ultima volta che l'ho visto è stato dopo la fuga dalla mia camera per vedere la battaglia. O meglio, ho visto il suo corpo. Era incustodito, così l'ho trascinato nel piccolo bosco vicino casa mia. Era freddo come il ghiaccio, pallido come un vampiro e senza una macchia di sangue. Piansi molto ma me ne andai dopo poco tempo perché avevo sentito un rumore nelle vicinanze.»
Tom mi guardava, pieno di compassione. «Dai andiamo, se non sbaglio manca l'ultimo.»
Ecco il momento peggiore di tutti: la morte di mia madre. Lei non è morta come papà o Derek, combattendo e facendo da esca. Si è suicidata. Gli Auror mi hanno detto che faceva parte del piano. Suicidandosi avrebbe confuso i Mangiamorte e avrebbero potuto prenderli. Ma sapevo che non era totalmente vero. Da molto tempo, l'avevo vista stanca della vita. Probabilmente si è accorta che lo avevo notato. Ecco perché aveva iniziato ad evitarmi.
Eravamo vicino al bosco ma abbastanza vicini agli Auror e i Mangiamorte. In quel momento, la bambina sbucò tra gli alberi e fissò una donna che aveva la bacchetta sulla tempia, pronta a morire. Non aveva ancora parlato con lei, non le parlava da settimane. Così si avvicinò. Tom capì la mia sofferenza e mi circondò le spalle con un braccio attirandomi a sé, come per proteggermi dal mio passato.
«Mamma... Mamma ti prego. Non voglio che tu muoia. Sei tutto ciò che mi resta... Papà è morto, Derek anche. Ti prego... Io ti amo all'infinito.»
«Dopo ogni mio incubo, da piccola, per farmi calmare mi diceva che mi amava all'infinito.» Spiegai a Tom ancor prima che me lo chiedesse.
La donna si mise a piangere e diede un bacio sui capelli alla bambina... Ma andò comunque. Si rimise nella posizione in cui l'avevamo trovata, con la bacchetta tra i capelli puntata alla testa. Poi disse le parole che più temevo al mondo. Nel momento in cui l'Anatema Mortale la colpì, la terra tremò, come in una scossa di terremoto. Da lì non ricordo molto, per cui tutto diventò sfocato.
La bambina cadde sulle ginocchia urlando invano il suo nome, quello di papà e quello di Derek. Inutile. Tutto inutile. Se n'erano andati. E non sarebbero mai tornati indietro. Dopo un'ultima scossa di terremoto, la bambina si accasciò a terra, svenuta.
Mi ero svegliata urlando, sulla poltrona grigia. Tom mi abbracciò subito e dopo pochi minuti mi lasciò andare a riposare.
Il giorno dopo, mi stavo dirigendo al campo di allenamento per una sessione mirata a scoprire il mio secondo potere.
Era da una settimana che stavamo provando. Abbiamo usato molti metodi ma nessuno a funzionato. Però, prima di mandarmi in stanza, Tom mi disse che c'era ancora un ultimo modo: provare a far uscire le emozioni grazie alla musica e che grazie ai miei ricordi aveva capito come fare. Così, dopo un breve riscaldamento, mi spiegò meglio.
«A volte i poteri possono derivare da ricordi o esperienze. Ora chiudi gli occhi e pensa al primo ricordo che ti viene in mente sentendo questa canzone.» Mi disse Tom. Chiusi gli occhi e sentì partire la canzone. Non successe nulla fino a quando non sentì delle parole.
'Cause I love you for infinity. I love you for infinity
Il terreno cominciò a tremare. Sentì la mia bottiglietta d'acqua, precedentemente appoggiata alla panchina, cadere con un tonfo sordo. Anche se avevo gli occhi chiusi, vidi la luce sfarfallare: il lampadario si stava muovendo. «STA TREMANDO TUTTO, APRI GLI OCCHI!» Appena aprì gli occhi il terreno si fermò.
Vidi Tom per terra: evidentemente era caduto durante la scossa. Io invece, non so come, ero ancora in piedi e non avevo perso neanche per un secondo l'equilibrio. «Vorrei poter dire che non me l'aspettavo, ma non è così.» Disse mentre si rialzava. «Sapevi cosa avrei fatto? Come?» Mi fece sedere e poi iniziò a spiegare con calma.
«Quando ho visto i tuoi ricordi ieri, ho notato che c'è stata una scossa di terremoto quando hai visto tua madre morire. E c'è stata anche prima che svenissi. Conoscevo questa canzone e sapevo che conteneva le parole "ti amo all'infinito" per cui ho pensato fosse un buon modo per ottenere risultati. A quanto pare ha funzionato.»
«Beh grazie. Almeno non dovrò andare in ricovero al San Mungo.» Dissi ridacchiando. «Già, ho sentito dire che il cibo è orrendo. Dai. Ora facciamo qualche esercizio di allenamento e poi sei libera di andare.»
***
Quel pomeriggio scoprì che la bulletta del campo, un tipa insopportabile di Durmstrang, aveva picchiato Luna perché l'aveva battuta ad un allenamento. Ora era in infermeria. Ero al bar insieme a Lorcan per raccontargli dell'allenamento di quella mattina, quando sentì la sua voce.
«Oh ragazze, dovevate vederla. Era per terra e non riusciva a muoversi. Non ha neanche reagito. Senza poteri è una nullità.» Mi girai e la vidi seduta al tavolo di fianco al nostro. Si stava vantando con le sue compagne. «Bonnie. Non farlo.» Guardai mio fratello. Lui era un Tassorosso ed era abbastanza pacifista. Scosse la testa, fissandomi negli occhi. Mi pregava di stare ferma. L'impulso di alzarmi era forte, ma lo tenni a bada. Non feci lo stesso con il mio tono di voce.
«Ma stai zitta.»
La bulletta si voltò. «Come scusa?» Alzai la testa e la fissai dritta in volto. «Ho detto, che devi stare zitta.» «E tu chi saresti, sgorbio?» Disse mentre si alzava. La imitai, fronteggiandola. Era più alta di me, ma non di tanto. «Quella che ti manderà all'ospedale se non chiudi immediatamente quella boccaccia.» Lorcan si sbatté una mano sulla fronte.
«Anche il tuo ragazzo pensa che sia un'idea stupida. Fossi in te lo ascolterei.» Replicò la studentessa di Durmstrang mentre faceva un occhiolino in direzione di Lorcan. «Potreste fare una sfida di freestyle. Tu sei bravissima, questa perdente non potrà competere contro di te.» Disse una delle ragazze al suo tavolo. Sorrisi «Prego, inizia tu.»
*premetto col dirvi che NON ho inventato io le rime, le ho prese da un suono di TikTok*
«Dale a tu cuerpo alegría, Macarena. Il tuo tipo mi sta dietro da tutta la sera. Sono così figa che dimmi se sono vera.»
«Un freestyle al giorno toglie le stronze di torno. Sui miei pezzi balli di brutto, anche se fai finta di niente perché sei finta tipo D'Urso.»
«No, non me la tiro ma tutti questi sono già al mio tifo.» Indicò le amiche dietro di lei mentre dietro di me si avvicinavano dei ragazzi incuriositi.
«Ho una buona mira appena ti colpisco dritta affondata Cristo. Un'altra volta ne ho battuto un'altra.»
«Sono come Chris Kyle.»
«Ok ora basta.» Presi le mie borse dalla sedia, per tornare in camera. Evidentemente non le piacque il fatto che avessi avuto l'ultima parola.
«Anche senza illuminante illumino.» Le risposi mentre stavo sistemando la mia roba.
«Non ho bisogno del tuo trucco, guarda domino. Ti guardo e vomito. Fai la casca morta col mio tipo, ma lui non ti sopporta. Non gli importa, sei una gatta morta. Dai provaci un'altra volta. Ti faccio trovare sotto casa una rivolta. Baby ascolta, per me sei morta.»
Solo allora mi girai per guardarla. La invitai a continuare ma lei non disse nulla. Era rimasta senza parole. Se ne andò rossa dalla rabbia borbottando maledizioni e fatture, mentre le sue amiche la seguivano. Non potevo crederci. L'avevo battuta. Quelli che ci avevano sentito mi fecero un breve applauso e poi tornarono a ciò che stavano facendo.
«Secondo te chi era il ragazzo che la fissava e che diceva fosse il tuo?» Mi chiese Lorcan mentre uscivamo dal bar per andare in camera. «Mah non saprei magari... Tu Lorc? Andiamo è vero che sembriamo fidanzati e poi tu la stavi veramente fissando da tutto il tempo. Scusa ma non stavi con Alice Paciock?» Dissi fissandolo con aria perplessa.
«Sì sì sto ancora con lei. E poi non la stavo fissando, era seduta vicino ai fiori preferiti di Alice e pensavo a lei.» Ammise con un sorriso. «Aww. Il mio fratellino è innamorato!» Mi gasai, saltando.
«Allora uno non chiamarmi fratellino, io e Lys siamo più grandi di te.» Iniziò lui. «Seh vabbè di un mese.» Lo interruppi, alzando gli occhi al cielo.
«Fa la sua differenza. E due sì, sono veramente innamorato.» Finì mio fratello. Iniziai a sorridere come una ebete, scleravo e immaginavo il loro futuro assieme dicendo tutto a Lorc che rideva con me e ogni tanto diventava rosso.
Il mio quarto anno non poteva finire meglio.
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