Scegliere?

Su una cosa non mi ero ingannata: per Aaron la presenza dei militari era stato il presagio d'un possibile sciagurato fallimento. Lui solo sapeva, infatti, tra i presenti, che qualcosa di assai importante avrebbe dovuto essere appena accaduto, in una delle Città confederali.

Mentre sedevo rigida aggrappata al sedile, francamente terrorizzata, svuotata dal repentino concatenarsi degli eventi, Aaron scambiò con l'altro uomo una serie di segnali convenuti.

Inizialmente colsi appena, la stranezza del dialogo; poi qualcosa mi disse che i due uomini si scambiavano battute senza senso.

Tornai vigile proprio mentre il guidatore alzava gli occhi a scrutarmi dallo specchietto retrovisore.

"Garantisco io per lei", affermò risoluto Aaron, e io ricambiai sbalordita lo sguardo dell'autista, che pareva valutarmi.

"Puoi parlare. Cosa è successo? Il colpo è fallito?"

L'uomo riportò lo sguardo sulla strada, mentre io mi voltavo a fissare Aaron, colpita dall'autorità con cui chiedeva.

"Tutto era andato secondo i piani", rispose infine cupo il guidatore: "Alla riunione erano presenti tutti coloro che avevamo previsto e l'esplosione li ha coinvolti tutti, ma senza altre vittime. Eppure, per fatalità, una scaffalatura ha parzialmente protetto proprio il Presidente dal crollo della struttura. È l'unico sopravvissuto, anche se versa in condizioni molto critiche.

Finché è vivo, il potere affidato al Vicepresidente è limitato all'ordinaria amministrazione. Se poi dovesse riprendersi, tutto sarà stato inutile e anzi, di certo la stretta aumenterà e partirà la caccia all'uomo. Finora non si sospettava che ci fosse una forza organizzata contro il regime, ma ora ci siamo scoperti".

Sbarrai gli occhi. Le parole dell'uomo mi dipingevano una realtà totalmente inaspettata.

"Quindi il Presidente è grave e chiamano la dottoressa nella speranza possa salvargli la vita", sospirò Aaron.

"E se si salva è il crollo di tutte le nostre speranze", confermò l'autista, "Cercherà chi ha sabotato la riunione. Risalirà al solo che avrebbe potuto passare le informazioni e organizzare la falla nella sicurezza. Scoperchierà il nostro vaso e saremo tutti morti, fino all'ultimo. Sarà anzi opportuno toglierci di mezzo da soli, prima di finire tra le mani dei suoi inquisitori".

Sentii il sangue pulsarmi alle tempie. "Di cosa state parlando?" chiesi con un filo di voce, cercando lo sguardo di Aaron. Ero sconvolta.

"Quanto tempo abbiamo fino alla Capitale?", chiese lui per tutta risposta all'autista.

"Mezz'ora. Ma... ", quello alzò gli occhi nello specchietto e vidi gocce di sudore imperlargli la fronte, " ...non è previsto che noi si arrivi. La nostra sola speranza è che LUI non sopravviva; ora ha intorno la protezione dei fedelissimi, non possiamo più pensare di raggiungerlo. E se lei può salvarlo allora... "

Aaron sospirò e socchiuse gli occhi. Sembrò raccogliere i pensieri, poi si voltò verso di me e mi prese una mano, con gentilezza.

"Eleanor, mi dispiace averti ingannato, ma io non sono un semplice esterno", cominciò. "Non avrei voluto, credimi, ma il mio compito era avvicinare persone da reclutare per il progetto e questo richiedeva che ti conoscessi bene, per capire se eri adatta. Non possiamo concederci passi falsi, come immaginerai".

Tentai di schiarirmi la voce, mi sentivo annebbiata. "Continua".

"Prima rispondimi sinceramente: se potessi, cambieresti qualcosa di questa società? Stiamo sopravvivendo, nonostante le condizioni sconvolte del nostro mondo; quindi potresti anche rispondermi che tutto va nel solo modo possibile".

Mi chiesi se stesse domandandomelo seriamente, se quella società mi piacesse.

A me, che ero scesa nel ghetto. Che avevo curato inferiori bastonati dalle ronde, per uno sguardo non abbastanza rispettoso.

A me che avevo visto le fuori-razza partorire e sperare nella pelle chiara del piccolo, pregando somigliasse al padre cliente. E piangere amaramente perché s'era irrimediabilmente scurito, denunciando il suo sangue semi-umano.

"Sai bene cosa cambierei, Aaron", risposi con un filo di voce.

"Sì, hai ragione, lo so", e mi sorrise.

"Sappi allora che più di quanti tu creda, cambierebbero. Non tutto è andato perso, per fortuna, della nostra umanità. Se la stretta sugli inferiori si è fatta così pesante, probabilmente è perché i militari hanno avuto sentore del dissenso, che sta crescendo fra i cittadini.

Sta maturando la coscienza che sono stati infranti i limiti della ragione e del cuore. Abbiamo simpatizzanti ovunque, pronti ad accettare una riforma del sistema attuale.

Persino tra i militari c'è chi riporterebbe il potere a una forma democratica, ridando dignità umana agli inferiori. Tra questi, poi, si è creata una resistenza attiva, che da anni progettava un attentato ai danni dello zoccolo duro della gerarchia militare.

Arrivato bambino in città, fui affidato a una coppia di esterni anziani che erano tra i fondatori del gruppo di resistenza. Mi istruirono, riuscirono perfino a evitarmi le irradiazioni... Abbiamo impiegato due decenni a reclutare inferiori capaci e cittadini ribelli, tanti da poter sperare nella riuscita del colpo.

E ora siamo a un filo dal successo; ma un filo attaccato al respiro del Presidente. Se si salva, ci saremo scoperti e sarà la fine del progetto. Una fine violenta, se puoi immaginare la reazione dei militari.

Se invece il Presidente muore... il potere andrà nelle mani di un amico. Il Vicepresidente è il più potente e convinto dei nostri. La sola speranza per cambiare le sorti degli inferiori.

Hai capito quanto ti ho detto Eleanor?"

Credo me lo chiedesse perché avevo smesso di respirare.

Che espressione potessi avere non so; certo non potevo rispondergli. Non subito. Dovevo pensare. Pensa, dicevo a me stessa. Ma troppe idee incredibili mi si affollavano nella mente, non riuscivo a ordinarle in un unico quadro. Aaron era una spia, questo lo sapevo. Ma di una fazione che non mi aspettavo esistesse.

Resistenza. Progetto. Cambiamento. Umanità. Conversione.

Che passava per la morte.

Attentato. Esplosione. Zoccolo duro. Persone uccise.

"Chi vi garantisce che il Vicepresidente sia dei vostri?", chiesi mentre infine cominciavo a dare un ordine alle informazioni, "come sapete che non vi abbia usati per disfarsi del Presidente e dei suoi collaboratori più fedeli e sostituirsi semplicemente a lui, nuovo dittatore e magari peggiore del primo?"

Aaron e il guidatore si guardarono nuovamente attraverso lo specchietto. Ebbi immediata la sensazione d'aver centrato un punto dolente.

"Nessuno può garantircelo Eleanor", riconobbe Aaron, "ma in quest'opera che stiamo tentando, stiamo mettendo le nostre vite nelle mani gli uni degli altri. Credere e concederci fiducia a vicenda è necessario, o la speranza di cambiare è morta prima di vedere la luce.

Noi crediamo che sia sincero, ci ha protetti concretamente e se abbiamo potuto arrivare a tanto è stato per il suo appoggio. Potrebbe, sì, essere un traditore dei più vili. Ma non lo crediamo. Ci siamo fidati e stiamo rischiando il tutto per tutto. Anche di te, noi ci stiamo fidando", e indicò se stesso e l'autista. "Se non sei quella che penso, il lavoro di decenni, la vita e le speranze di tutti gli inferiori potrebbero andare bruciate. Ti rendi conto di quanto creda in te?"

Ebbi un brivido. Aaron mi stringeva la mano e mi guardava negli occhi, e tutto quello che il mio istinto aveva sentito in lui m'avvolgeva, caldo come un abbraccio.

Poi fu come mi si snebbiasse la vista e vidi il punto. Un uomo stava morendo. A me avrebbero imposto di salvarlo.

"Cosa mi stai chiedendo, Aaron, di uccidere il Presidente? Di concludere il vostro progetto, che il destino ha già ostacolato una volta?"

Aaron scambiò nuovamente uno sguardo con il guidatore.

"No. Non ti chiederei mai di uccidere qualcuno. Semmai, ti sto chiedendo di salvare la vita di tutti noi. Tu hai visto come viviamo. Se il dittatore muore, avremo una possibilità.

Calcola, Eleanor! Per ogni città confederale, migliaia di esterni e fuori-razza. Quattromila chiusi solo nella nostra. Schiavi, siamo! Ci tengono vivi solo perché gli facciamo i lavori più sporchi!

Hanno ridotto le nostre donne a prostitute, concedendo loro quell'unica possibilità per mantenersi! E dopo l'attentato, forse sarà deciso che rappresentiamo un rischio, dopo tutto. Forse chiuderanno i ghetti e fermeranno le pompe. Forse ridurranno ogni ultimo livello a un cimitero semplicemente togliendoci l'aria. Possono bastare poche ore, un lavoro sbrigativo e pulito. Sigillando i livelli non servirà neanche preoccuparsi di smaltire i cadaveri".

Chiusi gli occhi, inorridita all'evocazione di quello spettacolo.

"Elen, io sono cresciuto meditando su questo. Domandandomi fin dove era possibile che mi spingessi. Chiedendomi se salvare la mia vita e quella della mia gente mi autorizzasse ad arrivare alla violenza, e a uccidere. Ho avuto anni, per decidere cosa sarei stato pronto a fare!

Tu hai venti minuti.

Potrebbe essere che nel frattempo sia morto.

Potrebbe essere che nell'operare ti renda conto che salvarlo sia impossibile, anche per te.

Ma se arrivasse il momento di scegliere, devi dirmi ora cosa farai. Perché io mi fiderò di te, e accetterò la tua parola e la tua decisione. Se mi dici che non ce la farai, che non potrai far altro che tentare di tutto, come fosse una vita qualsiasi...

Se credi che lotterai come ti ho visto fare per ogni paziente che è arrivato nella tua sala operatoria, cittadino o militare o fuori-razza che fosse...

Allora rispetterò la tua scelta, e ti eviterò di dover affrontare la tua coscienza".

Mi sforzai di mettere a fuoco il suo viso, nella penombra dell'auto. Una delle rare luci accese che sfilavano ai fianchi dell'auto lo illuminarono un attimo, e vidi la tensione sul suo viso. Il dolore. L'amore, mi parve, con cui mi guardava.

Ora che non abbassava gli occhi. Ora che mi fissava intensamente, che era veramente se stesso, con i suoi veri pensieri, con la sua vera identità.

"Come farai a evitarmi una scelta?", chiesi sottovoce.

"Lo hai sentito prima... già in partenza si è previsto che noi si possa non arrivare. Se tu sei la possibilità che il Presidente sopravviva, allora..."

Sentii risalire dallo stomaco un fiotto di saliva acida.

"Questo è un ricatto!"

"No! No, te lo dico per offrirti un modo per tacitare la coscienza... Sapendo questo, potrai dire a te stessa che hai agito per legittima difesa, che hai dovuto scegliere tra la tua stessa vita e la sua".

"Se ti dicessi di sì, e appena scesa dalla macchina vi denunciassi?"

Aaron mi lasciò andare la mano, e provai istantaneamente freddo. Mi sentii sola come mai, chiusa in una scatola d'acciaio soffocante.

"Lo faresti?"

"E tu mi uccideresti?" chiesi di rimando.

Aaron tirò le labbra, in un tentativo di sorriso. "No, io non potrei. Quindi dimmi francamente cosa credi che farai, dimmi se quando avrai la vita di quel dittatore tra le mani la lascerai andare o la tratterrai.

Rifletti che la sua vita significherà la morte di migliaia di noi, però.

Rifletti che ormai sai troppo, per invocare il destino. Non potrai affidarti al caso, non più. Qualsiasi cosa farai, sarà una tua scelta".

Sentii l'esofago bruciare e sapore di sangue in bocca. Uccidere un uomo. Un paziente. Con le mie stesse mani. Forse inutilmente, poi. Forse quegli ingenui avevano solo spianato la strada a una belva peggiore di lui.

Scossi la testa, furiosa.

L'autista certo ancora mi stava fissando dallo specchietto. Io non ne avevo cognizione, ma presto le luci del tunnel si sarebbero ravvicinate. Presto saremmo arrivati all'uscita.

Avessi rialzato lo sguardo, avrei notato le nocche bianche, per quanto l'uomo stava stringendo le mani sul volante. Quello scuotere la testa evidentemente l'interpretò come un rifiuto, e giudicò di non aver tempo per insistere.

"Non lascio un figlio col mio sangue. Peccato, era buon sangue coraggioso", disse ad alta voce.

E sterzò con violenza verso la parete, schiacciando il pedale dell'acceleratore.

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