Io, Aaron
La prima parola, era stata.
La prima che, bambino, mi ero sentito rivolgere in città; pronunciata con lo stesso disprezzo. Persino il suo suono comunicava un senso di repulsione.
Wastish. Scarto. Spazzatura.
Non ricordavo nitidamente, forse una parte di avvenimenti era stata opportunamente rimossa dal mio inconscio. C'erano mio padre e il deserto, confusamente, e il ricordo della grande fatica, della lotta che ogni singolo giorno vissuto "fuori" esigeva.
Poi cominciavano i ricordi "dentro". E cominciavano con quella parola. Io ero wastish.
Mai sentita prima, ma dal primo istante dolorosamente intesa, per l'espressione e il comportamento di chi l'usava. Ero stato chiuso in uno stanzino buio in cui avevo dormito, esausto. Non avevo invocato mio padre, o almeno non lo ricordavo... solo, avevo dormito.
Da adulto avevo saputo che l'uomo di guardia aveva pagato l'atto di clemenza verso di me.
Le regole erano ferree, l'ingresso alla città era vietato a chiunque non avesse documenti.
Ma da anni ormai nessuno si trascinava fino alle porte sul "fuori". Non si credeva ci fossero ancora sopravvissuti "esterni", e dunque l'uomo era stato colto molto di sorpresa, e aveva trasgredito agli ordini.
Era stato punito severamente. La popolazione che ogni città poteva permettersi era numericamente fissata in modo rigido, la difficoltà di approvvigionamento di energia e risorse era tale che non ci si poteva discostare dai limiti prefissati.
Ad ogni cittadino era consentito un figlio. Questo in assoluto, nell'arco dell'intera vita. L'uomo fu sterilizzato, perché facendomi entrare, era come avesse usato la sua facoltà di generare, e dunque non doveva poterne più usufruire.
Quanto a me, fui affidata a una coppia di ammessi ormai anziani.
Avevo già appreso da mio padre, sommariamente, la storia del nostro mondo; sapevo che nel passato gli uomini avevano colonizzato l'intera terra, ma che quasi improvvisamente sconvolgimenti climatici avevano reso immensi territori sempre più inospitali.
In un pianeta dal clima impazzito gli umani si erano infine contesi armi in pugno le poche aree difendibili dagli assalti della natura.
Luoghi abbastanza lontani dalle direttrici dei giganteschi uragani che un ciclo delle acque accelerato produceva con devastante continuità, luoghi dove la tecnologia era riuscita a costruire insediamenti protetti dalle temperature estreme che alternativamente si inabissavano o s'innalzano infuocate, come un tempo accadeva solo nei deserti.
La disperata fuga da condizioni sempre più impossibili aveva innescato violenze di proporzioni mai viste.
Agli uomini, come fossero ridotti tutti a naufraghi aggrappati a una zattera, era parsa unica soluzione quella di inabissare chi era intorno, perché la zattera non affondasse sotto troppo peso. Popolo contro popolo, si era scatenata la logica della Mors tua vita mea.
Con genocidi di massa si affermò di perseguire, paradossalmente, l'obiettivo di salvare l'umanità.
In un affondo nella barbarie si infransero ideali e conquiste di civiltà; di fronte alla propria salvezza divenne sacrosanto proclamare: "Prima noi".
Muoiano loro. Muoia chi non è dei nostri.
Bianchi contro neri.
Asiatici contro africani.
Atei contro religiosi. Buoni contro cattivi. Civili contro incivili.
Giusti contro peccatori. Sani contro malati.
Perfetti e potenti contro ignoranti e disarmati.
Come mai se ne era visto tanto, l'odio reciproco cancellò intere popolazioni in una caccia alle etnie, al sangue straniero, al fuori-razza, nemico e indegno di vivere.
Quelli che sopravvissero non si ritenevano più semplici uomini: erano i PURI.
I giusti. I prediletti della sorte, gli eredi della sapienza e custodi della scienza, che offriva l'unica soluzione praticabile: le città sotterranee.
Non essendoci più luoghi vivibili all'esterno, si poteva vivere e lavorare solo se inseriti nel sistema; non potevano esserci eremiti, né fuoriusciti, né dissidenti.
Mio padre era stato l'ultimo.
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