Capitolo 9 - Ritorno a casa

Gabriela procedeva nel buio. Nonostante fosse costretta ad affidarsi unicamente alle stelle per distinguere i contorni della strada, anziché stare al centro della carreggiata, preferiva camminare lungo la striscia bianca presente sul fianco destro. Il suo personalissimo sentiero dorato, visibile a malapena al bagliore del cielo notturno.

I suoi passi risultavano lenti, quasi strascicati. Come obbedendo ad un ordine a cui sentiva di non potersi sottrarre, avanzava con la fredda determinazione di un robot. Tanto, non aveva fretta, e comunque non poteva fare diversamente in ogni caso.

Le avevano rubato il pick-up. O meglio, le avevano rubato il pick-up che lei aveva rubato ad Antonio. Non sapeva se esserne amareggiata o meno. In realtà non le importava più di arrivare a Rio, o da qualsiasi altra parte. A lei bastava camminare. Verso dove di preciso, doveva ancora capirlo.

Il fatto è che si sentiva davvero troppo stanca, persino per pensarci. Certo, aveva ancora la forza di muoversi ma, come gli spasmi di una mucca abbattuta da un proiettile captivo, si trattava più che altro un riflesso involontario. Camminava perché non poteva fare altrimenti.

Nonostante stesse camminando da ore, la sua era una stanchezza mentale, non fisica. Qualcosa di enormemente più difficile da gestire. Assai peggio della mancanza di sonno, delle gambe pesanti o del dolore all'ano. Quelli erano semplici sintomi. La vera causa faceva molto più male di qualsiasi ferita visibile ad occhio nudo.

Durante quella sera aveva visto il peggio di quanto il mondo avesse da offrire. Dagli affronti più trascurabili, fino ai traumi indelebili. In una sorta di atroce spirale discendente diretta verso l'inferno.

Quanto aveva dovuto subire al mercato di Sorocaba era stato doloroso e umiliante. Ciò che era accaduto sul cofano dell'auto della polizia, andava oltre l'umiliazione.

Se avesse creduto in Dio gli avrebbe chiesto cosa mai avesse fatto per meritare tutto ciò. Lei però non credeva, e dopo quel che aveva subito quella sera, anche gli ultimi e miserrimi sprazzi di fede che ancora albergavano nel suo animo si spensero come lucciole morenti. Nessun dio, per quanto malvagio o crudele, avrebbe mai consentito qualcosa di simile.

Un rumore stranamente familiare infranse la quiete della notte, sovrastando il frinire dei grilli man mano che questo aumentava di intensità e la fonte si avvicinava a lei. Tuttavia, Gabriela non si voltò a controllare, e nemmeno lo fece quando una vecchia Volkswagen Gol le passò accanto, per poi fermarsi appena pochi metri più avanti.

L'uomo alla guida, un signore anziano con la coppola e i folti baffi bianchi, abbassò il finestrino e si sporse fuori dall'abitacolo proprio mentre Gabriela lo raggiungeva.

''Tutto bene?'' chiese lo sconosciuto in tono gentile.

Ignorandolo manco non esistesse, Gabriela continuò imperterrita a camminare.

Colto alla sprovvista, l'anziano rimise in moto la macchina, e procedendo a passo d'uomo, affiancò Gabriela.

''Ragazzo, stai bene?'' ripeté visibilmente preoccupato.

Richiamata alla realtà da quelle parole, Gabriela si voltò verso lo sconosciuto al volante. La sua espressione apatica sembrava quella di qualcuno appena risvegliatosi dopo un lungo sonno.

''Eh?''

''Scusa, se te lo dico, ma hai davvero una brutta cera'' disse l'anziano amareggiato. ''Ti andrebbe un passaggio per...ovunque tu voglia andare?''

''Un passaggio?'' chiese Gabriela in tono piatto.

''Sì, un passaggio'' rispose l'anziano annuendo. ''Per arrivare a Sao Benício manca ancora parecchio, e questa strada non è sicura di notte. In zona si aggirano branchi di randagi, e ogni tanto ci scappa pure il morto. Se vuoi, però, ti posso accompagnare io fin là''.

''Fin là?'' ripeté Gabriela, gli occhi fissi sul vuoto.

''A Sao Benício'' precisò lo sconosciuto, fingendo di non badare alla sua espressione inquietante. ''A piedi sono più di quattro ore, ma in macchina possiamo fare molto prima''.

Seguì una breve pausa, durante la quale Gabriela non osò proferir parola, limitandosi a camminare in silenzio e osservando l'uomo che l'accompagnava procedendo alla sua stessa andatura. Alla fine, dopo quasi dieci secondi di assoluto mutismo, parve trovare la forza di rispondergli, sebbene il suo tono fosse così intriso di timore e sospetto, che lei stessa ebbe parecchia difficoltà a riconoscerlo.

''Non ho soldi''. Un brivido freddo le risalì lungo la schiena, facendole venire la pelle d'oca. ''Né nient'altro'' aggiunse con voce tremante.

''Non lo faccio per soldi'' la rassicurò l'anziano. ''Ti do un passaggio. Offre la ditta''.

Gabriela gli rivolse uno sguardo diffidente, a cui lo sconosciuto reagì con un sorriso.

''Sul mio onore, gratis'' promise affabile.

Sebbene non fosse affatto convinta di quella scelta, Gabriela sostenne lo sguardo dell'anziano, e obbedendo ad un impulso inspiegabile proveniente dal suo cervello, annuì in maniera quasi impercettibile e smise di avanzare.

Lo sconosciuto fermò subito la macchina per permetterle di salire a bordo e lei lo fece senza fare commenti. Nel momento in cui ebbe preso posto sul sedile posteriore della macchina, una fitta atroce le fece contrarre le natiche in un riflesso involontario. Il lascito dello stupro subito più di cinque ore prima tornava a farsi sentire in tutta la sua spietata crudezza.

Mettendo a tacere il gemito che sentiva risalirle in gola, Gabriela appoggiò la schiena contro il sedile, e mentre la vecchia Gol tornava a sfrecciare lungo la strada, voltò lo sguardo in direzione del finestrino, osservando la campagna immersa nel buio della notte.

''Mi chiamo José, comunque'' si presentò l'anziano, senza staccare gli occhi dalla carreggiata. ''E tu, invece?''

''Gabriel'' rispose lei in tono piatto.

''Piacere Gabriel'' disse José tutto pimpante. ''Allora, qual buon vento ti porta a Sao Benício? A parte il pan de queso che servono da Felicia, si intende''.

''Volevo arrivare a Rio''.

''Rio, bello'' commentò José. ''Però è anche un lungo viaggio, e tu ci volevi arrivare a piedi?''

Gabriela smise di guardare fuori dal finestrino e, chinando il capo, iniziò a fissare i propri bermuda sporchi di sudore.

''Già'' confermò apatica.

''Complimenti, un bel coraggio'' disse José ammirato. ''Sai, anche mio nipote ha fatto una cosa del genere, subito dopo la laurea. Zaino in spalla, pochi reais in saccoccia, e poi via, all'avventura verso Praia de Peruibe. Però, era con degli amici e non viaggiava mai di notte. Troppo pericoloso. Senza contare che sua madre gliele avrebbe suonate di brutto al ritorno, se solo l'avesse scoperto''.

Forse aveva sperato che quella piccola confessione spingesse il proprio ospite ad aprirsi con lui, ma se anche fosse stato davvero così, José restò deluso. Gabriela rimase in silenzio e non fece alcun tentativo, per quanto timido, di riaprire la conversazione. Preso atto della cosa, l'anziano decise di assumersi nuovamente quell'onere.

''Hai qualche motivo per arrivare fino a Rio, oppure è più una cosa del tipo, sfidare i propri limiti, che piace tanto a voi giovani?''

Prima di rispondere, Gabriela si prese qualche secondo in più del solito, anche se quando lo fece il suo sguardo continuò ostinatamente ad essere puntato verso il basso.

''Ormai non ha più importanza''.

Interpretando quelle parole come un tentativo di mettere un punto alla questione, Josè scelse di non replicare e per un po' l'unico rumore che si udì all'interno dell'abitacolo fu il frinire dei grilli all'esterno e il rombo del motore in sottofondo.

Avevano appena superato un ponte di cemento, che passava sopra un canale di irrigazione, quando José tamburellò le dita contro il volante, e dopo aver preso un profondo respiro, si decise a rompere il silenzio.

''Senti, non vorrei apparire invadente, ma...solo se ti va, sia chiaro''.

Fece una pausa, durante la quale scrutò attraverso lo specchietto retrovisore il volto affranto del ragazzo, seduto sul sedile alle sue spalle.

''Che ne diresti se ti offrissi un posto dove stare''.

''Cosa?'' domandò Gabriela senza rialzare lo sguardo dai propri bermuda zuppi di sudore.

''Per riposare'' spiegò José. ''Sarai in viaggio da molto e l'astinenza da sonno è una brutta bestia. Non credo tu possa arrivare fino a Rio, o da qualsiasi altra parte, se prima non ti fai una bella dormita. Dopotutto, un sonnambulo che percorre cinquecento chilometri non si è mai visto prima''.

Prima di rispondere, Gabriela rimase in silenzio per almeno dieci secondi buoni.

''Perché?''

''Perché cosa?'' chiese José.

''Perché me lo propone?'' precisò Gabriela. ''Le ho già detto che non ho soldi''

''Non tutto ruota attorno ai soldi'' ribatté José con semplicità, ''esistono anche cose che si fanno perché si vuole. Non hai mai fatto qualcosa per qualcuno che non comportasse alcun vantaggio?''

La risposta a quella domanda le affiorò sulle labbra ben prima di quanto lei stessa si sarebbe aspettata. Per rendersi conto di quale fosse la verità, non ebbe nemmeno bisogno di frugare con la mente tra i propri ricordi. Lei la conosceva già.

''No''.

Evidentemente imbarazzato da quella rivelazione, José ammutolì, anche se riuscì a riprendersi praticamente subito.

''Beh, si vede che non conosci molta gente, o forse frequenti solo le persone sbagliate'' disse in tono incoraggiante. ''Purtroppo, ci sono volte in cui risulta davvero difficile essere generosi. Non sprecar pane per can che morde. Lo diceva sempre mia nonna, anche se io non sono mai stato particolarmente d'accordo. Magari, quel cane morde solo perché ha fame e non perché è cattivo''.

Gabriela non si prese la briga di commentare, ma comunque non ce ne fu bisogno. Prima ancora che José finisse la frase, un raggio di luce balenò all'orizzonte, squarciando le tenebre che imperversavano per la campagna circostante. L'alba era giunta.

''Ed eccoci arrivati, Sao Benício'' commentò José mentre passavano accanto ad un cartello stradale, che annunciava l'ingresso entro i confini del comune. ''È davvero un bel posto, vedrai. Non è un paesino molto grande, ma c'è tutto quel che serve. La scuola, lo spaccio, la chiesa, la farmacia, le poste, e poi, ovviamente, il Felicia. Parola mia, Mariana prepara il miglior pan de queso dell'intera zona. Ed è tutto dire, dato che deve competere con quello fatto da mia moglie, e il suo è praticamente imbattibile''.

Essendo ormai giunti in prossimità di una rotonda, José rallentò l'andatura, per poi imboccare una strada che puntava dritta verso il centro del paese. Case dall'aria vetusta, seppur in buono stato, costeggiavano la via che stavano percorrendo, anche se Gabriela non poté accorgersene. I suoi occhi continuavano a restare fissi verso il basso.

''Ehi, mi è venuta un'idea'' annunciò José con rinnovata energia, ''che ne dici se ci fermassimo a prenderne una fetta o due? Te la offro volentieri, se ti va, così dopo possiamo andare direttamente a casa. Dormire a stomaco vuoto non è piacevole per nessuno. Anzi, sai che c'è, ne prendiamo una forma intera, e il resto te lo faccio incartare per il viaggio. Così non dovrai...''

Il battito del suo cuore venne bruscamente interrotto mentre una sgradevole e inquietante sensazione di nausea le mozzava il respiro. Era come se un lazo invisibile le si fosse improvvisamente stretto attorno alla gola, impedendole di respirare e offuscando i suoi pensieri. Nemmeno il tempo di prendere atto di quell'evento inspiegabile, e una forza sconosciuta la strappò di peso da dove si trovava, trascinandola con sé.

A quel punto venne il buio.

L'incomprensibile delirio senza senso, a cui aveva già assistito quando era stata trasportata fuori dal suo corpo originale, si ripeté dal principio, costringendola a rivivere gli stessi passaggi a ritroso.

Oscurità, lampi di colore, bianco e nero, luci accecanti e poi di nuovo tenebre impenetrabili. Mille vite condensate in pochi istanti. Secoli interi riassunti nel film più breve mai concepito. L'eternità stessa ridotta ad una sequenza fatta scorrere alla velocità del suono.

E lei vi assisteva senza perdersi nemmeno un singolo frame. Spettatrice inerme di una follia da cui non poteva in alcun modo sottrarsi. L'ennesima costrizione di quella notte sciagurata impostale con la forza.

Magari, però, stava per finire tutto. Forse il suo viaggio era davvero giunto al capolinea, e Gabriela Carvalho sarebbe morta così. Persa per sempre in quella sorta di delirante abisso mentale. Una prospettiva che fino al giorno prima l'avrebbe terrorizzata, ma che adesso le appariva quasi auspicabile. La morte sarebbe riuscita lì dove tutto il resto era fallito.

La sua salvezza era la morte.

Un altro lampo di luce la investì con la potenza di un'esplosione atomica, poi il buio tornò ad inghiottire ogni cosa. Il viaggio era finito.

Vincendo la stanchezza innaturale che si sentiva gravare addosso, Gabriela sollevò le palpebre, per poi cercare di mettere a fuoco l'ambiente circostante.

La prima cosa che vide fu un soffitto tinteggiato di bianco. A quanto pareva, era sdraiata. Compiendo uno sforzo immane, provò ad alzarsi e, seppur ancora parecchio intontita, riuscì a mettersi seduta.

Si trovava in una stanza dalle pareti immacolate, e attraverso le tendine, che oscuravano la finestra alla sua sinistra, filtrava la luce del mattino. Il sole doveva essere sorto da poco, anche se i clacson delle auto in coda all'esterno si facevano già sentire, manco fosse l'ora di punta.

Il letto in cui era adagiata aveva le lenzuola pulite, ma prima ancora che potesse scostarsi di dosso le coperte immacolate, scoprì che al braccio destro portava una flebo. La sacca di soluzione fisiologica appesa accanto al materasso le fornì la risposta che stava cercando.

Ospedale. Si trovava in ospedale. Ma perché? Che fosse ferita?

Colta da un'angoscia improvvisa, abbassò subito lo sguardo verso il proprio petto, e una seconda rivelazione le fece spalancare la bocca per lo stupore.

Aveva il seno. Il suo seno. Nonostante fosse nascosto sotto al camice ospedaliero, lo riconosceva, non poteva sbagliarsi.

Non riuscendo a resistere alla tentazione, Gabriela prese a toccarsi il volto. Sì, era proprio vero! Pure la faccia sembrava la sua, anche se, mancando di mezzi per specchiarsi, non poteva averne la certezza assoluta. Tuttavia, era evidente che fosse tornata ad essere donna, e con tutta probabilità, ad essere lei.

Gabriela Carvalho era tornata.  

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