Capitolo 7 - La forza della disperazione
Nel momento in cui Gabriela dovette compiere una brusca accelerata per superare la vecchia Hyundai davanti a lei, il rumore di sottofondo prodotto dal motore del pick-up venne sovrastato da una bestemmia.
Per qualche assurda ragione, la vecchia Hyundai che aveva davanti si ostinava a non voler schiodare dai centoventi all'ora. Mentre ci sfrecciava accanto la donna al volante le rivolse un'occhiata sconcertata attraverso il finestrino dell'auto, ma Gabriela si limitò ad ignorarla, per poi procedere a tavoletta lungo l'autostrada.
Stando all'ultimo cartello informativo che aveva scorto a lato della carreggiata dopo aver superato San Paolo, a Rio mancavano poco più di trecento chilometri. Se avesse continuato a procedere a quell'andatura, sarebbe arrivata a destinazione ben prima che il sole sorgesse. A quel punto non avrebbe dovuto far altro che raggiungere il Copacabana Palace, e da lì rintracciare chiunque stesse impersonando Gabriela Carvalho in quel momento. Solo allora sarebbe finalmente riuscita a risolvere quella follia una volta per tutte.
Di questo ne era certa. Non esistevano altri modi per uscirne. Per questo aveva rubato il pick-up di Antonio senza esitare un singolo istante. Se voleva riprendersi la sua vita, doveva essere pronta a fare quanto si rendeva necessario. Basta tentennamenti. Basta dubbi. Sarebbe tornata a Rio a qualunque costo.
Superata una grossa stazione di servizio della Graal, si liberò di altre due auto troppo lente e, sempre con l'acceleratore a tavoletta, passò attraverso una galleria fiocamente illuminata, per poi sbucare qualche centinaio di metri più avanti. Il cielo notturno sopra di lei era appena tornato visibile quando un muro di luci le si parò davanti, bloccandole la strada. Una coda.
''Merda!''
Un fischio così acuto che faceva male alle orecchie risuonò all'esterno dell'abitacolo, mentre Gabriela premeva con entrambi i piedi sul pedale del freno, nel disperato tentativo di fermarsi prima che l'impatto a centotrentacinque all'ora con le altre automobili in fila la riducesse in gelatina.
Si trattò di dieci secondi di puro panico, durante i quali l'adrenalina le si riversò nel sangue come greggio da una petroliera che affonda, ma alla fine, pur con qualche scossone di troppo e non pochi tuffi al cuore, il pick-up inchiodò a solo pochi centimetri dal paraurti della macchina che la precedeva. Era salva.
Lieta di averla scampata per un soffio, Gabriela si concesse un lungo e liberatorio sospiro di sollievo, per poi appoggiare la fronte sul volante. Quando trovò finalmente la forza di rialzare lo sguardo, però, la coda si trovava ancora al proprio posto e, a giudicare dalla geologica lentezza con cui procedeva, era assai probabile che le sue speranze di raggiungere Rio prima dell'alba fossero definitivamente sfumate. A meno che non scoprisse il modo di far spuntare la ali al pick-up di Antonio entro breve, quel viaggio si sarebbe concluso lì.
''Fanculo!'' strillò Gabriela battendo i pugni sul volante. ''Fanculo! Fanculo! Fanculo!''
Il clacson attivato dai suoi colpi rimbombò lungo l'autostrada intasata, trovando eco qua e là tra le altre macchine incolonnate. Perché doveva andarle sempre tutto male?! Ormai ce l'aveva quasi fatta!
La scritta luminosa su un pannello informativo, che fino ad un attimo prima non aveva ancora notato, riuscì a riaccendere le sue speranze.
Code di 25 chilometri per incidente nei pressi di Vila Azul.
Prossima uscita: Campo Belo – 3 chilometri.
Tre chilometri? Sì, ce la poteva fare. Se solo fosse riuscita ad abbandonare l'autostrada, avrebbe potuto aggirare la coda passando per la tangenziale, rientrando sulla 116 una volta superata Vila Azul. Certo, in quel modo avrebbe finito per allungarla parecchio, e restava ancora da risolvere la questione benzina, dato che l'indicatore si stava pericolosamente avvicinando al livello di riserva, ma di quello se ne sarebbe occupata a tempo debito.
In fondo, a chi diavolo sarebbe importato se avesse fatto il pieno senza pagare? E comunque, adesso doveva occuparsi di problemi ben più urgenti. Come faceva ad arrivare a Campo Belo se la coda era completamente immobile?!
Beh, non del tutto immobile. La corsia d'emergenza sembrava completamente sgombra. Teoricamente si doveva usare solo per le emergenze, ma la sua era un'emergenza!
Se non ricordava male, l'aereo presidenziale, che avrebbe dovuto riportarla a Brasilia, partiva alle dieci del giorno seguente. Se non si fosse ricongiunta con la sua sosia per allora, sarebbe stata una catastrofe. Non poteva mica percorrere migliaia di chilometri su e giù per il paese!
Anche senza considerare il fattore benzina, i pochi spiccioli trovati dentro il cruscotto, le bastavano a malapena per pagare il pedaggio autostradale fino a Rio. Sempre che Antonio non fosse già andato a denunciare il furto del pick-up. In tal caso, imbattersi in un posto di blocco avrebbe significato la fine. Con sé, non aveva la patente.
Preso un profondo respiro, Gabriela ingranò la marcia, e dopo aver premuto sull'acceleratore abbandonò la coda, sfrecciando lungo la corsia d'emergenza.
Le ci vollero meno di cinque minuti per raggiungere il casello d'uscita che portava a Campo Belo, e quando finalmente ebbe pagato il pedaggio e vide la sbarra alzarsi per lasciarla passare, sul viso di Gabriela affiorò un sorriso trionfante. Tutto sommato, se l'era cavata abbastanza bene. Ad eccezione di alcuni clacson di protesta, da parte di qualche automobilista invidioso, la sua piccola furbata era passata del tutto inosservata. Ora non restava che trovare la tangenziale diretta a Vila Azul, poi sarebbe rientrata in autostrada.
Sulla carta si trattava di un piano semplice quanto infallibile, nella pratica fu un totale disastro. Non solo i cartelli d'indicazione erano davvero pochi, ma quei pochi non sembravano riportare la direzione per Vila Azul da nessuna parte.
Manco a dirlo, finì per perdersi, e nell'arco di appena un quarto d'ora, si ritrovò a vagare senza meta in mezzo ad anonime stradine di campagna, dove le poche case presenti si assomigliavano un po' tutte, e i fanali del pick-up rappresentavano la sua unica difesa dalle ombre della notte.
Imprecando a bassa voce, Gabriela strinse la presa sul volante e si guardò attorno con aria smarrita. Maledette code! E maledetti cartelli! Una volta che fosse tornata in sé, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato licenziare quell'idiota che aveva messo al Ministero dei Trasporti.
Se soltanto avesse avuto uno Smartphone. Ma forse Antonio aveva dimenticato il suo in macchina. Prima di finire chissà dove, era meglio se ricontrollava dentro il cruscotto.
Tenendo sempre la mano sinistra sul volante, Gabriela si sporse di lato e iniziò ravanare dentro lo scompartimento sul lato del passeggero. Cartacce, riviste osé, il libretto dell'auto, una confezione di cicche scaduta, ma che porcile!
PUM!
L'impatto attraversò tutta la carrozzeria del pick-up, propagandosi al suo stesso corpo e quindi percorrendole la spina dorsale come una scarica elettrica. Colta di sorpresa, Gabriela inchiodò all'istante e tornò a guardare la carreggiata.
Era una tipica stradina di campagna ad una sola corsia, asfaltata malamente, piena di buche, e costeggiata su ambo i lati da poche casupole, alcune delle quali così mal messe che parevano in stato d'abbandono. Ad eccezione dei fari della macchina, l'unica fonte di luce era il fioco bagliore che filtrava attraverso le finestre delle abitazioni. Per il resto, l'oscurità risultava totale, così come il silenzio, rotto soltanto dal frinire dei grilli.
La strada sembrava deserta. Nonostante fosse assolutamente sicura di aver sentito il tonfo di poco prima, qualunque cosa avesse colpito non si riusciva a scorgere da lì. Che avesse investito un randagio?
In ogni caso, doveva controllare. Non le andava di trascinarsi dietro una carcassa, se poteva evitarlo. E andarsene in giro con un cane morto appeso al paraurti, avrebbe attirato troppa attenzione. Per come la vedeva lei, meno si faceva notare e meglio era.
Emettendo uno sbuffo di frustrazione, Gabriela tirò il freno a mano e scese dal pick-up. Lasciando la portiera aperta, aggirò quindi la macchina e raggiunse il cofano. Alla fine, per scoprire la verità, non ebbe nemmeno bisogno di chinarsi a controllare. Nel momento stesso in cui abbassò lo sguardo sull'asfalto, il suo cuore mancò un battito.
Un corpo, quasi completamente nascosto sotto al paraurti, si trovava riverso al centro della strada. Che si trattasse di un bambino era facile da capire. D'altronde, quella testa, coperta da una folta chioma di capelli ricci, era troppo piccola perché potesse appartenere ad un adulto.
Mentre il cuore iniziava a martellarle nel petto con la potenza dei rintocchi di una campana, Gabriela si avvicinò lentamente a quel corpicino inerme. I suoi passi erano pesanti come se i piedi le fossero improvvisamente diventati di piombo.
Non poteva essere vero. Non poteva. Che fosse tutta un'allucinazione?
Sforzandosi di vincere la propria repulsione, Gabriela raggiunse il piccolo e vi si inginocchiò accanto. Doveva controllare che fosse vivo. Perché non poteva essere morto. Non era possibile. Non era accettabile. Non aveva ancora sfiorato la gola del bambino con le dita tremanti, quando un'inquietante macchia scusa prese ad allargarsi sotto la sua testa. Sangue. Nero come la notte.
Lanciando uno squittio di spavento, Gabriela arretrò di scatto, finendo per sbattere le natiche sull'asfalto.
No. No.
''Joaquim!''
L'urlo che risuonò nell'oscurità le fece schizzare il cuore direttamente in gola. Appena una ventina di metri più indietro rispetto al pick-up, una donna in vestaglia si era sporta dalla soglia di una casa fiocamente illuminata, e adesso stava scrutando le tenebre davanti a lei come se fosse alla ricerca di qualcuno.
''Joaquim!'' ripeté la donna ad alta voce. ''Coraggio, smetti di giocare con quel pallone, che è ora di andare a letto!''
Ciò che accadde in seguito, Gabriela fece molta fatica a ricordarlo. Il cervello sembrò andarle in pausa, mentre il suo corpo prendeva l'iniziativa e agiva di propria volontà. Ormai non era più un essere senziente. Era una macchina, guidata da istinto e fredda determinazione. Una determinazione che le imponeva di agire, e in fretta.
Rialzatasi in piedi, Gabriela tornò correndo a bordo del pick-up, e dopo essersi chiusa la portiera alle spalle, tolse il freno a mano e premette il piede sull'acceleratore. Lo stridio delle gomme sull'asfalto riecheggiò lungo la strada sgombra, per poi spegnersi lentamente man mano che il mezzo prendeva velocità e la distanza dal luogo dell'incidente aumentava.
''Joaquim!!!''
L'urlo di dolore e panico della donna le risuonò nelle orecchie, ma Gabriela non si voltò, né tantomeno fece marcia indietro. Persino quando vide l'ombra della madre, che si precipitava strillando sul corpo del figlio riverso in mezzo alla strada, non si lasciò tentare dall'idea di tornare sui suoi passi per cercare di porre rimedio a quello che aveva fatto.
La paura era troppo grande. L'agitazione che le faceva tremare i muscoli, troppo intensa. Non poteva tornare indietro. Lei doveva andare a Rio. Lei doveva andare avanti.
Case anonime, campi coltivati, pascoli e terreni invasi dalla vegetazione, le sfrecciarono accanto mentre li superava, senza che lei se ne accorgesse neanche. Anche se i suoi occhi restavano fissi sulla strada dissestata, era come se fosse cieca.
Nonostante i numeri sul contachilometri scorressero come al solito, e la spia del carburante si fosse accesa per segnalare che il pick-up era entrato in riserva, Gabriela non aveva idea da quanto tempo stesse guidando. Potevano essere passate ore, come solo pochi secondi, e lei non sarebbe stata in grado di stabilirlo. La sua mente era ancora in fase dormiente. Il suo corpo agiva da solo.
Non c'era logica. Non c'era razionalità. Solo neuroni e impulsi elettrici. L'istinto le diceva che doveva allontanarsi e lei obbediva. Verso dove, lo ignorava. Ormai si era persino dimenticata di Vila Azul e della tangenziale. Solo Rio le restava in testa, ma soltanto perché sentiva di dover avere una meta verso cui puntare, anche se in quel momento pareva più lontana e irraggiungibile di un miraggio nel deserto.
Un'immagine, viva e reale come l'avesse appena vista, le balenò nella mente quasi si trattasse del flash di una macchina fotografica. Il corpo di un bambino dai capelli ricci, riverso sull'asfalto in una pozza di sangue.
Gabriela cacciò un urlo.
''Cazzo!''
Ecco, lo sentiva, l'ondata di panico stava tornando, e insieme ad essa anche il suo raziocinio. Perché si trovava in quella maledetta situazione? Perché doveva subire tutto questo?! Perché?!
Lacrime di paura e sconforto le rigarono le guance, mentre la consapevolezza di quanto compiuto la investiva con la potenza di uno tsunami. Che fosse la realtà o un incubo ormai non importava più. Voleva che tutto finisse. Voleva svegliarsi. Voleva...
Mio Dio, che cosa ho fatto?
Una luce accecante investì all'improvviso il parabrezza, costringendola a coprirsi gli occhi umidi con la mano, e per un meraviglioso folle istante, le parve che i suoi desideri fossero stati esauditi. Finalmente si sarebbe svegliata.
Lo squillo di una sirena la riportò bruscamente alla realtà e l'illusione si dissolse. Un attimo dopo gli abbaglianti si spensero, venendo sostituiti dalla luce blu e rossa di una volante della polizia. La stessa volante che adesso le stava venendo addosso, sfrecciando lungo la strada con le sirene spiegate.
Rendendosi conto del pericolo incombente, Gabriela cercò di sterzare per invertire la marcia, ma la sua manovra si rivelò troppo brusca e imprecisa (anni di autista l'avevano arrugginita), e tutto ciò che riuscì a fare fu di abbandonare anzitempo la carreggiata, per poi andarsi a schiantare contro un grosso palo dell'elettricità. Prima ancora che potesse rendersi conto dell'errore compiuto, la sua faccia venne inghiottita dall'airbag.
Quando riemerse dal cuscino, la prima cosa che vide fu il grosso palo di legno contro cui si era schiantata, poi, proprio mentre sbatteva le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco l'ambiente circostante e fare mente locale, la luce di una torcia le investì la faccia dal lato del finestrino, costringendola a chiudere gli occhi.
''Scendi dall'auto!'' ordinò una voce autoritaria. ''Ora!''
Gabriela deglutì e cercò di rispondere. Aveva la gola secca.
''Io...''
L'agente non la lasciò finire.
''Ho detto, scendi subito da questa cazzo di auto!'' ripeté con rabbia crescente.
Confusa e spaventata, Gabriela afferrò la maniglia, e dopo aver aperto la portiera, alzò le mani in alto e abbandonò il pick-up. La luce delle torce degli agenti le oscurava la visuale, e le gambe le tremavano così violentemente, che pareva quasi un miracolo che riuscissero a sorreggerla. Non credeva di poter provare così tanta paura senza svenire.
''Posso spiegare'' sussurrò con una vocetta acuta.
Sbucando dal fascio di luce che le illuminava il volto, un braccio le si strinse come una morsa attorno al polso, e un attimo dopo Gabriela si ritrovò sbattuta contro il cofano della volante della polizia. L'impatto col freddo metallo fu così violento che le svuotò i polmoni.
''Tieniti le tue stronzate per il giudice, pezzo di merda!'' le sibilò all'orecchio lo stesso agente che le aveva intimato di uscire dal pick-up.
''Credevi forse di farla franca?'' domandò il secondo poliziotto. ''Metti sotto un bambino e poi te la fili manco fosse un randagio?!''
''È stato un'incidente!'' squittì Gabriela con le lacrime agli occhi.
''Sicuro, solo un incidente'' commentò il primo agente sarcastico. ''Quindi, se adesso ti facciamo saltare entrambe le rotule, suppongo non avrai niente da ridire. Anche quello sarà un incidente''.
''Voi non capite'' singhiozzò Gabriela, ''io sono...''
Un cazzotto al fianco le strappò un gemito, soffocando la sua risposta sul nascere.
''Non gliene frega un cazzo a nessuno di chi sei'' ringhiò l'agente afferrandola per i capelli. ''Ora chiudi quella fogna, se non vuoi che ti faccia saltare tutti i denti''. E con un movimento brusco, la lasciò andare, facendole sbattere la fronte contro il cofano.
Dolore. Forte dolore. E a seguire parecchia confusione. Centinaia di luci bianche le balenarono davanti agli occhi, mentre tentava di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Quando finalmente ci fu riuscita, scorse la sagoma dell'auto sulla quale era adagiata, e a seguire la strada che aveva percorso appena pochi minuti prima, quasi completamente immersa nel buio.
Intanto che le ammanettavano i polsi dietro la schiena, uno strano bagliore, che ricordava moltissimo il flash di uno Smartphone, illuminò la notte ad un centinaio di metri di distanza, per poi scomparire senza lasciare traccia, come una fiamma estinta dal vento.
''Souza, mi ricevi?'' domandò una voce femminile tramite la ricetrasmittente di uno dei due agenti. ''Batista è lì con te?''
''Sì, Adelina, ti ricevo, qui tutto bene'' la rassicurò l'agente Souza, premendo il tasto di risposta sul dispositivo. ''Abbiamo appena arrestato un pirata della strada colto in fragranza, a circa venti chilometri dal casello d'uscita della 116, lungo la strada per Sao Benício''.
Sentendosi nominare, Gabriela provò istintivamente a raddrizzare la schiena per vedere in faccia Souza, ma un colpo ben assestato dal suo collega in mezzo alle scapole, la convinse a desistere.
''Adesso lo portiamo dentro, nel frattempo, richiedo invio immediato della squadra di investigazione forense per raccolta prove e ricostruzione dinamica incidente''.
''Avete già allertato il SAMU?'' chiese la voce di Adelina tramite l'altoparlante.
''Negativo, la vittima è deceduta'' rispose Souza asciutto. ''Il bastardo ha messo sotto un bambino. Si rende necessario intervento dell'istituto medico legale''.
A quelle parole, Gabriela si sentì mozzare il respiro. Morto. Quindi lei...Aveva appena iniziato a metabolizzare la notizia, quando le viscere le si contorsero per il disgusto. Peggio di così, non poteva proprio andare.
''Al momento tutte le pattuglie sono impegnate, ma vedrò di mandarne una non appena si libera'' spiegò Adelina alla ricetrasmittente. ''Intanto, contatto l'IML per la gestione del corpo''.
''Ricevuto Adelina, passo e chiudo''.
Souza aveva appeno interrotto la chiamata, quando Batista spalancò la bocca in un'espressione di assoluto sconcerto.
''Dovevi dirgli che ha opposto resistenza!'' sbottò indignato.
Souza si diede una manata sulla fronte.
''Cazzo, è vero!''
Batista stava per parlare di nuovo, ma il collega lo stoppò alzando il braccio.
''Aspetta, può opporla anche dopo, no?''
Un sorriso perfido si allargò sul volto di Batista, mentre anche Souza lo imitava.
''Che intendete dire?'' chiese timorosa Gabriela, mentre un brivido freddo le risaliva lungo la schiena. ''Non sto opponendo resistenza''.
Senza curarsi di risponderle, Batista estrasse l'arma dalla fondina.
''Un colpo solo'' lo avvertì Souza, ''altrimenti non ci crede neppure Ferreira''.
''Quale colpo?'' squittì Gabriela, ormai in preda al panico. ''Che volete fare?!''
Ancora una volta, tutti e due gli agenti la ignorarono.
''Gamba sinistra o destra?'' domandò Barista arretrando il cane della pistola.
''Fa la destra'' rispose Souza. ''È quella dominante''.
''E se lo stronzo è mancino?''
''Giusto''. Souza afferrò Gabriela per i capelli, costringendola ad inarcare la schiena. ''Ehi, pezzo di merda, sei mancino o normale?''
''No!'' urlò Gabriela disperata. ''Vi prego, non sparatemi!''
''Sei mancino o normale?!'' ripeté Souza, stringendo con tanta forza da farle male.
''Pietà, vi supplico!'' gridò Gabriela con le lacrime agli occhi. ''Non sto opponendo resistenza! Non sto opponendo resistenza!''
Con un violento movimento del braccio, Souza le fece sbattere la faccia contro il cofano della volante. La sua bocca si riempì di sangue.
''Ti ho chiesto se sei...''
Un boato risuonò nella notte, poi venne il fischio, e prima che chiunque tra i presenti potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo, Souza mollò la presa su Gabriela. Nel momento in cui crollò di schianto al suolo, l'uomo era già morto.
Rivolgendo una fugace occhiata al corpo del collega ormai defunto, Batista si guardò attorno spaesato, l'arma ancora stretta tra le mani ora tremanti. Era chiaro che fosse terrorizzato, almeno quanto era confuso.
''Ma che cazz...''
Un secondo boato squarciò il buio, e meno di un secondo dopo anche Batista seguì il collega accasciandosi al suolo. Il suo occhio destro sembrava essere esploso, lì dove era penetrato con precisione chirurgica il proiettile.
A quel punto, calò il silenzio.
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