Capitolo 6 - Verità inconfessabili
Lì dentro non c'era molto spazio. In verità, si faceva parecchia fatica persino a muoversi senza sfiorare gli scaffali ingombri di prodotti, ma se non altro era un posto asciutto e relativamente pulito.
Una poltrona mezza sfondata e un basso tavolino di plastica si trovavano nell'unica zona non occupata dalla merce, insieme ad un piccolo televisore al plasma, posizionato su un mobiletto in compensato parallelo alla parete. Anche se il dispositivo era muto, sullo schermo stava venendo trasmessa una partita di calcio.
Dato che Gabriela non aveva modo di accomodarsi, il negoziante andò a prendere per lei una sedia pieghevole, che piazzò sul lato opposto del tavolino.
''Molto gentile'' disse riconoscente Gabriela.
Per tutta risposta, l'uomo si limitò a porgerle la mano. Indossava una camicia a righe sbottonata sul davanti, dietro cui si riusciva a scorgere il petto villoso e la catenella d'oro che portava appesa al collo.
''Antonio'' si presentò lui. ''Antonio Suarez''
''Gabriel'' gli fece eco Gabriela ricambiando la stretta. ''Gabriel Car...doso''
''Beh, piacere, Gabriel''.
Stavano entrambi per sedersi, quando Antonio parve ricordarsi di qualcosa, e allora girò sui tacchi e scomparve tra gli scaffali dietro un angolo, lasciando Gabriela ad aspettarlo da sola. Durante l'attesa, il suo occhio finì per posarsi sul centrotavola sopra il tavolino, dentro cui scorse una confezione di gomme da masticare senza zucchero e diversi mazzi di chiavi.
Quando Antonio fece ritorno, dopo appena un minuto, tra le mani stringeva una bottiglia di vetro piena per metà di un liquido trasparente, e due bicchieri da shot.
''Che cos'è?'' domandò Gabriela mentre lo vedeva versare la misteriosa bevanda dentro ai cicchetti.
''Cachaça, ovviamente'' rispose Antonio con palese soddisfazione, ''questa però è roba buona, mica come quella del supermercato. La distilla mio cugino su a Serra do Sol''.
''Credevo fosse illegale'' notò Gabriela guardandolo in tralice.
''In realtà lo è'' ammise Antonio senza scomporsi, ''ma non credo mio cugino manderà in bancarotta le casse statali se riempie per amici e parenti qualche bottiglia''. E per sottolineare maggiormente il concetto, le fece l'occhiolino.
Gabriela rise.
''Suppongo di no''.
Afferrato il proprio shot ormai pieno, lo levò insieme ad Antonio, per poi attendere che il padrone di casa aprisse le danze.
''Salute!''
''Salute!''
Buttarono giù il liquore pressoché in simultanea, ma se Antonio lo ingollò senza neppure un brivido, Gabriela si ritrovò a tossire nell'istante stesso in cui la bevanda le sfiorò la gola. Aveva un sapore assolutamente tremendo.
''Forte, eh?'' disse Antonio sorridendo divertito.
''Abbastanza'' concesse Gabriela, sforzandosi di ricambiare l'espressione.
Soddisfatto dal responso, Antonio provvide a riempire di nuovo i bicchieri, ma se lui fece sparire il suo quasi subito, Gabriela preferì solamente bagnarsi le labbra, fingendo di sorseggiare la cachaca con aria da intenditrice.
''Quindi, lei è in attività da molto?'' chiese mettendo giù il bicchiere ancora intonso.
''Solo una ventina d'anni'' ammise Antonio sprofondando nella poltrona.
''Deve essere stata dura''.
Antonio scoppiò in una risata senza gioia.
''Ereditare da mio padre? Assolutamente'' disse stizzito. ''All'epoca c'erano quelle merde del PPB al governo, e mi hanno letteralmente spolpato vivo con le tasse di successione''.
''Fortuna che la nuova amministrazione le ha abolite'' notò Gabriela, senza riuscire a nascondere l'orgoglio nella propria voce.
''Vero, ma purtroppo le leggi non funzionano come macchine del tempo. Quando ho provato ad andare in municipio per chiedere se potevo avere un rimborso su base retroattiva, l'impiegato allo sportello mi ha riso in faccia''
''Bastardo'' commentò Gabriela sprezzante.
''Puoi ben dirlo, ma dopo averci guadagnato un naso rotto, dubito riproverà a fare lo strafottente in futuro''.
Le sopracciglia di Gabriela si inarcarono per lo stupore.
''Gli ha spaccato il naso?''
''Non c'ho visto più!'' sbottò Antonio, sbattendo le braccia lungo i fianchi della poltrona. ''Uno passa un pomeriggio intero a cercare i documenti, si prende la giornata libera appositamente per quello, poi va lì, carte in mano''. Mimò il gesto di ondeggiare a mezz'aria un plico invisibile. ''E solo per sentirsi dare dell'idiota da uno stronzo burocrate da quattro soldi. Non dico che la violenza sia la risposta, ma c'è un limite a tutto''.
Ripresasi dallo shock della notizia, Gabriela assunse una posa quasi solenne, e dopo aver raddrizzato la schiena, disse. ''I danni della burocrazia sono troppo spesso sottovalutati''.
''Mai parole furono più vere'' convenne Antonio indicandola con fare complice.
Intanto che Suarez tornava a versarsi altro liquore, Gabriela si mise a guardare la tv. Nonostante mancasse ancora quasi mezz'ora al fischio finale, la partita sembrava procedere abbastanza a rilento. Tuttavia, in quel momento lei aveva ben altro per la testa.
Se soltanto fosse riuscita a sintonizzarsi sul canale che trasmetteva la diretta del suo discorso. Cosa avrebbe vista allora? Gabriela Carvalho? Sé stessa? Come nel dilemma dell'uovo e della gallina, era difficile stabilire dove iniziasse l'uno e terminasse l'altro.
Ma se lei era lì, allora chi stava parlando nel Teatro Municipale? Un clone? Un robot? O magari era davvero tutto un sogno, e vedere una sua sosia parlare davanti ad una platea adorante, non la doveva sorprendere più di quanto lo avrebbe fatto scoprirsi a volare tra le nuvole, o a scalare una montagna di brigadeiro. D'altronde, nella mente tutto era possibile.
Tuttavia, qualunque fosse la verità, doveva almeno tentare di assistere a quella scena con i suoi stessi occhi. Se non ci avesse provato, sentiva che il dubbio l'avrebbe consumata.
''Sa che stasera il presidente dà un discorso'' disse simulando indifferenza.
''Davvero?'' chiese Antonio mettendo giù la bottiglia di cachaca. ''Ma pensa un po', non lo sapevo''.
''Ho come il presentimento, che potrebbe parlare anche di quest'argomento'' insistette Gabriela sforzandosi di apparire naturale. ''Sa, di burocrazia e altri pericoli nascosti''.
Antonio tracciò una riga a mezz'aria con la stessa mano con cui stava reggendo il bicchierino.
''Per quanto mi riguarda, ha tutto il mio supporto''. E buttò giù il liquore con la consueta disinvoltura.
''Di sicuro lo staranno trasmettendo su Jovem Pan'' lo informò Gabriela, grattandosi il dorso della mano con impazienza.
''Quel canale è a pagamento'' ribatté Antonio aggrottando la fronte.
''Beh, allora su Globo News'' propose Gabriela scrollando le spalle. ''Anche se come emittente è piuttosto faziosa, non possono ignorare una cosa del genere''.
''Sono certo sia così, ma vedi...''. Si chinò verso di lei, così' da farsi sentire anche se aveva ridotto la voce a poco più di un sussurro. ''Ho scommesso duecento reais sul Palmerias, quindi non voglio perdermi il finale. Se riescono a mantenere il vantaggio sui Botafogo ancora per venti minuti, è fatta''.
Seppur tremendamente delusa, Gabriela si costrinse ad annuire.
''Ah, certo''.
Avvertendo la frustrazione montare dentro di lei, afferrò il proprio bicchierino di cachaca, preparandosi a vuotarlo.
''E comunque, non ho bisogno di ascoltare un discorso per sapere chi votare'' proseguì Antonio tornando a sprofondare nella poltrona. ''Mi fido. La nostra Gabriela sa quel che fa''.
Anche se aveva quasi portato lo shot alle labbra, a quelle parole il braccio di Gabriela si fermò all'istante.
''La sua lealtà è ammirevole'' commentò con cortesia, mentre sentiva il proprio ego gonfiarsi.
''Semplicemente, la conosco''.
''Le piacerebbe incontrarla di persona?'' domandò lei, accennando un sorrisetto sornione.
''Di sicuro le offrirei da bere'' rispose Antonio intanto che Gabriela buttava giù il liquore. ''Probabilmente me la scoperei pure''.
A Gabriela andò di traverso la cachaca.
''Vacci piano con quello'' disse divertito Antonio dandole dei colpetti sulla schiena mentre tossiva. ''Te l'ho detto, è forte''.
''Ch...''
Diede un altro colpo di tosse.
''Che ha detto prima?'' chiese con voce roca.
''Su cosa?''
''Sul presidente''.
''Che le farei volentieri una bella ripassata, se solo potessi'' rispose Antonio senza scomporsi. ''Oggettivamente parlando, ha un bel culo''.
Gabriela sentì le proprie guance andare a fuoco, ma prima ancora che potesse cercare di nascondere la cosa, Antonio proseguì come nulla fosse.
''Anche se non ho ancora capito questa storia della relazione''. Si aggiustò gli occhiali sul naso. ''Insomma, sta con qualcuno?''
Nel tentativo di ricomporsi, Gabriela fece un profondo respiro per poi appoggiarsi contro lo schienale della sedia.
''Al momento, no'' rivelò pacata. ''Non ha ancora trovato il tipo giusto''.
''È il problema con le donne di potere'' disse Antonio lanciando un'occhiata verso lo schermo della tv. ''Si montano la testa e poi finiscono per diventare insopportabili. A quel punto è difficile starci accanto. Conoscevo una così una volta''. Scosse la testa con aria eloquente mentre un sorrisetto beffardo gli affiorava sulle labbra. ''Cazzo, il marito le ha messo tante di quelle corna da far invidia a un cervo''.
Sentendosi sempre più a disagio, Gabriela si grattò la nuca in un gesto meccanico. Se non voleva morire di vergogna, le conveniva cambiare argomento alla svelta.
''Lei è sposato?''
''Divorziato'' rispose Antonio. ''Per il momento mi limito a vagar di fiore in fiore''.
''Non vorrebbe metter su famiglia?''
Antonio scoppiò in una risata amara.
''Quel che ho già dato mi pare più che sufficiente''.
''Ha figli, quindi?''
Un'espressione cupa calò sul viso del negoziante, come se un ricordo terribile gli avesse oscurato la mente.
''Ce l'avevo'' ammise fissando il tavolino. ''Mio figlio è morto''.
Pentendosi subito di aver posto la domanda, Gabriela abbassò a sua volta lo sguardo.
''Mi dispiace, non volevo'' disse desolata.
''Non ti preoccupare'' la rassicurò Antonio accompagnando quelle parole con un gesto del braccio.
''È stato un incidente, oppure...''
Antonio la interruppe prima che potesse finire la frase.
''Non è morto, nel senso di morto'' affermò asciutto. ''È morto per me. Non ci parliamo più e basta. Lui non vuole e io non voglio''. Scrollò le spalle. ''Contenti tutti''.
Pur sapendo fosse un errore, Gabriela non riuscì a trattenersi dall'inclinare la testa con aria interrogativa. Accorgendosi della cosa, Antonio si chiuse in un silenzio impenetrabile, ma dopo alcuni secondi di tesa incertezza, durante i quali parve seriamente indeciso se procedere oltre oppure no, gettò al vento la cautela e parlò di nuovo.
''È una checca'' rivelò con durezza.
Gabriela annuì e distolse lo sguardo.
''Capisco''.
''Ho cercato di, sai, farlo ragionare, ma niente'' proseguì Antonio amareggiato. ''Quando arrivano al punto di ammetterlo senza neppure vergognarsi, sono come persi. Il cervello è andato''. Emise un profondo sospiro. ''A volte mi chiedo dove ho sbagliato con lui''.
''Sono certo che non abbia sbagliato niente'' s'intromise Gabriela con gentilezza. ''Purtroppo, sono cose che a volte succedono. Un po' come l'autismo o il diabete di tipo 1''. Si strinse nelle spalle. ''Ci si nasce e basta. Non è colpa di nessuno''.
''Non credo a quella puttanata del gene gay'' replicò Antonio tornado ad incrociare il suo sguardo. ''Secondo me, c'è qualcosa sotto''.
''Sotto?'' chiese Gabriela incerta.
''Com'è possibile che fino a quarant'anni fa i froci fossero quasi leggenda e ora invece sputano ovunque manco si trattasse di funghi''. Digrignò i denti in un'espressione di rabbia trattenuta. ''Per me ci nascondono qualcosa''.
''Intende il governo?''
''Non il governo, qualcun altro'' ribatté indicando il soffitto. ''Qualcuno che sta più in alto. Non hai sentito di quella storia delle rane sodomite, su nel Midwest? Nell'acqua ci era finita chissà come qualche merda chimica, poi le rane hanno cominciato a cambiare sesso senza motivo, e alla fine i maschi si sono messi a montarsi tra loro come maniaci''.
Scosse la testa con fare sprezzante mentre puntava il dito verso il tavolino.
''Questo è un complotto del cazzo, te lo dico io. Ci vogliono tutti castrati o checche, così che al momento opportuno loro possano farsi avanti e prendere il potere''
''Loro?'' domandò Gabriela, sempre più confusa.
''I poteri forti'' rispose Antonio con impazienza. ''Quelli che gestiscono l'economia e controllano i politici progre. Gli unici che hanno interesse a fare schifezze simili contro la gente. Per soggiogarla più facilmente''. Si picchiettò la fronte coll'indice. ''Pensaci, chi altri potrebbe spendere vagonate di miliardi per realizzare sieri sforna froci?''
''E quindi pensa che lo mettano nell'acquedotto'' disse Gabriela, sforzandosi di seguirlo nel ragionamento, ''ma in questo modo non lo berrebbero tutti?''
''Forse fa effetto solo ad alcuni, o è progettato per colpire una persona ogni tot'' ipotizzò Antonio, non facendosi cogliere impreparato. ''D'altronde, se tutti diventassero improvvisamente finocchi, la gente comincerebbe a sospettare qualcosa. In questo modo, invece, danno molto meno nell'occhio. Senza poi considerare il resto. Hai presente il guaranà?''
''Il guaranà?''
''Il guaranà, il succo di caju, la cola, tutta quella roba che bevono ragazzi e bambini'' spiegò puntando il pollice verso il muro, in direzione di dove si trovava il frigorifero del negozio. ''Per me la infilano là dentro la loro porcheria. Senza che nemmeno ce ne accorgiamo, stanno distruggendo un'intera generazione!''
Presa in contropiede da quello sfogo, Gabriela sbatté le palpebre con aria stolida. Scorgendo il disagio sul suo volto, Antonio alzò un sopracciglio.
''Cos'è, non ci credi?''
Se avesse dovuto rispondere con sincerità, Gabriela sarebbe stata costretta ad ammettere, che reputava quella teoria un assurdo delirio senza il minimo senso. Tuttavia, non le sembrava affatto saggio confessarlo platealmente davanti ad Antonio. Non voleva inimicarsi quell'uomo. Specie se si considerava il fatto, che era una delle pochissime persone ad averle mostrato un po' di cortesia da quando si trovava in quella folle situazione.
Essendo una pratica in cui si dilettava da anni, alla fine, piegare la realtà si dimostrò sorprendentemente facile.
''Ritengo sia una teoria molto interessante'' mentì pacata, posando le mani in grembo. ''Troppe cose sono tenute nascoste alla popolazione. Un problema che, per fortuna, il governo sta cercando di risolvere''.
''Lo spero'' disse Antonio sollevato. ''Dovrebbero aprire delle commissioni d'inchiesta su questa roba, anziché perdere tempo con certe pagliacciate come la festa del lavoro o la giornata della riconquista della libertà''
''Allora anche lei è un ammiratore del regime militare!'' squittì Gabriela accalorandosi.
''Quello mi pareva scontato'' convenne Antonio rivolgendole un sorriso. ''Come si potrebbe parlare male di quel periodo? Mio padre diceva sempre che sono stati i suoi anni migliori. La società aveva una direzione, un'etica, c'era sicurezza, non come adesso''. Scosse la testa con evidente disappunto. ''Progre del cazzo. Hanno rovinato tutto''.
''Anche se stimo molto Da Costa e Silva per il suo lavoro, il mio idolo è Médici''confessò Gabriela con gli occhi che brillavano. ''Ha fatto così tanto per questo paese, che ogni volta che ci penso, quasi mi commuovo. Se siamo la potenza che siamo adesso, lo si deve principalmente a lui''.
Al centro della fronte di Antonio comparve una singola profonda ruga.
''Chi, scusa?''
Gabriela sgranò gli occhi.
''Médici'' ripeté incredula. ''Emílio Garrastazu Médici''.
L'espressione confusa di Antonio non mutò di una virgola.
''Il generale'' spiegò Gabriela con passione. ''Il presidente!''
Antonio spalancò la bocca per la sorpresa.
''Ah, sì, ora ricordo, grand'uomo'' disse sbrigativo. ''Quand'è che è entrato in carica? Negli anni 80', giusto?''
La faccia di Gabriela parve afflosciarsi.
''Nel sessantanove''.
''Scusami, non sono un grande appassionato di storia'' ammise Antonio sistemandosi gli occhiali.
''Ma aveva detto che le piaceva il periodo della rivoluzione del sessantaquattro, come fa a non conoscerlo?'' insistette Gabriela, non riuscendo a nascondere la delusione. ''È sotto di lui che è avvenuto il miracolo brasiliano''.
''Senti, non voglio apparire scortese, ma a me di quella roba là non me ne frega niente''. Dato che Gabriela sembrava sul punto di svenire, alzò una mano come per correggere il tiro. ''Non fraintendermi, ti capisco. Anch'io penso che dovremmo essergli riconoscenti per aver ammazzato quelle merde dei rossi, però non è che sto a studiarmi ogni singolo nome di quelli della giunta militare. Io di mestiere faccio il commerciante, mica il topo di biblioteca''.
''Però, avrà comunque dei personaggi a cui si ispira'' proseguì fiduciosa Gabriela. ''Figure verso cui sente una certa affinità''.
''Sì, certo'' confermò Antonio in tono affabile. ''Tralasciando quella faccenda dell'olocausto e compagnia bella, a me piace Mr. Baffetto. Era un tipo tosto. Uno che non aveva paura di prendere decisioni difficili. Magari ce ne fossero di tipi di come lui tra i politici''.
Gabriela si sentì come se le budella le si stessero sciogliendo.
''Hitler disprezzava i brasiliani'' obiettò in un sussurro.
''Beh, dal suo punto di vista aveva anche ragione'' disse Antonio tranquillo. ''Mica dico di importare un Hitler tedesco qui e farci comandare da lui. Secondo me, ogni nazione dovrebbe avere il suo. Il suo Hitler personale, diciamo. Qualcuno che prenda le decisioni migliori per il bene del popolo, e si sbarazzi di quelli che creano problemi agli altri''.
Seppur scioccata dalle ultime battute del suo interlocutore, a quel punto Gabriela parve riacquistare un po' di sicurezza.
''Tipo una Gabriela Carvalho?'' domandò abbozzando un sorrisetto.
''Certo, nella prima fase potrebbe andare benissimo''.
''Quale prima fase?'' chiese Gabriela aggrottando la fronte.
''Per passare da questa farsa di democrazia alla roba seria, poi dovrebbe affidare il testimone a qualcun altro''. Allargò le braccia in un gesto teatrale. ''Insomma, te la immagini una donna caudillo? Sarebbe ridicolo''.
Per un po' Antonio tornò a seguire la partita e Gabriela ne approfittò per chinare il capo, fissando il pavimento sotto i suoi sandali con aria abbattuta.
Anche se aveva sempre sperato di sbagliarsi, ciò che aveva appena sentito non faceva altro che confermare i suoi timori. Non importava quanto salisse in alto nella gerarchia del potere, per molti lei sarebbe rimasta sempre un surrogato.
Un sostituto per qualcuno che doveva per forza essere migliore, anche se rimaneva solo un concetto astratto. Proprio come il caffè fatto col mais quando l'originale scarseggiava. Qualcosa da usare se necessario, per poi sbarazzarsene una volta ottenuto il prodotto autentico. Indipendentemente dall'impegno che ci metteva, Gabriela Carvalho non sarebbe mai stata all'altezza delle aspettative.
Se solo fosse nata Gabriel, le cose sarebbero state molto diverse.
''In ogni caso, non ha importanza'' commentò Antonio, strappandola ai suoi pensieri.
''Come sarebbe a dire?'' chiese Gabriela rialzando lo sguardo.
''Stiamo solo giocando, no?'' disse Antonio alzando un sopracciglio. ''Credi forse che quelli lassù a Brasilia si alzeranno un bel mattino pronti a rovesciare il tavolo per instaurare il nostro regime dei sogni?''
''Lei non sarebbe d'accordo?'' lo incalzò Gabriela.
Antonio rise.
''La mia opinione non conta un cazzo'' confessò ironico. ''Quelli che prendono le decisioni sono altri''.
''Ma quelle decisioni potrebbero dipendere anche da ciò che pensano i loro sostenitori'' gli fece notare Gabriela. ''Se si presentasse l'occasione, e il governo chiedesse alla sua gente una dimostrazione di inequivocabile supporto, lei cosa farebbe?''
''Dipende in che direzione soffia il vento'' rispose lui alzando leggermente il braccio destro. ''Favorevole? Tutti in strada con la bandiera''. Abbassò il braccio e levò il sinistro. ''Sfavorevole? Birra ghiacciata e partita alla tv''.
Gabriela spalancò la bocca in un'espressione sconcertata, ma Antonio non batté ciglio e proseguì come nulla fosse.
''Ti sembrerò cinico a dire questo, ma non è la prima volta che qualche pezzo grosso si appella alla massa per poi cercare di fare la rivoluzione, mandandola al macello al posto suo''. Le scoccò un'occhiata significativa. ''Preferisco passare per bastardo, che coglione''.
''Ma se il vento fosse favorevole, lei scenderebbe in campo, giusto?'' insistette Gabriela, con rinnovato entusiasmo.
''Ho detto questo'' confermò Antonio in tono pratico.
''E poi...''
''E poi niente'' la interruppe Antonio.
''Niente?'' ripeté confusa Gabriela.
''Non mi fraintendere, io sono il primo che sarebbe contento di vedere zittiti tutti quei progre di merda, ma a parte questo, per noi altri non cambierebbe assolutamente nulla. Smetteremmo di andare a votare, una rottura di coglioni in meno, bene, e il resto? Per i bei signori vestiti eleganti sarebbe una vera svolta, poco ma sicuro, mentre per noi...''
Curvò le labbra in un sorriso amaro.
''Ci attaccheremmo al cazzo, come sempre'' disse sprezzante.
A quelle parole, Gabriela sgranò gli occhi in un'espressione scandalizzata.
''Come può dire questo?'' chiese allibita, mentre sentiva la rabbia montare dentro di lei come il vapore in una pentola a pressione. ''Lei è un patriota! Sa bene quali siano le potenzialità di questo paese! Se il PLB avesse pieni poteri, le cose cambierebbero in meglio per tutti!''
''Definisci, tutti'' ribatté Antonio tranquillo.
Gabriela lo fissò senza capire, ma lui le venne in soccorso prima che potesse riprendersi dallo shock.
''Tu ed io abbiamo le stesse idee, ma quelli lassù, no'' disse gelido scuotendo la testa. ''Loro hanno un'unica cosa in testa''.
Sollevò la mano destra a mezz'aria, irrigidendo le dita in quella che doveva essere l'imitazione di una bocca spalancata, per poi chiudere e aprire la mascella a ripetizione.
''Mangiare, mangiare e mangiare. Solo questo. Il resto del tempo lo sprecano tra sparare cazzate, fare promesse che non hanno alcuna intenzione di mantenere, e ogni tanto, farci cadere addosso qualche briciola per tenerci buoni''. Alzò l'indice con fare eloquente. ''Ma solo qualche briciola, non di più, se no diventiamo ingordi. Solamente loro si possono permettere questo privilegio''.
''Quelli del PPB lo fanno'' ribatté Gabriela accalorandosi, ''non i nostri!''
Antonio ridacchiò.
''Hai mai acceso la tv negli ultimi trent'anni, ragazzo?'' chiese beffardo. ''C'è un cazzo di scandalo ogni fottuta settimana. Sia che governi l'uno o che governi l'altro. Per restare fiduciosi, bisogna essere imbecilli''.
''Le vecchie gestioni hanno commesso numerosi sbagli, ma adesso la situazione è diversa'' spiegò Gabriela sulla difensiva. ''Da quando c'è Gabriela le cose non sono più come in passato''.
''Certo, come no'' convenne Antonio sprizzando sarcasmo. ''L'ultima merdata fatta da quel Guimarães ne è proprio un esempio lampante''.
Le guance di Gabriela si tinsero di porpora.
''Quello è stato un semplice malinteso'' disse nervosa, ''che l'opposizione e i media hanno cercato di strumentalizzare affinché sembrasse uno scandalo''.
Antonio alzò un sopracciglio.
''Farlo apparire?''
''Sì...''
L'espressione glaciale di Antonio la costrinse ad ammorbidire il tono.
''Insomma, far passare una certa situazione per qualcosa di completamente diverso rispetto alla realtà''.
''A me sembrava abbastanza chiara''.
''Sono quei dannati giornalisti che l'hanno venduta così!'' sbottò Gabriela con impazienza. ''La verità è ben diversa''.
''Ok, e allora dimmela tu la versione corretta della storia'' replicò Antonio curvandosi verso di lei. ''Pensi sul serio che mentre quel brutto grassone si faceva pagare mutuo della villa, auto sportiva e soggiorno in un resort ad Angra dos Reis, comprensivo di caviale, champagne e puttane extra lusso, lo faceva per il bene del paese?''
''Tutte quelle informazioni si basano su indizi fabbricati ad arte'' insistette Gabriela distogliendo lo sguardo. ''Non esistono prove certe''.
''Compresi quei video di lui che accetta valigette di contanti e palpa il culo a ragazze sulla spiaggia?''
''Al giorno d'oggi i video si possono manipolare facilmente''.
''E i soldi, e la casa, e la macchina, e i biglietti d'aereo?'' la incalzò Antonio implacabile. ''Vuoi farmi credere che anche quella Lamborghini fosse fatta di cartone?''
Non sapendo come rispondere a quelle accuse, Gabriela mosse le labbra senza emettere alcun suono e, prendendolo come un segno di resa, Antonio ricadde soddisfatto contro lo schienale della poltrona.
''Andiamo, ho la nona primaria, ma a fare due più due ci riesco anch'io''.
Sentendo di star perdendo lo scontro, Gabriela iniziò a sudare. Dannazione, era difficile. Non che lei non fosse abituata ai dibattiti televisivi, tutt'altro. Da un punto di vista oggettivo, era una delle migliori. Probabilmente, la migliore. Tuttavia, fronteggiare un giornalista o un politico del partito avverso era cosa ben diversa dal discutere con un elettore che ha votato per te. Non puoi rispondere alle critiche insultando l'elettore.
''Non si faccia trarre in inganno dalla gente sbagliata'' disse quasi disperata. ''Quei media lavorano per il PPB. I loro non sono altro che sporchi tentativi di infangare il governo e i suoi ministri. Vogliono gettare discredito sull'esecutivo, così da potersene avvantaggiare alle elezioni. Si tratta solamente di un meschino complotto. Tutto qui''.
Lo sguardo che le restituì Antonio fu assai peggio di una fucilata in pieno petto. La sua espressione era quella di un adulto alle prese con un bimbetto po' tonto, che stava cercando di spiegargli di come la luna fosse fatta veramente di formaggio. Una sorta di pacifica indulgenza.
Non riuscendo a sostenere quella vista, Gabriela chinò il capo, sconfitta. Non aveva speranze di convincerlo, per la stessa ragione per cui non sarebbe mai riuscita a convincere un militante del PPB a votare per il suo partito. Sapeva che quanto stava dicendo non era vero, perché in fondo non ci credeva neppure lei.
Non poteva mettere la mano sul fuoco per ognuno dei suoi seguaci. In realtà, dubitava di poterlo fare anche per quei pochi di cui credeva di potersi fidare. I dubbi erano troppi e lei non aveva abbastanza mani da bruciare.
La verità era che, a parte sé stessa, non avrebbe scommesso sulla correttezza di nessuno. Perché era così che funzionava il gioco. Non esagerare con le domande e ridurre al minimo curiosità e scrupolo. Il prezzo che aveva dovuto pagare per non andare al governo da sola. Chiudere un occhio quando possibile, e tutti e due quando necessario.
Forse intenerito dal modo in cui fissava il tavolino con aria smarrita, Antonio si sporse dalla propria poltrona, e dopo averla convinta ad incrociare nuovamente il suo sguardo sfiorandole la spalla, le si rivolse in tono paterno.
''Ragazzo, tu sei giovane e idealista, ma io ho sul groppone qualche anno più di te, e se c'è una cosa che ho imparato è questa''. Inarcò le sopracciglia con aria eloquente. ''La politica è un porcile. È nel porcile ci stanno i maiali''.
Ignorando l'espressione sconvolta di Gabriela, si mise a contare sulle dita.
''PLB, PPB, Pchisenefotte, stessa solfa. Branco di ladri e sanguisughe. E le sanguisughe succhiano. Devono farlo, se vogliono vivere. E il loro concetto di vivere è parecchio diverso dal nostro''.
Gabriela cercò di dire qualcosa, ma Antonio proseguì senza permetterle di interromperlo.
''Quando eleggi qualcuno, è un punto che devi sempre tenere in conto'' disse levando l'indice. ''Non importa a chi sia affiliato il politico a cui dai le chiavi. Quello è una sanguisuga. E come tale, succhierà. Alcuni lo fanno di più, altri di meno, ma ci puoi scommettere le palle che, se può fregarti, quello ci andrà giù duro''.
Alzò la mano ad altezza viso e la chiuse a pugno con forza.
''E te lo infilerà su per il culo. Non illuderti del contrario, questa non è una fiaba. È il mondo vero. E il mondo vero è una merda''.
''Non è così per tutti'' farfugliò Gabriela.
''Vuoi farmi un nome?''
''Gabriela è diversa'' rispose lei con passione.
''Gabriela è una degna rappresentante della sua razza'' concesse Antonio abbozzando un sorriso. ''Parla bene, ha ottime idee, mi sta pure simpatica, ma esattamente come tutti gli altri, è una sanguisuga del cazzo''.
''Lei non lo fa!'' squittì Gabriela con voce acuta. ''Ne sono certo!''
Antonio le rivolse un'altra occhiata comprensiva, e poi si strinse nelle spalle.
''Fosse anche, ciò non cambia la sostanza'' disse asciutto. ''Se non lo fa lei personalmente, si limita a reggere il sacco agli altri. Come il palo nei colpi in banca. Se vogliamo vederlo come un simbolo di nobiltà...''
Sentendosi abbattuta come solo pochissime altre volte lo era stata in vita sua, Gabriela tornò a fissarsi i piedi, mentre Antonio ricadeva con un tonfo sulla poltrona.
''E comunque, poco importa'' aggiunse con noncuranza, gli occhi fissi sullo schermo della tv. ''Che i maiali si abbuffino pure, se proprio non resistono. Per quanto mi riguarda, finché tengono basse quelle tasse di merda, e non vengono a rompermi i coglioni se sparo in testa a qualche stronzo che prova a rubarmi nel negozio di notte, a me sta bene. Il resto non mi interessa''.
Un silenzio lugubre calò nel retrobottega. Quando Gabriela si decise finalmente ad infrangerlo, la sua espressione era apatica e spenta come quella di una salma.
''Anche i suoi amici la pensano tutti come lei?'' domandò mesta.
''Chi più chi meno, ma la maggior parte sì'' rispose Antonio senza distogliere lo sguardo dalla partita. ''L'unica differenza è che non lo vanno in giro a sbandierare. Come dicevo, l'ipocrisia dilaga''.
''Già'' convenne Gabriela in un sussurro.
Ipocrisia. Su questo punto Antonio aveva ragione da vendere. Quella era proprio una caratteristica fin troppo comune. Un vizio da codardi. Un vizio da deboli. E Gabriela Carvalho non era debole.
Quando il suo sguardo si spostò dal pavimento al centrotavola sopra al tavolino, lei sapeva già cosa fare.
''No!''
L'esclamazione improvvisa di Antonio colse Gabriela alla sprovvista, facendola sussultare.
''Che succede?''
Senza curarsi di risponderle, il negoziante scattò in piedi come una furia, e raggiunse in tutta fretta la televisione. Ad appena cinque minuti dalla fine della partita, i Botafogo avevano fatto gol.
''Bastardo!'' ringhiò fuori di sé. ''Inutile pezzo di merda! Lurido idiota! Ce l'avevi lì! Ce l'avevi davanti!''. Si prese la testa tra le mani. ''Ma che tu guarda un po' che coglione! Era così semplice! Era una puttanata! E te lo sei fatto sfuggire lo stesso! E proprio adesso poi! Sto rotto in culo del cazzo!''
Il suo sfogo proseguì con l'irruenza di un fiume in piena per ancora diversi minuti, ma quando Antonio si mise ad agitare il pugno chiuso davanti la tv, come se fosse in procinto di attraversare il display e prendere personalmente a cazzotti il portiere dei Palmerias, Gabriela era già scomparsa, e dal centrotavola sopra al tavolino mancava un mazzo di chiavi.
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