Una coppia di ragazzi intenti a scambiarsi qualche frase sdolcinata a bassa voce passò davanti alla panchina su cui era seduta, ma Gabriela non ci badò. Anche se non avesse avuto gli occhi chiusi, e la testa altrove, non le sarebbe importato di meno.
Ormai odiava troppo la gente e il mondo perché potesse interessarle ciò che facevano o pensavano gli altri. D'altronde, se lei si trovava in quella situazione, la colpa era solo loro. Se soltanto l'avessero aiutata quando gliel'aveva chiesto, a quell'ora sarebbe stata decisamente meglio.
Invece cosa aveva ottenuto? Risposte sprezzanti, minacce di morte, insulti e calci. Neppure la più piccola briciola di gentilezza o generosità le era stata accordata, manco fosse un pezzo di carne qualunque privo di identità. Meno che umana.
Come potevano comportarsi così? E soprattutto, perché era costretta a dover dipendere dagli altri per il proprio sostentamento? Cosa aveva fatto per meritare un simile destino?
Gabriela Carvalho non aveva mai elemosinato l'aiuto di nessuno. Era lei che elargiva favori, non quella che andava strisciando a chiederli!
In quel mondo però le cose funzionavano diversamente. Lì il suo status non l'avrebbe aiutata. Niente e nessuno l'avrebbe fatto. Dopo oltre mezzora di silenziosa riflessione, era questa la conclusione a cui era giunta. Per quanto assurdo potesse apparire, quella sorta di folle incubo ad occhi aperti in cui si trovava costretta a vivere, era reale. Reale quanto il freddo del ghiaccio o il calore del fuoco. Non sapeva perché ci fosse finita, men che meno come uscirne, ma la cruda realtà era questa. Svegliarsi era impossibile, perché lei era già sveglia.
Un soffio di vento le scompigliò i capelli, portandole alle narici il tanfo proveniente dalla sua maglietta. Nonostante l'avesse lavata più e più volte sotto al getto di una fontanella, il puzzo di pesce non se n'era andato. L'unica nota positiva era che adesso non fosse più fradicia. Tuttavia, si sentiva comunque sporca, e il desiderio di farsi una doccia la perseguitava come la sensazione di unto sulla pelle. A dire il vero, non sapeva nemmeno se esserne rattristata. Se non altro, non avrebbe dovuto rivivere la terribile esperienza che aveva sperimentato quando si era levata la t-shirt.
Nel momento in cui i suoi occhi si erano posati su ciò che una volta era stato il suo petto prosperoso, Gabriela aveva pianto di nuovo. Aveva sempre amato il proprio seno. Era una parte di lei, dopotutto. Come i suoi capelli o il bel viso che tanti complimenti le aveva procurato. Pure questo le avevano tolto.
Il suo essere donna. La sua femminilità. Il suo essere sé.
Quel ragazzo che invece si trovava costretta ad impersonare le risultava del tutto estraneo. Non rappresentava niente per lei. Come un vestito troppo stretto appartenuto a qualcun altro. Qualcuno col quale condivideva unicamente l'aria che respirava.
La prospettiva di essere bloccata in quella forma la atterriva e disgustava ben più di quanto lo facesse il puzzo di pesce di cui non era riuscita a liberarsi. Una maledizione senza via d'uscita. Qualcosa di innaturale e immondo, al pari di un puma costretto a vivere da pecora.
Io sono Gabriela Carvalho. Gabriela Carvalho. La donna che governa il Brasile. La presidente. Colei che guiderà il paese verso ambiziosi traguardi e un futuro prospero. Io sono Gabriela Carvalho.
A dispetto del suo impegno, il mantra che continuava a ripetersi nella testa non riusciva in alcun modo a rassicurarla. E d'altronde, non avrebbe potuto essere diversamente. Troppe cose non quadravano. Troppe cose non avevano un senso.
Se lei era davvero...stata Gabriela Carvalho, come mai ora si trovava in quel corpo, e perché non aveva alcuna memoria relativa a quest'ultimo?
Che fosse pazza? Come quei matti dentro ai CAPS, che erano convinti di essere Napoleone o Bolívar? Sul serio aveva creduto di essere Gabriela Carvalho al punto da resettarsi la memoria per sostituirla con un'altra completamente inventata?
No, non poteva accettarlo. Non ci riusciva. Manco fosse un pensiero ignobile, il suo cervello si rifiutava di riconoscerlo per vero. Ma allora come si spiegava quell'assurda situazione? Insomma, era un sogno, o no? Dormiva oppure era già sveglia? E se lei si trovava nel corpo di quel ragazzo, chi stava dentro al suo?
Mentre lei era lì, chi impersonava Gabriela Carvalho?
Le assi di legno della panchina cigolarono e Gabriela riaprì gli occhi. L'uomo che si era seduto accanto a lei indossava un ampio giaccone verde oliva e sulla testa calzava un cappello da baseball col logo del Flamengo. Tuttavia, fu solo quando lo ebbe visto in faccia che la paura la spinse a sussultare.
Dietro quella folta barba ormai più bianca che grigia, si celava infatti un viso abbronzato dal sole e segnato dal tempo, su cui in quel momento aveva fatto capolino un sorriso giallastro, da cui mancavano all'appello diversi denti. Quale che fosse l'identità dello sconosciuto, non c'erano dubbi sulla sua condizione. Sebbene non ne vedesse uno da almeno un decennio, sapeva ancora riconoscere un vagabondo.
''Tranquillo, mica mordo'' la rassicurò lui, senza smettere di sorridere.
Ripresasi dallo shock iniziale, Gabriela distolse lo sguardo e tornò a fissare il parchetto semideserto che aveva davanti, anche se questa volta si guardò bene dall'abbassare le palpebre.
''Non ho soldi da darti'' disse asciutta.
''Perdonami se sarò schietto'' esordì lo sconosciuto, ''ma detto francamente, tu sei l'ultima persona in tutta Sorocaba a cui chiederei la carità nel caso ne avessi bisogno''.
''Sono messo così male?'' chiese Gabriela con una punta di stizza.
''Semplicemente hai l'aria di qualcuno che ha passato un brutto momento''.
Venir commiserata...da un barbone? Cercando di trattenere la rabbia che minacciava di esploderle in petto, Gabriela serrò i pugni, e continuando a scrutare un punto imprecisato ai confini del parco, si costrinse a rispondere. Anche se ce la stava mettendo tutta per mantenere un tono pacato, la tentazione di dar sfogo al proprio livore era quasi insopportabile.
''Si sbaglia'' ribatté gelida, ''io sto benissimo''.
''Beh, se lo dici tu'' disse il vagabondo scrollando le spalle. ''Ma allora mi spieghi perché puzzi come se avessi fatto il bagno nella frittura di pesce?''
Lì per lì Gabriela fu tentata di replicare di nuovo, ma proprio quando stava per aprir bocca, si rese conto di non esserne in grado. Come diceva sempre Javier, a meno di non avere per interlocutore un completo imbecille, negare l'evidenza era una tattica controproducente.
''È una lunga storia'' ammise in un sospiro.
''Io ho parecchio tempo'' la informò il vagabondo, adagiandosi contro lo schienale della panchina.
Gabriela strinse i denti.
''Non...''
Un vigoroso brontolio le impedì di concludere la frase.
''A quanto pare il tuo amico vorrebbe farci sapere la sua versione'' notò il vagabondo con manifesta allegria.
Fingendo di sistemarsi una ciocca di capelli, Gabriela abbassò lo sguardo, mettendosi a fissare il terreno spoglio sotto i suoi sandali. Non voleva che quello sbandato notasse il rossore sulle sue guance.
''Non è come sembra'' bofonchiò evasiva, in un disperato tentativo di apparire sicura di sé. Il risultato fu assai dubbio.
''Eh, già l'apparenza inganna'' commentò il vagabondo con finta accondiscendenza. Infilò la mano sotto al giaccone, e dopo averne tirato fuori un pacchetto avvolto nella carta stagnola grande pressappoco quanto un pugno, lo porse a Gabriela. ''Coraggio, tieni''.
''Cos'è?'' chiese lei, scrutando sospettosa il misterioso pacchetto.
''Una bomba a forma di panino, mi pare ovvio'' rispose sarcastico il vagabondo.
L'espressione di Gabriela non si ammorbidì.
''Non l'ho trovato nella spazzatura, se è questo che temi'' aggiunse l'uomo inarcando le sopracciglia. ''Una mia amica che lavora al Confiança me ne tiene sempre da parte un paio''.
''Glieli compra?'' domandò Gabriela sgranando gli occhi.
Il vagabondo scoppiò a ridere.
''Ma che comprare'' ribatté divertito. ''Se non li desse a me finirebbero nel cassonetto. Tu non hai idea di quanto roba buona ogni giorno buttino via i supermercati. Ci sarebbe da scandalizzarsi se non mi permettessero di tirare avanti nei giorni di magra''.
Pur essendo enormemente tentata, Gabriela non mosse un muscolo, limitandosi a scrutare quel pacchetto argentato con occhi bramosi e un'espressione combattuta in volto. A giudicare dall'intensità del suo sguardo, sembrava quasi che stesse tentando di assimilare le calorie del panino semplicemente fissandolo.
''Avanti, prendilo!'' sbottò il vagabondo con impazienza. ''È solo un bauru. È buono il bauru''.
Nonostante una parte di lei la stesse supplicando di rifiutare, un'altra, una molto vicina al suo stomaco, la pensava diversamente. Afferrato l'involto senza dire una sola parola, Gabriela lo scartò, e dopo aver rimirato per qualche istante le fette di roastbeef, formaggio e pomodori contenute nel panino, se lo portò alla bocca e vi affondò i denti.
Un sapore celestiale le invase il palato mentre masticava con foga il panino, e sebbene fosse consapevole di comportarsi da totale irresponsabile, il pensiero di fermarsi non la sfiorò nemmeno. Che andasse al diavolo la logica o il galateo.
Aveva troppa fame per prestare attenzione a certi dettagli. Persino il fatto che stesse mangiando qualcosa offertogli da un vagabondo, che conosceva da neanche cinque minuti, sembrava in quel momento una trascurabile minuzia. Meglio morire da stupida con la pancia piena, che crepare di inedia.
Nel frattempo, vedendola mangiare con tale voracità, lo sconosciuto curvò le labbra in un sorriso soddisfatto.
''I primi tempi è dura per tutti'' commentò con leggerezza, ''ma non ti preoccupare. A vivere così, in poco tempo ci si abitua''
Anche se era ormai arrivata a metà panino, dopo aver inghiottito l'ennesimo boccone, Gabriela si costrinse a fare una pausa.
''Così come?''
''Sai, no?''. Le scoccò un'occhiata eloquente. ''Da senzatetto''.
Le guance di Gabriela si fecero paonazze.
''Io non sono un senzatetto!'' sbottò indignata.
Per nulla colpito dalla sua affermazione, il vagabondo si limitò ad alzare un sopracciglio. Presa in contropiede, Gabriela distolse lo sguardo.
''Sono...sono solo rimasto chiuso fuori di casa, ok?''
''Ma guarda un po' che coincidenza'' gongolò divertito il vagabondo, ''anch'io sono rimasto chiuso fuori di casa. Il problema è che non mi hanno più fatto rientrare''.
Gabriela scosse leggermente il capo.
''Non intendevo questo''.
''Ognuno ha il suo modo di chiamarlo'' disse il vagabondo stringendosi nelle spalle. ''L'importante è non lasciarsi scoraggiare. Al mio amico Bernardo piace definirsi proprietario di un attico open space con vista sul marciapiede''.
Non sapendo come commentare quelle parole, Gabriela riprese a mangiare, anche se la voracità ferina dimostrata all'inizio del pasto sembrava ormai essersi volatilizzata, insieme a buona parte del suo appetito.
Quando ebbe finito, e del bauru non restavano che poche briciole sparse sul terreno, il vagabondo tirò fuori un altro panino, e mentre cominciava a scartarlo dal suo involucro di carta stagnola, Gabriela inghiottì l'ultimo boccone e ruppe il silenzio.
''Ne verrò fuori'' annunciò annuendo con sicurezza.
''Venire fuori da cosa?'' domandò lo sconosciuto, continuando a scartare il proprio panino.
''Da questo, da tutto questo'' rispose Gabriela abbracciando il parco con lo sguardo. ''L'unico problema è capire come''.
''Mia madre diceva sempre che chi ben comincia è a metà dell'opera, anche se chi ben comincia col portafogli gonfio parte decisamente più avvantaggiato''. Finito di scartare il panino, accartocciò l'involucro di carta stagnola, e dopo aver fatto lo stesso con quello abbandonato da Gabriela sulla panchina, se li infilò entrambi in tasca. ''Per me è tardi, ma tu sei ancora giovane. Trova il modo di riempirlo e sarai a cavallo''. E senza aggiungere altro, addentò il panino.
''Non mi serve denaro'' replicò Gabriela.
''I soldi non fanno la felicità, giusto'' confermò il vagabondo, subito dopo aver inghiottito il primo boccone, ''tuttavia, se fossi in te, mi risparmierei questa massima per qualche battuta ad una serata tra amici. Possibilmente con addosso un vestito meno vecchio di un decennio''.
''Ho tutti i soldi che mi servono, e anche di più'' ribadì Gabriela con decisione. ''Devo solo avere pazienza e allora potrò riaverli indietro. Insieme a tutto il resto''.
Smettendo improvvisamente di masticare, il vagabondo fissò la propria interlocutrice con espressione indecifrabile, e dopo qualche secondo di silenziosa riflessione, inghiottì il boccone.
''Domanda, stiamo ancora parlando per metafore, oppure mi sono perso qualcosa?'' chiese tra il serio e il faceto. ''D'accordo che una volta insegnavo filosofia, ma sono un po' arrugginito per certe cose''.
Nonostante non fosse certo lui la prima persona a cui sarebbe andata a dire una cosa simile, Gabriela dovette convenire che in fin dei conti non faceva alcuna differenza a chi confessava i suoi pensieri. Tenuto conto della situazione in cui si trovava, parlare con quel barbone o ad uno degli alberi che spuntavano a qualche metro dalla panchina, era più o meno la stessa cosa.
''Niente di tutto questo è reale'' affermò risoluta. ''Tutto ciò che vedo, che sento, che mangio, tutto finto. Sta avvenendo solo nella mia testa. Questa panchina non è reale. Il panino nel mio stomaco non è reale''. Si voltò per scoccare una fugace occhiata al vagabondo. ''Tu non sei reale. Nulla è reale''. Annuì con enfasi, come per rispondere ad una domanda fatta da qualcuno di invisibile. ''Presto mi sveglierò, e allora ogni cosa tornerà al suo posto''.
Dato che, al termine del suo sfogo il barbone non disse nulla, Gabriela si voltò a guardarlo. L'espressione sul volto dell'uomo era abbastanza curiosa, e ricordava molto quella di qualcuno incappato suo malgrado in una circostanza spiacevole, di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
''Cosa c'è?'' gli chiese lei aggrottando le sopracciglia.
''Niente'' rispose evasivo il vagabondo, distogliendo lo sguardo. ''Tutto ok''.
E come mettere un punto alla faccenda, diede un altro morso al panino.
''A me non sembra'' notò Gabriela scettica.
''L'avevi detto tu stesso, no?'' disse il vagabondo con la bocca ancora mezza piena. ''L'apparenza inganna''.
Inghiottito il boccone, diede una rapida sbirciata verso di lei, ma quando ebbe incrociato il suo sguardo, parve rendersi conto di non poter sostenere ancora quella recita, e allora emise un profondo sospiro.
''Senti, ragazzo, non voglio offendere''. Storse la bocca in una smorfia difficilmente equivocabile. ''Ma, cavolo, sei proprio fuori come un balcone. Sicuro di non aver preso qualcosa di un po' troppo forte?''
Gabriela sgranò gli occhi.
''Io non ho preso niente'' ribatté con una vocetta acuta per nulla convincente.
''Sul serio, lo dico per il tuo bene'' insistette il vagabondo con sincera cortesia. ''Sta alla larga da certe porcherie. Ho visto tante brave persone fare una brutta fine solo perché cercavano di stare meglio e non pensare alla loro situazione''. Scosse la testa con aria eloquente. ''Fidati, non ne vale la pena''.
Gabriela non avrebbe potuto essere colpita di più, nemmeno se al posto di parlarle quell'uomo le avesse rifilato un ceffone. Era appena stata scambiata per una tossica degna di commiserazione...da un barbone. Trattenere le lacrime non era mai stato così difficile.
''Ehi, tu! Sì, dico a te!''
Si sentiva talmente male che non si era accorta del rumore di passi in rapido avvicinamento, né delle ombre intente ad avanzare sul terreno, sovrapponendosi alla luce del lampione dietro di loro. Fu solo quando quella voce maschile riecheggiò per il parco che Gabriela rialzò la testa.
Un gruppo di ragazzi in età da liceo stazionava ad appena cinque metri dalla panchina su cui era seduta insieme al vagabondo. Nel momento in cui incrociarono lo sguardo con quest'ultimo, sul volto del giovane più alto della banda si materializzò un sorriso perfido.
''Ci si rivede, eh?'' chiese beffardo.
Il vagabondo sospirò.
''Oh, cazzo''.
Gabriela lo aveva appena sentito sussurrare quell'ingiuria, quando l'anziano barbone si rimise in tasca ciò che restava del suo panino, per poi alzarsi dalla panchina.
''Sentite, non voglio grane'' disse andando incontro al gruppo di ragazzi.
''Infatti non cerchiamo grane'' ribatté il ragazzo alto con semplicità, ''ci interessano solo i vecchi stronzi''.
Gabriela deglutì. Dovunque volesse andare a parare quella conversazione, non prometteva niente di buono.
''Forse sarò anche vecchio, ma perlomeno ho ancora un cervello'' ribatté il vagabondo scrollando le spalle.
Un paio di ragazzi grugnirono qualche maledizione in risposta, e a giudicare dal modo in cui serrarono i pugni, sembravano anche pronti a trasformare le loro minacce in parole. Tuttavia, il ragazzo alto li trattenne con un gesto del braccio. Il sorriso sul suo volto non avrebbe potuto essere più inquietante. Fasullo e vuoto come solo la crudeltà sapeva esserlo.
''Bene, bene, sapientone, allora analizza questo''. E risucchiando saliva nella bocca, gli sputò in faccia.
Gabriela trattenne il fiato. Mentre i ragazzi scoppiavano a ridere, il vagabondo si limitò a pulirsi la faccia sulla manica della giacca, poi, con ostentata disinvoltura, fece per voltarsi. Il giovane alto cercò di richiamarlo afferrandolo per la spalla, e a quel punto la situazione precipitò.
Reagendo con una prontezza insospettabile per la sua età, il vecchio sferrò un pugno alla mascella del ragazzo che lo tratteneva, e dopo averlo fatto barcollare all'indietro gli fu di nuovo addosso, pronto a colpirlo una seconda volta. Il suo coraggioso assalto ebbe vita breve.
Intercettato da ben tre ragazzi diversi, il vagabondo fu dapprima immobilizzato, e dopo un paio di cazzotti ben assestati al volto e ai fianchi, cadde a terra, apparentemente privo di sensi.
A ciò che seguì, Gabriela fece molta fatica ad assistervi. Il modo in cui quei teppisti prendevano a calci il vagabondo le ricordava fin troppo il pestaggio che lei stessa era stata costretta a subire appena poche ore prima, e anche se non avvertiva dolore, ogni pedata che vedeva infliggere era come un pugno dritto al suo stomaco.
Non voleva soffrire ancora. Mai più!
Stava ancora cercando di distogliere lo sguardo da quella scena agghiacciante, che trovava atroce e irresistibile al tempo stesso, quando uno dei ragazzi impegnati a prendere a calci il vecchio inerme, parve ricordarsi della sua presenza, e scoccandole un'occhiataccia velenosa le puntò l'indice contro.
''E tu che hai da guardare?!'' esclamò con rabbia.
Mentre una scarica elettrica le attraversava la spina dorsale, un gridolino spaventato sfuggì dalle labbra di Gabriela, ma lei non mostrò esitazioni.
Cogliendo al volo il messaggio, scattò subito in piedi, e dopo aver aggirato la panchina, corse di filato verso l'uscita del parco. Aveva percorso a malapena una decina di metri, quando inciampò in un sasso nascosto nell'erba, che la fece cadere al suolo. Tuttavia, anche dopo che ebbe ripreso la fuga, Gabriela non si voltò.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top