Capitolo 3 - Il mercato
Quello che era appena successo, rappresentava un'ingiustizia bella e buona. Insomma, che razza di sogno assurdo era mai quello? Come pensava il suo cervello che arrivasse a Rio se non poteva nemmeno pagarsi il viaggio? Pretendeva forse che ci arrivasse a piedi?!
O magari, aveva semplicemente scelto il mezzo sbagliato. Forse, il pullman non era...la strada giusta. Ne aveva sentito parlare una volta. Com'è che venivano chiamati? Ah, sì, videogiochi su binari. All'apparenza sembravano offrire molte alternative e opzioni tra cui scegliere, ma nei fatti il giocatore non poteva mai deviare dal percorso prestabilito dai programmatori. Tutto era già stato deciso in partenza. Possibile che per la sua mente le cose funzionassero allo stesso modo?
In un caso o nell'altro, doveva tentare. Non poteva restarsene ferma senza quantomeno fare un altro tentativo. Più tempo rimaneva in coma, e maggiori erano le probabilità che non riuscisse più a svegliarsi. Una prospettiva che le faceva accapponare la pelle al solo pensiero.
Smettendo improvvisamente di avanzare lungo il marciapiede, Gabriela raggiunse il margine della strada, e stendendo il braccio verse le auto in arrivo, alzò il pollice come a voler fare l'autostop. Passò un minuto, poi due, poi tre, e poi cinque, ma nessuno si fermò e quando un grosso SUV per poco non le mozzò di netto la mano sfrecciandole accanto ad ottanta all'ora, preferì non proseguire oltre.
Di fronte a quell'ennesimo fallimento, Gabriela strinse i denti in preda alla rabbia. Di sicuro, il suo cervello non le stava rendendo la vita facile. Eppure ci doveva pur essere un modo giusto di fare le cose. Taxi? Non pervenuti. Pullman? Già provato. Autostop? Niente da fare. Cosa restava, allora? Maratona a piedi? Viaggio a dorso di mulo?
La situazione era così fuori di testa, che se non fosse stata lei quella a trovarsi nella merda fino alle ginocchia, sarebbe quasi scoppiata a ridere. Lo strimpellare di un musicista intento a chiedere l'elemosina dall'altro lato della strada riuscì a fornirle l'ispirazione che cercava.
E se si fosse fatta pagare il viaggio sul Viação Cometa da qualcun altro? Dopotutto, cosa poteva mai costare un biglietto per San Paolo? Quaranta-cinquanta reais al massimo? Non era molto. Proprio per niente. Forse aveva finalmente trovato la strategia giusta.
Tuttavia, le furono sufficienti appena un paio di minuti per rendersi conto che, a dispetto delle sue ottimistiche previsioni, la gente fosse assai poco propensa a separarsi financo da cinquanta miseri reais, liquidandola con battute così simili tra loro che sembravano fabbricate con lo stampino.
''Non ce li ho''.
''Sono di fretta''.
''Ho solo la carta''.
''Chiedi a qualcun altro''.
''Non ho il portafoglio''.
''Non sono dell'umore''.
Dopo il terzo che le aveva risposto in quel modo, Gabriela non resse più alla tensione, tanto che gli gridò dietro: ''A chi lo dici!''
Capendo fosse inutile chiedere ai passanti, decise di tentare con gli automobilisti in coda davanti al semaforo, ma anche con quelli non ebbe maggior fortuna. Quasi tutti si limitavano ad ignorarla, ostinandosi a tenere lo sguardo puntato sulla strada, fingendo che non esistesse persino quando osava battere sul finestrino. Stava per gettare la spugna un'altra volta, quando vide una Berlina tirata a lucido ad appena una decina di metri da dove si trovava.
Nel momento in cui l'ebbe raggiunta, scoprì che aveva i finestrini oscurati, ma provò comunque a fare un tentativo. A giudicare dal modello che guidava, chiunque fosse a bordo non avrebbe avuto problemi a regalargli qualche decina di reais.
''Mi scusi'' disse Gabriela dando un paio di colpetti sul vetro.
Nessuno rispose e il finestrino rimase alzato.
Dato che il verde avrebbe potuto scattare da un momento all'altro, Gabriela gettò al vento l'educazione e bussò di nuovo.
''Mi scusi!'' ripeté colpendo il vetro con più forza.
Non aveva ancora staccato la mano dal finestrino, che questo cominciò ad abbassarsi. Finalmente!
''Grazie'' esordì sollevata. ''Mi potrebbe dare...''
Le parole le morirono in gola, perché la volata di una pistola le premette sulla fronte prima ancora che fosse riuscita a concludere la frase. L'uomo sul sedile del passeggero che impugnava l'arma, la trafisse con uno sguardo penetrante che lasciava molto poco all'immaginazione, tuttavia, Gabriela quasi non se ne accorse neppure. La sua attenzione era interamente focalizzata sul pezzo di metallo che le premeva sulla fronte, minacciandola di una morte istantanea al minimo passo falso.
''Fuori dai coglioni o ti faccio saltare quella testa di cazzo che ti ritrovi'' sibilò gelido lo sconosciuto armato.
In un gesto istintivo, Gabriela alzò le mani, in quel momento scosse da un violento tremore, e sforzandosi di non crollare svenuta sul posto, aprì la bocca per parlare.
''O-ok, ok'' balbettò in preda al panico.
Pochi istanti dopo il semaforo tornò verde, lo sconosciuto ritrasse il braccio dentro l'abitacolo, e mentre il finestrino tornava a sollevarsi, la Berlina riprese ad avanzare lungo la strada insieme alle altre auto.
Nonostante il traffico avesse ricominciato a scorrere e le macchine le stessero passando davanti ad appena qualche centimetro dai piedi, Gabriela non si mosse. Il suo corpo era come paralizzato e il cuore le batteva con tale veemenza che temeva stesse per venirle un infarto. Quando finalmente riuscì a calmarsi abbastanza da tornare sul marciapiede, il semaforo era già diventato rosso e le sue gambe sembravano aver assunto la stessa consistenza della gelatina.
Ricevuto. Pessima idea. Mai più. Mai più.
Probabilmente aveva frainteso. Ormai era evidente che il suo cervello non voleva che andasse a Rio. Doveva restare dove si trovava, invece. Restare lì e...e...beh, si sarebbe fatta venire in mente qualcosa. Prima o poi. L'importante era non correre rischi inutili. Non aveva idea di cosa sarebbe accaduto se fosse morta dentro a quel sogno, ma se esisteva una cosa di cui ora si sentiva assolutamente certa, era che lei non aveva la benché minima voglia di scoprirlo.
Un vigoroso brontolio la riscosse da quei pensieri, anche se le ci volle un po' per capire che fosse stato il suo stomaco ad emetterlo. In effetti, aveva una certa fame. In realtà, aveva una fame tremenda. Perché se ne accorgeva solo ora? Ad ogni modo, doveva fare qualcosa in merito. Ma come? Senza soldi non poteva comprare niente!
Tuttavia, il fatto che non avesse denaro addosso non significava che ne fosse del tutto sprovvista. Insomma, se il ragazzo che stava impersonando si poteva permettere di pagare l'affitto, poteva anche permettersi molte altre cose. Tipo del cibo o il biglietto del Viação Cometa.
Sì, perché non ci aveva pensato prima?! Doveva solo tornare all'appartamento e poi...chiedere ai vicini. Sì, ai vicini. Meglio non alla signora col pittbull o alla ragazza dalla sberla facile però, bastava un qualsiasi altro condomino che la conoscesse di vista. A quel punto, avrebbero chiamato un fabbro o l'amministratore, e lei sarebbe potuta entrare a cercare i soldi necessari.
Con questo nuovo obiettivo in testa, Gabriela si avviò in direzione di quella che credeva essere la strada più breve per raggiungere il condominio, soltanto per rendersi conto, dopo oltre dieci minuti, di giri a vuoto, che non riusciva più a ritrovarlo. Il fatto era che le strade in quel quartiere si assomigliavano un po' tutte, e ogni volta che credeva di aver visto un elemento familiare, non appena ci si trovava davanti, capiva di essersi sbagliata.
Nel frattempo, però, l'errore aveva finito per condurla in una via sconosciuta, acuendo ulteriormente il suo senso di smarrimento, che in breve tempo divenne bruciante frustrazione. Ad oltre mezz'ora dall'inizio della sua ricerca, non era più vicina di una virgola a rintracciare il condominio, da cui anzi, con tutta probabilità doveva essersi allontanata di parecchio.
La verità è che si era persa, e ignorando totalmente quale fosse l'indirizzo dell'edificio, le sue chance di ritrovarlo equivalevano pressappoco a quelle di imbattersi in un puma ballerino.
E come se non bastasse, nel frattempo la fame era diventata quasi intollerabile. Da quant'è che non mangiava? Possibile che fosse digiuna da così tanto? Eppure, il suo stomaco non mentiva. Quanto le sarebbe piaciuto potersi pagare un bel piatto di churrasco.
Beh, per quello magari non serviva del denaro. Poteva sempre chiedere aiuto a quelli del MESA o andare in un centro gestito dal Projeto Sopão. Certo, non gli avrebbero servito un taglio di picanha, ma una ciotola di zuppa era sempre meglio di niente. Piuttosto che patire quella fame, praticamente tutto era meglio di niente.
Dovette chiedere in giro a diverse persone prima che riuscisse a trovare qualcuno che conoscesse la posizione esatta della mensa dei poveri più vicina, ma quando ci arrivò apprese non solo che la distribuzione delle razioni serali avveniva solo dopo le 19, ma che dal venerdì alla domenica l'associazione era chiusa.
Niente cibo, quindi. E a meno che non intendesse stare a digiuno completo fino al lunedì successivo (un'ipotesi su cui non osò sprecare nemmeno un secondo), era evidente che dovesse trovare un altro modo di procurarsi da mangiare.
Per sua fortuna però, dopo aver chiesto di nuovo indicazioni a un paio pedoni, Gabriela riuscì a stabilire quale fosse la sua prossima destinazione. Le ci vollero quasi venti minuti per arrivare a quello che la gente del quartiere chiamava il feira livre, ovvero la piazza dove si radunava gran parte dei venditori di street food della zona.
Nel momento in cui varcò le soglie di quella sorta di mercato ambulante, un'ondata di profumi assolutamente indescrivibile la travolse, solleticandole le narici con aromi di carne arrostita, formaggio fuso e cibo fritto. Qualcosa capace di far venire l'acquolina persino al più sazio degli stomaci, ma che su di lei sortì lo stesso effetto di una dosa di eroina sventolata davanti al naso di un tossico. La promessa di indescrivibili piaceri a portata di mano.
Benché molto tentata dai banchetti che vendevano espetinho e coxinha, era anche consapevole che più il prezzo di un prodotto risultava elevato e meno probabile sarebbe stato convincere il venditore a cederle una porzione gratuitamente. Di conseguenza, ignorando completamente le bancarelle che proponevano spiedini di carne o polpette di baccalà, decise di dirigersi fin da subito a quello che pareva il chioschetto meno caro dell'intero mercato.
Un semplice gazebo pieghevole, sotto cui si trovavano due soli elementi: un'enorme friggitrice dalla superficie arrugginita, e un bancone di metallo sudicio e unto, completamente ricoperto da una montagna di patatine fritte.
Non sapendo se provare bramosia o disgusto di fronte a quell'ammasso marroncino trasudante olio e sale, Gabriela si mise in coda dietro l'ultimo cliente in attesa, cercando di prepararsi psicologicamente all'ennesima umiliazione di quella serata maledetta. Se il suo subconscio si fosse dimostrato caritatevole, forse sarebbe stata anche l'ultima.
Quando venne il suo turno e lei si ritrovò davanti al banchetto, il proprietario, un uomo dalla pelle scura e i capelli rasati, le rivolse un largo sorriso, che mise in mostra una chiostra di denti giallastri.
''Sera'' la salutò affabile.
''Buonasera'' rispose Gabriela, sforzandosi di ricambiare il sorriso.
''Porzione piccola, media o grande?''
Gabriela deglutì.
''Quanto viene quella piccola?'' chiese in tono noncurante.
''Otto reais''.
''E se uno ne ha di meno?''
Il venditore scrollò le spalle.
''Se non chiedi la salsa, ti faccio lo sconto di venti centavos''
''Fa anche sconti del 100%?'' domandò Gabriela, mettendocela tutta per continuare a sorridere.
Il sorriso gioviale del venditore scomparve pressoché all'istante, sostituito da un'espressione di totale sconcerto. A giudicare dallo sguardo stralunato che le rivolse, pareva quasi che gli stesse per venire un coccolone. Temendo potesse crollare svenuto da un momento all'altro, Gabriela decise di togliersi quel cerotto alla svelta.
''Vede, il fatto è che sono senza soldi, ma ho veramente molta fame. Davvero tanta'' confessò a disagio, mentre si torceva le mani in preda alla vergogna. ''Quindi, non potrebbe darmene un po'? Anche metà della porzione piccola va bene. E niente salsa''.
Con suo enorme sollievo, non appena ebbe finito di parlare, il proprietario parve tornare in sé, tant'è che le scoccò subito un sorriso radioso. Gabriela tirò un silenzioso sospiro di sollievo. Per una volta tanto, le sue speranze non erano state tradite.
''Ma vaffanculo'' disse l'uomo con gioiosa semplicità.
Colta del tutto alla sprovvista, Gabriela storse la bocca in una smorfia incredula, ma prima ancora che potesse riprendersi dallo shock, il venditore smise di guardarla manco non esistesse, e usando il braccio fece cenno ai clienti successivi di avanzare.
''Avanti il prossimo''.
Spintonandola di lato senza tante cerimonie, due ragazze palesemente obese, entrambe munite di grossi bicchieroni di soda, la superarono così da poter raggiungere il bancone.
''Che vi servo, ragazze?'' domandò allegro il proprietario.
''Due porzioni grandi'' rispose la ragazza di destra, mentre l'amica succhiava la soda nel proprio bicchiere dalla cannuccia.
''Due porzioni grandi in arrivo''.
Sconvolta e umiliata, Gabriela non poté far altro che assistere impotente mentre il commerciante serviva le due ingombranti clienti, versando con una paletta manciate su manciate di patatine fritte dentro un paio di grosse buste di carta. Quando le ebbe riempite fin quasi all'orlo, poggiò entrambe sul bancone, per poi scoccare alle ragazze un sorriso genuino.
''Ecco a voi''.
Intanto che la sua amica afferrava la propria busta senza smettere di succhiare soda dalla cannuccia, l'altra giovane fece per tirare fuori i soldi dalla borsetta, ma proprio nel momento in cui si apprestava a porgere le banconote al proprietario, Gabriela scattò in avanti, e afferrato il sacchetto superstite, si diede alla fuga attraverso il mercato.
''Ehi, stronzo, che diavolo ti salta in mente?!'' sbraitò il venditore gridandole dietro. ''Torna subito qui! Ladro! Fermate quel ladro!''
Le grida e gli insulti del proprietario continuarono a rimbombarle nelle orecchie ancora per qualche secondo, ma dopo che si fu lasciata alle spalle le prime cinque bancarelle, smise di prestarci attenzione.
Era stata una follia. Pura e semplice follia. Ma non le importava. Aveva troppa fame per pensare all'etica o alle eventuali conseguenze, l'unica cosa che contava in quel momento era far perdere le sue tracce il prima possibile, e poi trovare un posto tranquillo dove poter mangiare in pace. Solo allora si sarebbe concessa di riprendere fiato e riflettere su quanto appena fatto. Sempre che tale gesto fosse degno di una qualche considerazione. Dopotutto, se quello era il suo sogno, lei poteva rubare tutto ciò che voleva. Al diavolo la morale, Gabriela Carvalho non si sarebbe fatta affamare dal suo stesso subconscio!
Sembrava ormai in procinto di raggiungere i confini della piazza, quando individuò una stradina laterale che faceva al caso suo. Se soltanto fosse riuscita ad imboccarla, il peggio se lo sarebbe anche potuto lasciare alle spalle. Doveva solo resistere ancora un po'. Giusto il tempo sufficiente a scomparire prima che le cedessero i polmoni. La salvezza era proprio lì, appena qualche metro più in là dell'ultima bancarella.
Quella dolce prospettiva non aveva ancora assunto contorni nettamente definiti, ed ecco che la terra scomparve improvvisamente da sotto i suoi piedi, mentre il mondo si capovolgeva. Un attimo dopo, che a lei parve durare un'era geologica, Gabriela atterrò di schiena sul selciato della piazza, spandendo patatine dappertutto. Un rantolo soffocato accompagnò lo svuotamento dei suoi polmoni, poi il cielo sopra di lei venne oscurato da tre volti sconosciuti, nessuno dei quali aveva l'aria di essere amichevole. Le espressioni sui loro volti tradivano un misto di disprezzo e odio difficilmente equivocabili.
''Complimenti'' esordì sarcastico il più giovane del trio, ''bel volo testa di cazzo''.
Gabriela provò a parlare, ma tutto ciò che le uscì di bocca fu un gemito incomprensibile.
Dando prova di una totale mancanza di interesse per il suo stato, un altro uomo le strappò di mano il sacchetto di carta, che ancora stringeva tra le dita, ormai prive di forza, e ci guardò dentro.
''Ha rovesciato quasi tutto'' commentò disgustato, ''che stronzo idiota''.
''Io non...''
Il debole sussurro che le era appena sfuggito dalle labbra venne soffocato sul nascere da un forte calcio al fianco sinistro. Nemmeno il tempo di riprendersi e capire cosa fosse accaduto, ed ecco arrivarne un altro, e un altro, e un altro ancora, finché non si ritrovò bersagliata da tutte le parti.
Non avendo alcuna speranza di reagire, Gabriela cercò di proteggersi rannicchiandosi in posizione fetale e nascondendo il volto tra le mani. L'assalto però non si interruppe e i tre uomini proseguirono imperterriti nel pestaggio, apparentemente insensibili ai suoi gemiti o alle suppliche disperate che ogni tanto si sforzava di lanciare.
''Ti piace ora?!'' la sfotté il ragazzo di poco prima. ''Vedi quanto è divertente fottere la roba agli altri?!''
''Erano solo patatine!'' squittì Gabriela, il viso sempre coperto.
''E questo è il conto!''
Un calcio al costato particolarmente forte le mozzò il respiro, ma nessuno parve farci caso. Ormai era evidente che se anche se per puro miracolo fosse riuscita a non schiattare, si sarebbe potuta considerare fortunata ad uscire da quella situazione con ancora qualche osso integro in corpo.
''João, per favore, adesso basta!'' gridò una sconosciuta voce femminile. ''Così lo ammazzate!''
''No, Marta, è una questione di principio!'' ribatté il membro più anziano del trio. ''Se gliela facciamo passare liscia poi spargerà la voce che qui lui e i suoi amichetti hanno campo libero!''
''Ormai ha imparato la lezione!'' insistette la donna. ''Ti prego, João!''
Altri due calci colpirono Gabriela alle natiche e alla schiena, ma prima che potesse aggiungersene un terzo, la voce di Marta riecheggiò di nuovo. Il tono supplichevole di poco prima era stato rimpiazzato da una feroce determinazione.
', non mi costringere a chiamare Camila!''
L'ennesima pedata colpì Gabriela dritta in pancia, strappandole un gemito di dolore, tuttavia, proprio quando l'autore del gesto si apprestava a sferrarne un'altra, il leader del gruppo lo impedì poggiandogli una mano sulla spalla.
''D'accordo, basta, così può andare''.
Decidendo di approfittare di quell'ultima occasione, il ragazzo le assestò un calcio contro il polpaccio. L'uomo però non parve gradire.
''Basta così!'' ripeté asciutto.
Gabriela ci mise un po' a riaprire gli occhi, e quando lo fece la prima cosa che vide furono di nuovo i volti dei tre uomini autori del pestaggio. Sebbene non sembrassero più intenzionati a prenderla a calci, nel momento in cui João le puntò il dito contro, lei si coprì istintivamente il volto con le braccia, quasi temesse di venir fulminata da quel semplice gesto.
''Questa volta ti è andata bene, carogna'' sibilò l'uomo a denti stretti, ''ma prova ancora a farti rivedere da queste parti e rimpiangerai di non essere rimasto a casa''. E per sottolineare maggiormente le sue parole, risucchiò saliva dalla bocca e le sputò addosso.
Altri due sputi la raggiunsero poco dopo, ma Gabriela preferì far finta di niente, continuando a restare rannicchiata a terra, il viso sempre nascosto dietro le braccia. La paura le impediva di muoversi, e se non fosse stato per le scariche elettriche che le facevano sussultare i muscoli ad intervalli più o meno regolari, sarebbe stato difficile persino stabilire se fosse viva o no.
Il dolore che provava era qualcosa di semplicemente indescrivibile. Mai prima di allora era stata costretta a subire qualcosa di simile. Una tale umiliazione rappresentava senza dubbio il punto più basso di tutta la sua intera esistenza. La base della piramide di sterco e vergogna che quella sera aveva sceso incespicando un gradino alla volta. Una disgrazia che non aveva sperimentato neppure nei suoi incubi peggiori.
Senza alcun preavviso una mano le toccò la spalla, strappandole un gridolino di spavento. Non si era accorta che qualcuno si fosse avvicinato. Tuttavia, non si trattava di una presa salda, bensì di un tocco leggero, come se l'autore si stesse sforzando di non farle male.
Sebbene non fosse affatto sicura di essere ancora fuori pericolo, Gabriela si costrinse ad alzare le palpebre, così da mettere a fuoco il viso del suo salvatore. O meglio, della sua salvatrice.
Si trattava di una donna dalla pelle color cannella ormai prossima ai cinquanta, la cui capigliatura afro era di un corvino così intenso, che quasi si confondeva col nero del cielo sovrastante. Quando Gabriela incrociò lo sguardo con i suoi occhi castano scuro non vi lesse alcuna traccia di malignità o perfidia, ma solo una grande pena.
Compassione. Un'emozione che non si sarebbe mai sognata di suscitare in chicchessia. Gabriela Carvalho non avrebbe dovuto ispirare compassione.
''Riesci ad alzarti?'' le chiese gentilmente la donna.
Dalla voce la riconobbe subito. Si trattava di Marta. La stessa Marta che aveva impedito a quei tre bastardi di ammazzarla a suon di calci.
Per tutta risposta Gabriela poggiò le mani sul selciato per rimettersi in piedi, e fu allora che si rese conto su cosa era scivolata poco prima. Olio. E a giudicare dall'odore, olio esausto in cui era stato fritto del pesce. Cercando di soffocare il conato che minacciava di risalirle in gola, Gabriela si rialzò, permettendo a Marta di aiutarla.
Una fitta atroce le trafisse la schiena quando provò a raddrizzarsi, e anche se non gridò, il dolore le strappò comunque un gemito che mise in allarme Marta, spingendola a chiederle: ''Tutto a posto?''
Gabriela non rispose, ma forse perché aveva intuito la verità sul suo volto sofferente, la venditrice scosse il capo con aria affranta, ed emettendo un profondo sospiro volse lo sguardo in direzione della pozzanghera traslucida, che costeggiava il fianco della sua bancarella di bolinho de bacalhau.
''Non dico che mi diverta assistere ai furti, ma col senno di poi avrei preferito non rovesciare quell'olio'' confessò mesta. ''Nessun sacchetto di patatine vale una vita''.
''Non mostrare compassione, Marta!''
L'esclamazione colse entrambe di sorpresa. Un'anziana dal volto incartapecorito e l'espressione sprezzante sostava davanti al chioschetto di frittelle di baccalà, e nel momento in cui incrociò lo sguardo con Gabriela le rivolse un'occhiataccia intrisa del più palese disgusto.
''Sporco ladro buono a nulla!'' sentenziò sputando bile. ''Te lo sei meritato!''
Sebbene in circostanze normali Gabriela non avrebbe esitato un singolo istante a rispondere a tono di fronte ad una provocazione simile, in quel momento non le riuscì nemmeno di abbozzare una timida replica.
E così, anche se una parte di lei scalpitava all'idea di augurare a quella vecchiaccia una pronta dipartita, quelle parole non affiorarono mai sulle sue labbra. La verità era che si sentiva troppo debole e abbattuta persino per quello.
Avvertendo il disagio che provava, Marta provò a confortarla poggiandole una mano sulla spalla, ma proprio quando sembrava sul punto di parlare ancora, Gabriela se la scrollò di dosso, e senza dire una sola parola prese ad avanzare in direzione del vicolo a cui aveva puntato durante la sua disastrosa fuga. Mentre veniva inghiottita dall'oscurità, calde lacrime di dolore e rabbia a stento trattenuta le solcarono le guance, per poi caderle sulla maglietta sudicia e puzzolente, impregnata di olio esausto.
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