Capitolo 11 - Capolinea

Essendo ormai quasi arrivati alla fine della strada, Gonzago iniziò a rallentare, per poi parcheggiare la macchina accanto al marciapiede, proprio davanti ad un elegante vialetto in pietra, posto a cavallo di due siepi.

La magnifica villa a due piani in stile neocoloniale, che sorgeva al di là del passaggio, svettava con la sua imponenza sulle vicine, da cui si differenziava anche per la squisita raffinatezza degli esterni. Nonostante fosse un quartiere decisamente esclusivo, quella casa era senza dubbio la più bella che avesse visto nei paraggi.

''È questo l'indirizzo?'' chiese asciutta Gabriela, osservando la porta d'ingresso attraverso il finestrino dell'auto.

''Il numero corrisponde'' confermò Américo.

Astenendosi dal fare ulteriori domande, Gabriela continuò a fissare intensamente la porta, sui cui spiccava un elaborato battente in ottone. A giudicare dall'intensità del suo sguardo, sembrava quasi che la stesse scannerizzando ai raggi X.

Era trascorso almeno un minuto, quando Gonzago si decise a rompere il silenzio.

''Vuole che entriamo anche noi?''

''No, è una cosa che devo fare da sola'' rispose Gabriela senza staccare gli occhi dal finestrino.

''Ne è proprio sicura?'' s'intromise Américo. ''Potrebbe essere pericoloso''.

''Credo di poterlo gestire'' li rassicurò lei. ''In ogni caso, non preoccupatevi, se dovessi aver bisogno, vi chiamerò''.

''Come desidera, presidente'' dissero in coro i due.

Le labbra di Gabriela si curvarono in un sorriso amaro.

Presidente.

Un titolo davvero prestigioso. Un titolo degno di lei. Almeno...lo era stato.

Molte cose erano cambiate da allora. Troppe cose.

''Le disgrazie mostrano chi sono i veri amici. Tutti sono bravi a starti accanto quando sei sulla cresta dell'onda''.

Una lezione che aveva imparato a proprio spese. Quando perdi il potere, è davvero difficile fare i conti col fatto che tutti quelli che reputavi alleati affidabili, si rivelano soltanto degli approfittatori senza vergogna. Così bravi ad adularti quando sali, almeno quanto lo sono a sputarti in faccia non appena cadi.

Ma Gonzago e Américo, no. Loro erano rimasti fedeli. Gli unici che non l'avevano abbandonata, e i soli così ciecamente leali da credere alla teoria dell'avvelenamento.

Per questo si trovavano lì. Per accompagnarla in quella che avrebbe dovuto essere la resa dei conti. La fine della partita. Non poteva riavere indietro la sua vecchia vita, ma almeno avrebbe avuto vendetta.

Dando un'ultima occhiata alla villa, Gabriela prese un profondo respiro e afferrò la maniglia della portiera.

''Su, andiamo''.

Quando si trovò davanti alla porta d'ingresso, Gabriela non bussò subito. La vista del battente a forma di serpente piumato la colpì così tanto, che per diversi secondi rimase immobile a fissarlo. Tuttavia, non appena si ricordò di dove fosse, e il perché fosse lì, distolse frettolosamente lo sguardo e batté le nocche sulla porta. Non poteva perdere tempo. Non quando era tanto vicino alla meta.

Quello era il suo giorno.

All'inizio non accadde nulla e il silenzio assoluto che giunse in risposta alla sua chiamata si protrasse per almeno dieci secondi buoni. Poi, proprio quando si stava preparando a bussare di nuovo, un rumore di passi risuonò al di là della porta e, prima ancora che potesse abbassare la mano, sentì il chiavistello scattare.

Nel momento in cui vide il volto del proprietario di casa spalancare la porta, Gabriela seppe di aver fatto centro. Quella faccia lei la conosceva bene. Così bene che non sarebbe mai riuscita a dimenticarla. Dopotutto, non poteva essere diversamente. Per una notte intera era stata lei ad averla.

Il ragazzo era pressoché identico a come se lo ricordava. Stesso volto sbarbato, stesso fisico asciutto. Pure i vestiti sembravano identici. Bermuda abbinati ad una semplice t-shirt color senape e un paio di sandali ai piedi. Nonostante abitasse in una villa da decine di milioni di reais, il suo stile di abbigliamento era rimasto pressoché inalterato rispetto a quando ancora viveva in quello squallido bilocale a Sorocaba.

Un dettaglio che da solo fece curvare le labbra di Gabriela in un accenno di sorriso. L'eleganza non te la può dare la ricchezza.

''Oh, presidente'' disse stupito il ragazzo, spostando lo sguardo da lei ai suoi due giganteschi accompagnatori. ''Che piacevole sorpresa''.

''Non sono più presidente, oramai'' lo corresse paziente Gabriela.

Il ragazzo sgranò gli occhi.

''Davvero?'' Si massaggiò il retro del collo, mentre abbozzava un sorrisetto imbarazzato. ''Mi scusi, ma non seguo molto la politica, e ultimamente ho avuto davvero poco tempo per guardare la tv''.

''Strano'' ribatté Gabriela tranquilla. ''Credevo che l'argomento ti interessasse parecchio''.

''In che senso?'' le domandò lui, fissandola in tralice.

Gabriela non rispose, limitandosi a battere le palpebre, la stessa espressione serena stampata in faccia.

''Posso entrare?'' chiese ignorando la domanda.

Seppur colto alla sprovvista da quella richiesta posta così a bruciapelo, il ragazzo riuscì a riprendersi abbastanza in fretta.

''Ma...ma certo'' farfugliò impacciato, mentre si faceva da parte per lasciarla passare. ''Prego, si accomodi''.

Senza farselo ripetere due volte, Gabriela varcò la soglia, scomparendo oltre l'ingresso. Rimasto solo davanti alla porta, il ragazzo rivolse un'occhiata timorosa ai due colossi che lo squadravano stando sopra il suo zerbino. Erano così alti che per entrare in casa avrebbero dovuto chinare la testa.

''Volete...''

''Gonzago e Américo mi aspetteranno fuori'' annunciò Gabriela da dentro il salotto.

Il ragazzo annuì senza ribattere.

''Come desidera''. E scoccando alla coppia di energumeni un sorriso di commiato, chiuse la porta davanti a loro.

Il soggiorno della villa era proprio come se l'era aspettato. Elegante, moderno, e lussuoso, ma senza mai sfociare nel pacchiano. Due divani in pelle bianca si trovavano di fronte ad un tavolino di cristallo, mentre un enorme schermo al plasma, da almeno settanta pollici, stava appeso alla parete di fronte, proprio sopra un grande camino rivestito in pietra.

Un sentore di fumo di sigaro aleggiava nell'aria. Gabriela lo riconobbe subito, perché era lo stesso odore che sentiva in casa di Javier. Al ricordo dell'ultima serata in cui aveva cenato a casa del suo mentore, un'ombra le calò sul viso. Era da settimane che non pensava a lui. Ogni volta che succedeva, si sentiva torcere le budella.

Ignorando ciò che le stesse passando per la testa, il ragazzo osservò indeciso la propria ospite, che in quel momento fissava il camino spento con sguardo vacuo. L'espressione sul suo volto era indecifrabile.

''Le posso offrire qualcosa?'' chiese con semplicità. ''Caffè, tè mate, succo di caju? Altrimenti, se se la sente, ho anche della cachaca''.

Fingendo di non aver sentito, Gabriela voltò la testa nella direzione opposta, e si mise a scrutare la pila di scatoloni ammucchiati in un angolo del soggiorno, accanto ad una magnifica vetrinetta intarsiata.

''Sei in partenza?'' domandò in tono piatto.

''In verità, sì'' ammise il ragazzo. ''Mi devo trasferire''.

''Il posto non ti piace più?''

''Ho trovato lavoro altrove''

Gabriela tornò ad incrociare il suo sguardo.

''Tu lavori?'' chiese alzando un sopracciglio.

Il ragazzo si strinse nelle spalle.

''Tutti lavorano'' rispose con aria innocente.

''In modi diversi'' commentò Gabriela enigmatica. E senza aggiungere altro, riprese a fissare il camino vuoto.

Un silenzio irreale calò nel soggiorno. Era trascorso quasi un minuto, senza che nessuno dei due facesse o dicesse nulla, quando il ragazzo si schiarì la gola e parlò di nuovo.

''Senta, non vorrei sembrare scortese, ma...''. Diede in una risatina forzata. ''Potrei sapere perché è venuta?''

Distogliendo lo sguardo dal camino, Gabriela ristabilì il contatto visivo col ragazzo. La sua espressione era una maschera indecifrabile.

''Non mi fraintenda, io sono onorato che sia venuta a farmi visita'' si affrettò a precisare il ragazzo, '' è solo che non ne capisco la ragione. Come le ho già detto, non seguo la politica e, anche se mi dispiace dirglielo, non l'ho votata''. Sorrise. Un sorriso imbarazzato. ''In realtà, non ho votato nessuno. Sono più un tipo da scheda bianca, capisce?''

''Scheda bianca, eh?'' disse placida Gabriela.

''Esatto'' confermò il ragazzo annuendo. ''Ma se reputa così importante convincermi del contrario, può sempre lasciarmi un volantino, o qualcosa del genere. Prometto di farci un pensierino''. Sollevò la mano destra e incrociò le dita. ''Giurin giurello''.

Le labbra di Gabriela si curvarono in un ampio sorriso.

''Perché non la piantiamo con le stronzate, e iniziamo a parlare seriamente?'' domandò in tono affabile.

''Mi scusi, ma credo di non seguirla'' confessò il ragazzo., sforzandosi di mantenere la stessa espressione conciliante.

''Io invece credo che tu mi stia seguendo molto bene'' ribatté Gabriela senza scomporsi. ''A dirla tutta, anche troppo''.

Forse perché non sapeva come interpretare quelle parole, il ragazzo non replicò, permettendo alla sua interlocutrice di proseguire indisturbata.

''Pedro Macedo. Un bel nome'' commentò con semplicità. ''Mi chiedo se sia davvero tuo''.

Il ragazzo non disse nulla e dopo aver incrociato le mani dietro la schiena, Gabriela prese a camminare avanti e indietro sul parquet, nel breve spazio che separava il tavolino dalla base del camino. Il rumore dei suoi tacchi riecheggiò per il soggiorno.

''Ci ho messo un po' a rintracciarti'' disse serafica. ''Sai, è difficile scoprire l'identità di qualcuno quando l'unico indizio in tuo possesso è una semplice descrizione riportata a voce. Hai fatto le cose proprio per bene, te ne do atto. L'appartamento a Sorocaba l'hai affittato pagando in nero, quindi niente contratto registrato, e anche i pochi che ti hanno conosciuto, non sapevano praticamente nulla di te. Un ragazzo come tanti, viso anonimo, di quelli che si dimenticano in fretta''.

Si fermò, e appoggiando la spalla contro il camino, incrociò le braccia davanti al corpo, per poi rivolgere al ragazzo un sorriso indecifrabile.

''Molto ingegnoso. Davvero molto''.

Sebbene si stesse sforzando di apparire tranquillo, era evidente che il ragazzo non lo fosse affatto. A giudicare dalla sua espressione, dava l'idea di qualcuno alle prese con un pazzo appena fuggito da un manicomio.

''Non credo che...''

''Io invece credo che tu sappia perfettamente perché sono qui!'' lo interruppe Gabriela con voce aspra. Il brusco cambio di tono fu accompagnato dalla scomparsa del suo sorriso. ''Quindi, adesso ti concedo due strade tra cui scegliere. O mi racconti tutta la verità, oppure richiamo Gonzago e Américo, e gli ordino di pestarti così forte, che entro dieci minuti non avrai più un solo osso integro in corpo''.

Il suo cipiglio ostile si ammorbidì con sorprendente rapidità, rimodellandosi in un'espressione neutrale. Il cambiamento fu così repentino da risultare inquietante.

''La scelta è solo tua'' puntualizzò con ostentata disinvoltura. ''Per quanto mi riguarda, liberissimo di preferire la seconda''.

Una volta che ebbe finito di lanciare quell'ultimatum, il ragazzo si limitò a fissarla sfoggiando un'espressione inebetita, come se quanto avesse appena detto non fosse altro che un delirio privo di logica, partorito da chissà quale mente malata.

Tuttavia, proprio quando Gabriela cominciava a spazientirsi, e la tentazione di richiamare Gonzago e Américo si faceva pericolosamente allettante, il padrone di casa gettò via la maschera, e curvando le labbra in un sorriso amabile le si rivolse con voce suadente.

''Beh, come vuoi. Giochiamo al tuo gioco, allora''.

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