Capitolo 9
Pur albeggiando, lo chalet rimaneva avvolto nel buio del cielo plumbeo. La neve scendeva implacabile e il vento non smetteva di ululare.
Erano esausti. In attesa della prossima mossa dell'assassino che si nascondeva tra loro.
Il fuoco divampava alto grazie alla legna aggiunta nel camino. In ognuno di loro regnava la speranza che l'incubo finisse al più presto.
Carter si mosse di scatto facendo cadere la benda che aveva sopra gli occhi. Sbatté le palpebre più volte, era offuscato, non riusciva a distinguere neanche le figure e il dolore era ancora troppo forte.
Si sdraiò sospirando.
"Hey..."
Elettra era svegliata e la confusione pareva ormai un lontano ricordo.
"Come ti senti?"
Carter sorrise sopprimendo una smorfia di dolore. "Dovrei essere io a chiedertelo"
Elettra si rabbuiò guardandolo. Aveva il contorno occhi arrossato e in viso ferite dovute al gelo.
"Non avresti dovuto rischiare la vita per me"
La zittì subito. Il suo sorriso, nonostante tutto, rimaneva confortante.
"Grazie"
Non aggiunse altro, le parole non avrebbero reso giustizia a quel gesto eroico. Si guardò intorno, dormivano tutti. Quanto tempo era passato?
Non ricordava molto, si ritrovò stesa sul tappeto avvolta in una coperta di lana e sotto era nuda. Nonostante fosse al caldo era percossa da brividi di freddo.
L'ultima cosa che le venne in mente fu l'immagine di sé stessa lottare nella bufera e poi, il viso di Carter. Credeva di essere sul punto di morire e di sognare.
Cos'era successo prima di finire fuori dallo chalet?
Ad un tratto, una fitta poco sopra il fianco la distrasse dai suoi pensieri. Portò la mano fino al punto che le bruciava sollevandosi leggermente. Con le dita delineò una porzione di pelle lacerata da una ferita circolare.
"Cosa accidenti..."
Sembrava essere un foro perfetto.
Come aveva fatto a ferirsi in modo così preciso?
Si sforzò di ricordare qualcos'altro ma fu inutile, in mente aveva solo tanta confusione e l'immagine di sé smarrita nella tormenta. Quando si voltò, il suo sguardo incrociò quello di Ascanio, era chiaro che avesse pianto parecchio. Si sollevò in maniera tale da riuscire a vedere la poltrona dove aveva lasciato Rafael avvelenato e, non trovandolo li, capì.
Una lacrima le rigò il viso.
"Mi dispiace moltissimo"
Mosse le labbra senza emettere alcun suono, Ascanio chinò il viso in maniera impercettibile nascondendolo tra le mani.
Si sistemò sulla schiena facendo in modo di tutelare la ferita.
"Devo chiederti una cosa"
La voce di Carter era bassa.
"Voglio che tu sia sincera con me"
"Certamente"
Rispose Elettra senza nemmeno chiedere di cosa si trattasse. Glielo doveva, se non fosse stato per lui sarebbe morta in mezzo al gelo.
Carter tirò fuori dalla tasca dei jeans un foglio bianco ripiegato e sgualcito, Elettra lo prese. Le bastò poco per riconoscerlo.
"Dove l'hai trovato?"
Carter le spiegò di averlo visto sulla scrivania della sua stanza mentre cercava madame Bouchard eppure, lei era certa di averlo riposto nella borsa, al sicuro.
"Dimmi che ha un senso"
La donna sapeva bene che quella lettera ne fosse priva.
"è il motivo per cui sono qui"
Girò il viso verso le fiamme e ripensò a quel giovedì di un mese prima...
Elettra A. aveva riscosso enorme successo con il suo ultimo libro, eletta dalla critica "Regina del giallo". Leggere di sé, in quel modo, le dava una gioia immane.
Era il sogno che si stava realizzando.
Da piccola trascorreva notti intere a scrivere su una vecchia macchina, la ricordava ancora: mancavano due lettere dalla tastiera ma per lei era la cosa più preziosa che possedesse.
Ai tempi, viveva in una roulotte con Dina, la madre, che si divideva tra lavoro e uomini sperando di trovare quello giusto e cambiare definitivamente stile di vita seppur la piccola sapesse che non era il modo corretto per farlo.
Ogni volta che una relazione andava male o veniva licenziata dai suoi lavori improvvisati, la madre decideva che il posto, per loro, non era più idoneo e non avrebbe fruttato nulla. Così, metteva in moto la vecchia auto, dove era agganciata la roulotte, e via per la meta successiva.
Elettra era una bimba introversa, non amava stare con i suoi coetanei neanche quando le capitava di alloggiare in campeggi dove erano presenti altri ragazzini; l'unica cosa positiva di parcheggiare li, era l'acqua calda.
Nonostante tutto, era una bambina curiosa che voleva scoprire il mondo e vedere le bellezze che la circondavano e sebbene la madre le inculcasse insegnamenti sbagliati Elettra era troppo determinata a diventare migliore per far si che lo stile di vita errato e i cattivi esempi potessero in qualche modo influenzarla.
E così, scriveva.
Lo faceva per vivere avventure che non le appartenevano, per evadere dalla sua angusta roulotte e avere una vita più decorosa.
Pur essendo una sognatrice, non si calava mai nei panni di una principessa in pericolo salvata dal principe di turno o cose simili, quello lo lasciava a Dina. Piuttosto era lei o le eroine dei suoi racconti che risolvevano misteri e salvavano il mondo da minacce varie.
La madre di Elettra era una donna frivola e cinica, non le infondeva mai coraggio e quando la piccola le chiedeva di leggere, la donna prendeva i fogli con noncuranza e li gettava sul pavimento della roulotte deridendola.
"Non cambierai mai vita in questo modo"
Ma Elettra non ci badava, non le importava da tempo il suo giudizio. Raccoglieva i fogli riordinandoli correttamente ed impegnandosi ancora di più.
Cambiò molte scuole assentandosi talmente tanto che nessuno le dava credito. Quando da adolescente si presentò al giornale scolastico dell'ennesima scuola, le risero quasi in faccia mandandola via.
Più cresceva, più diventava bella e intelligente. Trascorreva i pomeriggi nelle biblioteche a leggere e studiare e quando tornava a casa, nella roulotte, indossava i suoi auricolari così da riuscire a viaggiava con la mente.
Dina era sempre via, aveva trovato un lavoro stabile da qualche anno ormai e anche un uomo. Nel momento in cui lui le chiese di sposarlo Elettra, controvoglia, dovette conoscerlo. Non le piacque.
La sera stessa, dopo cena, la madre le disse che avrebbe accettato la proposta e che si sarebbero trasferite a casa sua.
"Finalmente avremo un tetto sopra la testa"
L'uomo viveva in una villetta singola e nonostante non fosse ricco per come sperasse Dina, era una persona distinta che le avrebbe permesso una vita agevole e concesso lussi che non aveva mai potuto permettersi.
Il giorno del matrimonio Elettra aveva quindici anni. Osservava Dina nel suo abito bianco, con il make-up sobrio e i capelli acconciati. Era una donna molto affascinante, con un modo di fare accattivante che la ragazzina, però, non riusciva a percepire. Aveva già fatto suo il ruolo di moglie perfetta enfatizzandolo fin da prima di dire "sì" davanti al prete.
Elettra passeggiava in giardino, nel suo vestito nero e semplice; amava quel colore. L'esterno della villa era adibito a festa, il matrimonio si sarebbe tenuto li per come desiderava la sposa.
Quando la cerimonia religiosa finì, gli ospiti si diressero dal lato opposto per iniziare i festeggiamenti e il pranzo. Era tutto troppo sfarzoso per lei, a tratti ridicolo. Non vedeva l'ora che ogni cosa terminasse così da poter tornare nella sua piccola roulotte senza però tener conto che, adesso, la villetta con la recinzione bianca, sarebbe stata anche casa sua.
Provò con tutta sé stessa a fare andare bene le cose però non ci riusciva. Le regole imposte dal marito della madre non le andavano a genio così, decise di emanciparsi e tornare nella sua roulotte, da sola. Dina non obiettò. Firmò i documenti che le aveva portato, era troppo presa dall'essere la moglie di quel tizio a lei sconosciuto.
Da allora, la ragazzina iniziò la sua nuova vita.
Trovò un lavoro part-time mentre il resto del tempo lo dedicava allo studio e alla lettura.
Un giorno, per caso, venne a conoscenza di un concorso letterario e senza sapere neanche perché, decise di rispolverare una delle sue vecchie storie e farne un vero e proprio romanzo.
Iniziò così il percorso della scrittrice in erba che si faceva chiamare Elettra A. Pian piano, mosse i primi passi nel campo letterario suscitando l'interesse di vari esperti del settore.
Erano ben lontani quegli anni, Elettra era diventata una donna adulta e un'affermata scrittrice con un contratto a sei zeri per il prossimo manoscritto. Eppure, nel suo attico con vista mozzafiato sullo skyline di New York, la sua fantasia pareva essere svanita nel nulla.
Più passavano i mesi, più l'ansia aumentava.
Il foglio bianco nello schermo del laptop non si riempiva di parole. Più ci provava, più cadeva vittima dello sconforto e, come se non bastasse, il suo agente letterario le alitava sul collo. Elettra aveva difficoltà persino a dormire così provava a scrivere la notte mentre la città era avvolta dalle tenebre ma senza successo.
Non uscì di casa per settimane sperando di concludere qualcosa ma la verità era che non aveva una storia e neanche dieci pagine da mandare ai suoi editori.
Circa a metà novembre, faceva quattro passi per Central Park sperando le fosse utile all'umore e all'ispirazione. La natura era un toccasana per la mente e per un attimo, mentre passeggiava avvolta nel suo cappotto nero, avrebbe preferito tornare indietro e trovarsi nella roulotte dove era cresciuta, in compagnia della sua fervida e sfrenata immaginazione.
Lo stabile dove viveva era molto signorile, di nuova costruzione e ricco di ogni comfort.
Ne aveva fatto di strada quella ragazzina che sognava mondi lontani.
Acquistò l'immobile direttamente dal progetto, senza aver girato troppo; odiava perdere tempo. Risultava essere decisa nelle sue scelte tanto che l'agente immobiliare, scioccato, le confidò che mai nessuno aveva comprato casa tanto velocemente.
"Fa freddo oggi"
Il portiere del palazzo le aprì la porta, era un uomo attempato dai modi servili. Elettra sorrise confermando la sua affermazione.
"Non vedo l'ora di leggere il suo prossimo romanzo"
Era entusiasta, si vantava di essere uno dei suoi più grandi fan.
"Qualche anticipo per me, madame?"
"Eh no mio caro, non vorrei rovinarti la sorpresa"
Elettra finse un sorriso ma le venne un nodo allo stomaco sapendo di non avere neanche un'idea lontana da proporre. Si congedò con la scusa del lavoro.
Era ancora in attesa dell'arrivo di uno dei due ascensori quando il portiere la raggiunse affannato.
"Madame, avevo dimenticato questa"
Le consegnò una busta da lettere.
"Che sbadato! Buon lavoro"
Si congedò per riprendere la sua postazione.
Elettra la girò per vedere chi la mandasse ma, la busta, non aveva nessun mittente.
Rincasò nell'attico arredato in maniera minimale. Tolse la giacca lasciando la busta bianca sul tavolino.
Preparò un panino e cercò di lavorare doveva necessariamente scrivere qualcosa.
Davanti al portatile, sul suo divano avorio, a Elettra cadde lo sguardo sulla busta che aveva totalmente dimenticato. La aprì, c'era un biglietto aereo a suo nome per il mese prossimo, dicembre, e la prenotazione in uno chalet di montagna.
Il contenuto del messaggio era strano e breve.
"Sarà testimone di una storia vera in uno dei luoghi più misteriosi che esistano, in mezzo alla natura più selvaggia. Le sembrerà di tornare indietro nel tempo.
Sarà una storia di sangue e morte che solo la Regina del giallo potrà raccontare e svelare al mondo.
La aspetto."
La lettera non aveva nessuna firma.
In un primo momento le sembrò uno scherzo e non diede importanza alla cosa.
Nelle settimane a seguire, quella lettera le tornò sotto gli occhi e dato che non aveva ancora scritto niente, fece qualche ricerca sullo chalet scoprendo che fosse reale. Era un luogo unico che vantava una posizione suggestiva, impossibile da raggiungere a piedi.
Chiamò il numero presente sul sito web chiedendo se ci fosse una prenotazione a suo nome per i giorni successivi.
"Si, abbiamo una prenotazione di una camera a questo nome"
Rispose la voce dall'altro lato. Elettra chiuse il telefono e rimase in silenzio. Aveva tutta l'aria di non essere uno scherzo.
Mancavano due giorni al volo e il pensiero cresceva sempre più dentro di lei.
Non aveva una storia, nessuna idea. In compenso, c'era un invito misterioso in un luogo magico per una faccenda di sangue.
Senza pensarci più, prese la valigia dall'armadio riempiendola con dei vestiti pesanti e la tuta da sci che non utilizzava da anni; in ogni caso, sarebbe stata l'occasione giusta per rispolverare le sue doti da sciatrice.
Sistemò il laptop nel bagaglio a mano e, il giorno del volo, di buon mattino, si recò in aeroporto convinta di dovere andare a fondo a quel mistero.
"Questo è tutto. Non so chi sia stato a consegnare la lettera e se mi chiedi di dare un senso logico alla cosa, non posso farlo"
Elettra raccontò a Carter come si svolsero i fatti.
"Non avvisai la polizia perché, fondamentalmente, non diedi credito alla cosa"
Chiunque le avesse inviato la lettera aveva, già da allora, un piano ben delineato.
Il mistero si infittiva ancora di più: chi tra loro possedeva una mente così contorta da progettare un piano simile?
"Dov'è andata mamma?"
Solange si alzò guardandosi intorno mentre Odette strofinava gli occhi.
"Manca anche Madeline!"
Manuel si voltò verso di loro. La poltrona dov'era seduta era vuota.
"Vado a cercarla"
Solange uscì velocemente dal salone. "Aspettami!"
Odette fece cadere il plaid a terra, la testa le girò e dovette fermarsi un momento.
"Elettra, pensi a Carter"
Manuel e Ascanio, invece, si adoperarono per ritrovare la padrona di casa.
La cucina fu il primo posto dove i fratelli Righetti cercarono: Madeline non c'era anche se il forno era acceso.
"Ci sono dentro i biscotti"
Ascanio era stranito.
"Proviamo da quella parte"
Manuel indicò lo sgabuzzino.
Al piano di sopra, la scena si ripeteva: le sorelle erano nuovamente alla ricerca della madre.
"Mamma sei qui?"
La camera era vuota. "Odette, guarda!"
Solange indicò una luce provenire dall'altra parte della balconata.
"Diamo un'occhiata"
Si mossero silenziosamente fino ad arrivare fuori dalla porta da dove proveniva la luce.
"Ferma!"
Odette bloccò la sorella facendole cenno di fare silenzio e ascoltare: dentro la stanza si stava tenendo una discussione piuttosto animata.
"è la voce della mamma"
Solange prestò ancora più attenzione.
"Ti ho già detto che voleva solo parlarmi"
Il tono di Camille Bouchard sembrava contrariato.
"Era preoccupato per una situazione e aveva bisogno di confidarsi con una persona di fiducia"
"E quella persona, dovevi essere proprio tu?"
Pur non vedendo l'espressione, si percepiva dell'ironia.
"Camille, sei ridicola, lo sei sempre stata. Devi dirmi come stavano le cose e quello che ti ha detto?"
Solange riconobbe l'altra voce.
"Santo cielo, è Madeline Miller!"
Lo sguardo si accigliò, le sorelle non capivano cosa nascondessero le due donne.
"Adesso è morto e tu potresti esserne la causa"
Il timbro di Madeline era nervoso. A quel punto, Odette sbottò spalancando la porta socchiusa e cogliendo entrambe di sorpresa.
"Oh, tesoro..."
Camille si ricompose riacquistando la calma.
"Io e Madeline stavamo chiacchierando, non volevamo svegliare nessuno di voi"
La donna si giustificò stampando sul viso uno dei suoi falsi sorrisi d'occasione ma la figlia la conosceva fin troppo bene.
"Smettila! Esigo che tu ci dica ogni cosa"
"Non sono tenuta a fare nulla"
Camille perse la pazienza e tentò di uscire dalla stanza ma Odette la afferrò per un braccio.
"Non costringermi ad utilizzare la forza"
Camille la guardò con aria di sfida per poi voltarsi verso la porta, Solange la stava bloccando.
"Coraggio Camille, racconta la verità alle tue figlie"
La tensione nella camera toccò le stelle.
Camille si diresse verso la finestra e accese una sigaretta.
"Tom Miller mi contattò qualche tempo fa, era scosso per una notizia appresa"
Il fumo le usciva dalla bocca insieme alle parole.
"Lo conoscevo da molti anni e tra noi c'era fiducia e rispetto"
"Ma ti prego"
La risata di Madeline riecheggiò tra le pareti della camera.
"Riesci ad essere sincera per una volta in vita tua?"
Da come Madeline parlava a Camille, i rapporti tra le due andavano ben oltre le vacanze in montagna allo chalet e, ovviamente, non solo tra loro.
"Mamma, la verità"
Camille tentennò fumando nervosamente.
"Tra vostra madre e il mio povero marito defunto, c'era una relazione"
Le ragazze si voltarono verso Camille. Non parlarono, rimasero turbate da quella rivelazione.
"Diciamo che la loro storia è andata avanti per anni e credevo fosse finita quando voi eravate adolescenti, invece..."
Madeline non ci pensò un attimo ad incalzare la dose con le notizie e fu parecchio generosa con i dettagli tanto che Camille la fulminò con lo sguardo.
"Ti lascio chiarire con le tue figlie, meritano una spiegazione dato che hai tradito anche il loro padre"
Madeline uscì dalla stanza soddisfatta della piega che la discussione stava prendendo e dall'aver fatto cadere dal trono sua maestà Camille Bouchard. Si recò al piano di sotto, incrociando i fratelli Righetti.
"Madeline, per fortuna sta bene"
La donna sorrise ai ragazzi dirigendosi, insieme a loro, in cucina.
"Ho pensato che i miei biscotti avrebbero fatto bene a tutti"
Aggiunse che aveva necessità di rendersi utile e cucinare le diede modo di distaccare la mente da ciò che stava succedendo.
Ascanio e Manuel la aiutarono preparando il latte caldo e caffè per servirli nel salone con i biscotti.
Al piano superiore le sorelle Bouchard non smettevano di inveire contro la madre.
"Come hai potuto farlo"
Camille accese un'altra sigaretta incassando ogni singola parola: le figlie erano furiose con lei.
"Ci portavi qui ogni inverno solo per stare con il tuo amante"
Solange era disgustata. Camille non accettava più di essere attaccata in quel modo.
"Stupida!"
Inveì contro la figlia minore.
"Come puoi parlare proprio tu che hai creato più problemi che altro"
Non ci andò leggero zittendo la ragazza che rimase basita davanti a tale affermazione, era chiaro dove volesse andare a parare.
"Ti ho tolta dai guai e salvata dalla prigione e ti permetti di puntare il dito su tua madre"
Solange abbassò lo sguardo, trattenendo le lacrime a fatica.
"Basta così!"
Odette intervenne prima che la discussione toccasse argomenti poco piacevoli per tutte loro.
"Quello è stato solo un incidente"
Appoggiò la mano sulla spalla della sorella.
"Non mi importa della tua relazione con il signor Miller, ciò che mi interessa sapere è il perché lo incontrasti"
"Non sentivo Tom da anni..."
La donna si voltò verso la finestra, uno spiraglio di luce le illuminò il volto...
"La serata sarà un successo e la causa molto nobile"
Camille Bouchard si stava dirigendo in macchina a passo veloce, in perfetto equilibrio sui tacchi a spillo vertiginosi, avvolta nella pelliccia di visone selvaggio.
"Devo solo definire gli ultimi dettagli con il catering" Diceva tenendo in mano lo smartphone.
Il salone di bellezza da cui era uscita era uno dei più rinomati della zona, aveva appena fatto la manicure di un colore rosso fiammante. Era entusiasta dell'organizzazione di quell'evento.
"Sarà una delle più eclatanti raccolte fondi di tutta la Costa Azzurra"
Sorrideva con lo sguardo compiaciuto nascosto dietro i grandi occhiali neri.
"Aspetta, ho un avviso di chiamata"
Camille non credeva ai suoi occhi. Si fermò e tolse persino gli occhiali da sole per esserne certa.
"Ti richiamo più tardi"
Interruppe immediatamente la telefonata e si schiarì la voce prima di rispondere.
"Tom Miller, a cosa devo questo onore!"
Camille non era solita a dare importanza a qualcun altro ma con Tom era sempre stato diverso.
"Sono in città e mi farebbe piacere incontrarti"
La donna sentì un nodo alla gola nonostante fossero passati tanti anni, neanche ricordava quanti di preciso.
"Posso concederti un pranzo"
Inviò un messaggio con l'indirizzo e il nome del ristorante. Salì in macchina felice come una ragazzina.
La giornata non era delle più belle, era un novembre piuttosto freddo e molto ventilato.
Alla guida della Porsche Carrera Camille ripensò agli anni passati e all'inizio di tutto...
La relazione tra Thomas Miller e Camille Bouchard fu passionale e turbolenta, entrambi avevano perso la testa e più passavano i mesi più si sentivano sentimentalmente coinvolti.
Le loro vite erano intrecciate con dei partner con cui condividevano troppo e non venne facile, soprattutto per Tom, ritagliare del tempo da trascorrere con la sua amante.
La loro storia nacque per caso, durante un'asta di antiquariato a Londra. Entrambi appassionati di oggetti antichi e ottimi acquirenti, ricevevano spesso inviti da parte delle case d'asta più rinomate.
Si scontrarono sull'acquisto di un pezzo francese del '700 riconoscendosi in mezzo alla folla. Il mobile se lo aggiudicò la donna, era quasi impossibile soffiarle qualcosa su cui aveva posato gli occhi.
"è un piacere incontrarla"
Le disse lui baciandole la mano, era un vero gentleman d'altri tempi. Dopo qualche chiacchiera Thomas le propose di continuare davanti ad una bottiglia di buon vino e la invitò a pranzo. Lei accettò con piacere, aveva una gran fame.
Il ristorante era proprio sul Tamigi, uno dei preferiti di Camille.
"Mi permetta di scegliere il vino"
Disse lui, era un esperto in materia. Optò per un Borgogna dell'87, una delle migliori annate del vigneto secondo Tom. Risero tantissimo durante il pranzo e la loro confidenza diventò man mano più intima.
Una volta finito, nessuno dei due aveva voglia di tornare in hotel così decisero di passeggiare e Camille concesse al suo autista il pomeriggio libero.
La nebbia di Londra, parte integrante dell'immaginario collettivo, rendeva la città ancora più suggestiva invadendo le strade in quell'uggiosa giornata d'inverno.
Madame Bouchard si avvolgeva nel cappotto lamentandosi del freddo così, con un gesto azzardato, Tom la avvolse tra le braccia facendola irrigidire. Si guardarono negli occhi sentendo il cuore battere forte e si lasciarono andare in un lungo bacio passionale.
Con delle scuse ben articolate, trascorsero un intero weekend insieme nella capitale inglese e fu uno dei più romantici della loro vita.
Il momento dei saluti era arrivato, Camille doveva far ritorno nella sua tenuta sul mare dove ad attenderla c'erano le figlie ancora piccole e il marito troppo impegnato negli affari. Thomas, invece, nel suo chalet in mezzo alle montagne, dalla moglie Madeline.
I giorni a seguire, entrambi, furono distratti e irascibili, non accettavano l'idea di non rivedersi. Durante il weekend passato insieme, qualcosa nei loro sentimenti era cambiata.
Madeline si recò insieme alle bambine allo chalet. Senza pensare, prenotò una stanza sperando che Thomas potesse ritagliare del tempo per lei.
Trovandosela davanti, l'uomo, provò un tuffo al cuore. Aveva voglia di baciarla, di stringerla ma dovette contenersi dal farlo. Nonostante gli impegni e la presenza costante della moglie, Tom riuscì a riservare del tempo alla relazione extraconiugale e quello fu solo il primo de loro incontri segreti.
Andarono avanti per tre anni circa. Thomas era cambiato molto anche nei confronti della moglie Madeline che iniziò a sospettare ci fosse qualcosa di strano nel suo atteggiamento fino a quando, un giorno di dicembre, li colse in fragrante a scambiarsi effusioni sul divano del salone del loro chalet durante una bruttissima tempesta di neve.
Interrompere non fu facile ma Madeline minacciò di rivelare tutto al marito di Camille creandole problemi con le figlie. Fu Thomas a dare un taglio netto alla loro storia d'amore, lo fece con una lettera dove le spiegava i motivi della sua scelta. La frase che a Camille fece più male fu quella in cui Tom descrisse la moglie come una brava donna dall'animo talmente sensibile da non poter essere turbato. Sparì dalla sua vita e Camille troppo orgogliosa e ferita si ritirò.
"Vuole darmi la pelliccia madame?"
Il ristorante era stellato ed estremamente raffinato. Si fece scivolare il visone dalle spalle per poi farsi accompagnare al tavolo. Appena lo vide seduto, ebbe un tuffo al cuore.
"Thomas Miller! Se non fosse per i capelli, non saresti cambiato neanche un po'"
L'uomo alzò lo sguardo dal menù sorridendole.
"Camille"
Si alzò e la baciò sulle guance.
"Sei sempre una gioia per gli occhi"
I camerieri servirono dello champagne di benvenuto in attesa dell'ordinazione.
"Ottima scelta"
Esclamò l'uomo guardandosi intorno.
"Opto solo per il meglio"
La donna ammiccò alzando il bicchiere e brindando alle vecchie amicizie.
Il pranzo si svolse tra portate gourmet a base di pesce e ricordi degli anni trascorsi con qualche accenno al presente.
"Sei ancora felicemente sposato?"
Il tono di Camille era pungente.
"E tu, felicemente vedova?"
"Touché!"
Sorrise sollevando impercettibilmente le sopracciglia bloccate dal botulino e bevendo un sorso di champagne.
"Adesso puoi dimmi il vero motivo della tua visita improvvisa?"
"Mi conosci come pochi, mia cara"
Camille notò immediatamente la sua espressione poco serena "Cosa ti turba?"
Camille lo fissava negli occhi.
"Sono venuto a conoscenza di un fatto che ha destabilizzato la mia esistenza"
Ordinò un amaro al cameriere
"Madeline ha un figlio"
Lo sguardo di Camille diventò interrogativo.
"Si Camille, mi ha tradito"
"Cosa ti aspettavi che se ne stesse buona mentre tu facevi lo stesso con me?"
Lui la zittì muovendo la mano e spiegandole che la sua infedeltà risaliva a parecchi anni prima che la loro storia cominciasse.
"Il frutto del tradimento di Madeline dovrebbe avere l'età di tua figlia Solange"
"Caspita!"
Esclamò lei.
"Che angelo di moglie fedele e animo nobile"
Camille Bouchard scandì quelle parole girando il dito nella piaga.
"Ho fatto un errore non scegliendo te"
Sentendo pronunciare determinate parole dall'unico uomo che aveva realmente amato, si irrigidì toccandosi il collo.
"Sei nervosa, posso comprenderlo"
Lei cercò di smentire ma lui la bloccò
"Ti tocchi il collo quando lo sei"
Era vero, anche lui la conosceva benissimo.
"Doveva andare così Tom, eravamo entrambi sposati e io avevo due figlie"
"Se solo l'avessi capito prima"
Si interruppe ringraziando il cameriere che gli aveva portato l'amaro in un bicchiere ghiacciato.
"Se solo non avessi avuto paura di stravolgere la mia vita"
Camille ricordava fin troppo bene quando Madeline li aveva colti in fragrante, riusciva a sentire ancora oggi le urla della donna che sbraitava per il salone dello chalet. Quell'anno c'era una bufera di neve e l'essere intrappolati tutti sotto lo stesso tetto non fu certo piacevole in più, c'erano le ragazze in montagna con lei e doveva tutelarle.
"Cosa hai intenzione di fare adesso?"
"Madeline possiede la metà della struttura... Sono troppo stanco e vecchio per ricominciare"
Bevve un sorso.
"Non ho intenzione di vendere o cederle le quote, c'è il mio sudore e duro lavoro in quel posto"
"Allora, ti toccherà inghiottire il boccone amaro e andare avanti, proprio come lei ha fatto con noi"
L'uomo sospirò ultimando di bere il suo amaro.
"A che ora riparti?"
Chiese sicura Camille cambiando discorso. "Tra due ore e mezza"
Camille si offrì di accompagnarlo in aeroporto e non volle sentire ragioni.
Il viaggio verso l'aeroporto fu silenzioso per entrambi, l'atmosfera si era raffreddata.
"Ci siamo"
Lui la ringraziò.
"Vieni a trovarmi il mese prossimo, è prevista molta neve e dicembre, se non ricordo male, era il tuo mese preferito per sciare"
Non ricordava male, era come se tutto quel tempo non fosse mai trascorso.
La baciò sulle labbra e uscì dall'auto.
"Hey Tom"
Urlò Camille da dentro il suv nero.
"Penso che ci rivedremo presto"
Lui le sorrise per poi scomparire dentro le porte scorrevoli dell'aeroporto.
"Quindi, ancora una volta, per rivedere il tuo amante ci hai trascinate qui?"
Solange riportò Camille alla realtà. Lei non rispose. Odette, forse per la prima volta, vide la madre sotto un aspetto diverso, vulnerabile e ferita da un amore andato male. L'uomo che un tempo aveva amato era morto e lei non aveva nemmeno potuto piangerlo per come avrebbe voluto dato che quel ruolo non le apparteneva.
"Andiamo mamma, abbiamo bisogno di un caffè"
Il suo sguardo era dolce e si accorse che Camille aveva gli occhi lucidi.
"Sarà una lunga giornata"
Nel salone, gli ospiti stavano facendo colazione. Le tre donne Bouchard si unirono a loro sperando spuntasse il sole e scacciasse la tempesta che li teneva bloccati nello chalet.
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