PANAMA CITY; PARTE UNO (T-BAG)
Dicono che il cane sia il migliore amico dell'uomo.
Balle.
Il vero ed unico migliore amico dell'uomo è l'alcol: è sempre a tuo fianco nei momenti più difficili, non sporca, non ha bisogno di cure, non deve essere portato a passeggio al guinzaglio e non deve neppure essere alimentato; anzi, è l'esatto opposto: è l'alcol ad alimentare l'uomo, ed anche se lentamente avvelena i suoi organi interi fino ad ucciderlo, lo fa nel modo più piacevole al mondo.
Con quattro milioni di dollari in tasca posso comprare tutte le bottiglie di alcolici presenti sulla faccia della Terra.
Se volessi, potrei perfino comprare una fabbrica di liquori.
Ma che senso avrebbe sperperare così tanti soldi, se al proprio fianco non si avesse una piacevole compagnia femminile?
"Ahh!" esclamo compiaciuto, prendendo in mano il bicchiere che mi è stato appena gentilmente offerto, gustandone il contenuto che consiste in un Margarita ghiacciato, semplicemente perfetto anche se un po' troppo leggero per i miei gusti "squisito. Sei troppo buona per uno come me, Nickie Q., non merito di averti a mio fianco"
"Ohh, no, sono io ad essere la fortunata, Teddy-Bear".
Mi volto a guardare la ragazza bionda, che si sta occupando di preparare un secondo Margarita per sé, mi alzo dalla poltrona e la raggiungo, rivolgendole un sorriso dolce.
"Il giorno in cui ti ho incontrata, è come se fossi rinato a nuova vita, bambola" sussurro, avventandomi letteralmente sulle sue labbra morbide e piene; lei, però, mi allontana, premendo una mano contro il mio petto, e pronuncia una frase di cui non riesco subito a cogliere il significato.
"Tempo scaduto"
"No, Nicole, abbiamo tutta la vita davanti a noi..."
"No, non hai capito. È appena scaduta l'ora per cui mi hai pagata" ripete la ragazza, picchiettando l'unghia dell'indice destro sul quadrante di un orologio da polso, spezzando così l'atmosfera da sogno che si era creata.
Riapro gli occhi con un sospiro: non mi trovo nella mia vecchia casa in Alabama, ma nella suite di un hotel in Messico, e davanti ai miei occhi non c'è Nicole, ma bensì una giovane prostituta a cui ho fatto indossare una volgare parrucca bionda, di qualità scadente, che non si avvicina neppure lontanamente ai capelli della ragazza che mi ha spezzato il cuore.
"Ci stiamo solo scaldando... Perché non continuiamo con un 'che cosa cucinerai per questa sera, bambola'?"
"Prima che ti scaldi troppo, voglio avere in anticipo i miei soldi"
"Ed io ti ho detto in anticipo che se ti fossi comportata bene, ti avrei ripagata di conseguenza"
"Mi hai richiesta per un'ora. E l'ora è finita" insiste lei, cambiando completamente sia il tono di voce che l'espressione, diventando tutt'altro che disponibile.
"Perfetto... Perfetto..." mormoro, passandomi la mano destra tra i capelli, e sfogo la frustrazione dando un pugno alla parete alle mie spalle "sai, per un attimo ho pensato che fossi una ragazza intelligente, ma mi sono sbagliato... Non sei altro che una stupida puttana di strada".
E la 'stupida puttana di strada', dopo aver raccolto la sua borsetta ed aver indossato un paio di scarpe di vernice rossa, col tacco, mi rivolge uno sguardo fulminante, carico di disprezzo e disgusto.
"Sai che cosa ti dico?" ringhia avvicinandosi a me; afferra la parrucca bionda con una mano e la getta a terra, rivelando la sua vera chioma, dalle sfumature castane "non so chi cazzo sia questa puttana di Nickie Q., ma non mi sorprende affatto che non voglia più saperne di te".
Ecco.
Esattamente come accaduto in aeroporto, sento nuovamente il sangue ribollirmi nelle vene, ed un velo rosso scende nel mio campo visivo: abbasso il braccio destro, appoggiando la mano sulla parete, impedendo così alla prostituta di raggiungere la porta della suite; mi passo la lingua sulle labbra e socchiudo gli occhi, rivolgendole un sorriso freddo.
"Non credo di avere capito bene, l'hai appena chiamata 'puttana'?"
"Se entro il mio 'tre' non avrai tolto quella mano dal muro, giuro che inizierò a gridare a squarciagola" sibila lei, lanciandomi uno sguardo di sfida, ed inizia a contare senza mai staccare gli occhi scuri dai miei "uno... Du...".
Non le lascio neppure il tempo di terminare il conto alla rovescia.
Le stringo la mano destra attorno al collo, cogliendola di sorpresa e del tutto impreparata, trascinandola in direzione del letto; mollo la presa per qualche istante, il tempo di spingerla contro il materasso con forza, e poi l'aggredisco nuovamente, serrandole la gola con il mio arto ancora integro, utilizzando tutta la forza che ho in corpo.
La rabbia che provo in questo momento, per l'insulto che ha rivolto nei confronti di Nicole, è così cieca e furiosa che non mi fa sentire i disperati tentativi della ragazza per liberarsi dalla mia presa, non sento nemmeno i graffi che, con le unghie, mi lascia sulle guance e sul collo; non contento, senza riuscire a fermarmi, afferro un oggetto, probabilmente un soprammobile, ed inizio a massacrarla con quello, sfogandomi con un urlo liberatorio.
Riesco a fermarmi solo qualche minuto più tardi.
Ansimando, mi alzo dal letto e mi volto a fissare uno specchio: la superficie riflettente mi restituisce l'immagine di un uomo con il volto pallido, i capelli scompigliati e sudati, e con addosso un accappatoio quasi completamente ricoperto di sangue.
Per la giovane prostituta non c'è nulla da fare: anche lei, come il dottor Stammel, ha il cranio fracassato e la materia cerebrale ben visibile.
Merda, penso cercando di lisciarmi i capelli, ho fatto un'enorme cazzata nel momento peggiore; adesso che sono un ricercato che vuole abbandonare gli Stati Uniti senza dare nell'occhio, ho avuto la brillante idea di assecondare il mio lato più animalesco e di commettere un omicidio che non era affatto necessario.
Ma la colpa non è totalmente mia.
Anzi, è solo ed esclusivamente della stupida vacca che adesso giace in un bagno di sangue sopra al letto.
Non avrebbe dovuto offendere Nickie chiamandola 'puttana'.
Ha firmato la sua condanna da sola.
A fatica, a causa della protesi, trascino il corpo il bagno, sistemandolo nella vasca, in modo da farlo passare inosservato il più a lungo possibile; getto al suo interno anche la borsetta e la parrucca bionda, e copro il lenzuolo impregnato di sangue con una coperta.
Appallottolo e nascondo nell'armadio anche l'accappatoio, che costituisce l'unico indumento che ho addosso in questo momento.
Mi rivesto velocemente, ingurgito quello che resta del Margarita, prendo lo zaino ed esco dalla suite, entrando nel primo ascensore libero che riesco a trovare.
Quando scendo nella reception, lancio un'occhiata in direzione del bancone e ciò che vedo mi strappa un'imprecazione sottovoce: l'uomo là dietro, di sicuro il direttore dell'hotel a giudicare dal costoso completo che indossa, sta parlando in modo concitato al telefono.
Non appena chiude la chiamata, fa cenno a qualcuno di entrare nell'edificio.
Quel 'qualcuno' si rivelano essere due poliziotti.
E questo significa solo una cosa: nonostante gli sforzi per coprire il mio crimine, il cadavere che giace nella vasca da bagno è stato trovato molto prima di quello che avevo calcolato.
Merda.
So che anche ai migliori capita di sbagliare, e di sicuro nel mio caso l'alcol che ho in corpo non gioca un punto a mio favore, ma perché a me deve capitare proprio ora, cazzo?
Panama è una bellissima città con altrettante piacevoli distrazioni.
Una fra tutte è costituita dall'enorme traffico di prostituzione che regna nei suoi bassifondi.
E dopo il disastroso epilogo che ha avuto il mio ultimo 'incontro galante', e soprattutto dopo essere riuscito ad uscire indenne dall'hotel illudendo le autorità, sento la necessità di concedermi una piacevole distrazione coi fiocchi.
Mentre passeggio sul marciapiede di un quartiere a luci rosse, un uomo mi si avvicina, e mentre mi supera, con apparente noncuranza, solleva un lembo della camicia che indossa, facendomi intravedere l'impugnatura di una pistola, senza alcun dubbio carica; l'uomo deve essere sicuramente il protettore delle ragazze, quello che in gergo viene chiamato 'pappone' o 'mercante di schiave del sesso', ed il messaggio silenzioso che si è preoccupato di mandarmi, è arrivato forte e chiaro a destinazione: niente scherzi, o le cose per me possono mettersi molto male.
Mi avvicino ad una ragazza appoggiata al cofano di una sgargiante Camaro gialla: indossa una magliettina chiara, una minigonna jeans, e continua a giocherellare con una ciocca di capelli; una frangetta castana le ricade sulla fronte, fermandosi appena sopra un paio di grandi occhi chiari, di una sfumatura simile, ma allo stesso completamente diversa, a quelli di Nicole.
"Parli la mia lingua?" domando, attirando la sua attenzione, e lei annuisce sorridendomi "prova a dire 'buongiorno, Teddy'"
"Buenogiorno, Teddy"
"Ahh, ma chi vuoi prendere in giro, non si capisce nulla. Qualcuno parla la mia lingua?" mi allontano di scatto dalla giovane, infastidito, formulando la domanda ad alta voce, e la mia attenzione viene subito richiamata da un fischio che proviene dalle mie spalle; mi volto ed incrocio lo sguardo ammiccante di una giovane ispanica, appoggiata ad una porta "parli la mia lingua?"
"Sì"
"Prova a dire 'buongiorno, Teddy'"
"Buongiorno, Teddy"
"Di 'buongiorno, Teddy-Bear"
"Buongiorno, Teddy-Bear" ripete lei, esprimendosi in un inglese quasi perfetto; mi passo la lingua sulle labbra e le accarezzo una ciocca dei lunghi capelli scuri: non c'è nulla in lei che ricordi, anche solo vagamente, Nickie ma so per certo che in questo momento non riuscirei a trovare altro di meglio.
"Ti piacciono le parrucche?" le domando, allora, con un ghigno.
"Per il giusto prezzo, mi piace qualunque cosa" mormora la giovane donna, restituendomi il ghigno, prima di prendermi per mano e trascinarmi in un luogo più appartato, lontano da occhi indiscreti.
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