[quattro]

Dovrei scendere quelle maledette scale, andare in giardino, mostrare un sorriso finto e le mie braccia grasse in questa cazzo di festa che non ho mai voluto.

Nessuno mi ascolta e nessuno sa cosa voglio, nessuno mi guarda negli occhi vuoti e persi, nessuno mi vede le braccia e le cosce graffiate, sono invisibile davanti a tutti quanti.

Loro fanno finta di niente, fingono di essere felice mentre guardano i miei occhi spenti, lo so, fingono che vada tutto bene, che io non sia grassa e brutta.

Scosto la tenda per sbirciare fuori, dove ragazze perfette e magre si abbuffano di focacce, ballano, ridono, abbracciano e baciano i ragazzi per salutarli, incluso lui.

E fa male da morire, ma lui non lo saprà mai.

Se penso che meno di mezz'ora fa proprio lui era a meno di dieci centimetri da me e che il suo respiro mi colpiva in pieno il viso, mi tremano le gambe.

Ed è brutto essere come me, sentirsi una nullità, avere quel fare di falso menefreghismo e indossare un sorriso come maschera, perché anche se fa male, ti tieni tutto dentro e ti richiudi nel tuo guscio invalicabile, un muro di emozioni forti e distruttive.

Mi prendo la testa fra le mani e faccio vari respiri, per prendere un po' coraggio che non ho, e che scomparirà appena mi poseranno gli occhi addosso.

Ogni giudizio, ogni occhiata, sono come un pugnale che mi colpisce, e la ferita non può essere curata e non guarisce mai, è un dolore che dura per l'eternità.

Ogni scalino mi sembra un passo verso il patibolo, la strada verso la morte e addio mondo.

Appena metto piede in giardino vorrei tornare indietro, per sfuggire a tutte quelle facce che si girano e mi squadrano dall'alto al basso, facendo smorfie di disgusto.

Faccio vagare lo sguardo e vedo solo perfezione, canotte e pantaloncini da cui non esce un solo centimetro di grasso, mentre io sono coperta da capo a piedi per non mostrare niente del mio corpo pieno di difetti.

E poi i miei occhi si fermano, si bloccano su quei capelli scompigliati, su quei due occhi neri come pozzi, su quella bocca carnosa, e mi accorgo di essermi incantata solo quando qualcuno mi urta e sono costretta ad appoggiarmi al muro di fianco a me.

"Cavolo scusa, odio questi tacchi, sono un'impedita!"

Sorrido e alzo la testa verso quella voce squillante e mi trovo davanti due occhi verdi che mi guardano preoccupati e una folta chioma rosso scuro.

"Comunque io sono Veronica e tu sei, aspetta, lo so!"

La vedo squadrarmi e annuire soddisfatta mentre io la guardo con le sopracciglia alzate, come può sapere chi sono?

"Sei Beatrice giusto?"

"Si ma, come fai a conoscermi?"

"Tranquilla, non sono una strega voodoo, me l'ha detto il ragazzo che ti stavi mangiando con gli occhi, e credimi, ti dò ragione, è meraviglioso ma.."

Si ferma e sorride, notando la mia faccia che è sicuramente viola per l'imbarazzo.

"Se fossi in te non ci proverei, è fidanzato con quella Barbie che gli sta attaccata come una cozza e gira voce che sia gelosa, capisci ciò che intendo?"

Che tradotto vuol dire che avrei rischiato il linciaggio, e chi può darle torto?

"Si, credo di aver capito."

Le sorrido, forse il primo vero sorriso da anni.

È la prima persona che incontro che non fa commenti, che non mi guarda in modo strano, che mi fa sentire uguale a tutti e non diversa.

"Carino il vestito."

Mi dice, ma non riesco a risponderle, perché un'altra voce femminile si intromette, strappandomi quel minimo filo di felicità.

"Mia nonna si veste meglio."

È la Barbie gelosa che mi fa sprofondare, mi guarda schifata e sta insultando un vestito che avrei fatto volentieri a meno di indossare se non fosse stato per mia madre.

"Alice."

La sua voce fredda, la sua bocca, i suoi occhi neri, il suo sguardo, su di me.

"Che c'è? Ho espresso un mio parere, è forse vietato?"

Fa lei, sorride e si volta verso di lui che sposta lo sguardo sulla sua ragazza fatta con lo stampino: capelli biondi, occhi azzurri, magra e senza difetti, una bambola perfetta.

"Non farci caso, è stronza con tutti."

Mi sussurra Veronica appoggiandomi una mano sulla spalla.

"Lasciala stare, per favore."

La sento sbuffare mentre lui mette le mani sui fianchi di lei, e io mi sento morire quando mi guarda con un sorriso, quasi di pietà e compassione.

La coppietta felice si sta allontanando e io mi sento meglio, ricomincio a respirare, ricomincio a sopravvivere.

"Uh, scusa Bea, ma ci sono quelle deliziose schifezze che mi chiamano, ti spiace?"

"Vai tranquilla, mangiale anche per me."

Le dico, mostrando un sorriso forzato e alzando le spalle.

Io sembro una balena, lei può mangiare e io no.

"Non sei grassa Bea, sei donna."

E si allontana, lasciandomi sola, in mezzo a quella perfezione che mi fa quasi venire la nausea.

Qualcuno ha acceso la musica sul telefono, perché sento le note degli Skrillex entrarmi dentro, chiudo gli occhi e immagino cose impossibili, desiderando persone impossibili.

Chi vorrebbe mai stare con una persona grassa?

"Dunque tu sei l'altra festeggiata?"

Arriva la Barbie che mi butta giù dal pozzo.

"Sì."

La mia voce esce debole e attendo il peggio, che so che arriverà presto.

"Mattia li compie domani, vi conoscete?"

La domanda a cui non avrei mai voluto rispondere mi è piombata addosso come un macigno.

"Si, eravamo amici tanto tempo fa."

Parlare al passato di lui mi fa contorcere lo stomaco.

Lei sorride, un sorriso maligno, soddisfatto, di chi ha vinto ancora prima di combattere.

Ho perso.

Ho perso lui.

"Non lo siete più quindi?"

Il suo falso tono triste mi fa salire il crimine.

Nervoso a mille.

"No."

"Come mai?"

Fa una pausa, per vedere quanto è riuscita a sconvolgermi, ma rimango impassibile, mentre dentro di me si svolge la terza guerra mondiale.

Hai perso.

"Non che mi interessi, ma sai, io sono la sua fidanzata, quindi meno cozze gli girano intorno meglio è."

Forse "cozza" è l'insulto più carino che mi abbiano mai fatto.

Forse lei non è così stronza.

L'apparenza inganna.

"Non mi interessa."

Dico torturandomi le mani e mordendomi l'interno della guancia.

Fa un male cane.

Sorride, un sorriso più falso del mio.

"Neanche a lui tu interessi credimi."

Stronza.

L'apparenza non inganna, ti avverte.

Perché il mondo sta per crollarono addosso?

Perché sto soffocando?

Perché lui sta venendo qui?

Dove cazzo è finita Veronica?

Ha trovato Homer Simpson e le sue ciambelle per strada?

"Amore, non mi avevi detto che era tua amica."

Dio no, dissolviti Barbie.

Lui alza un sopracciglio e mi guarda.

"Ciao Bea."

E sorride, quel tipo di sorriso che fa tremare le gambe e fa morire i polmoni.

"Allora? Vi conoscete?"

"Da quando siamo nati."

"Ma ora non siete più amici."

Il sorriso soddisfatto di lei fa scomparire quello di lui.

"Non è vero, lo siamo ancora."

Non parlare per anni, non guardarsi negli occhi e non vedersi per altrettanto tempo vuol dire essere amici?

Che faccia tosta.

Fa ancora più male se io ho continuato a fare tutto questo senza essere ricambiata.

"Lei ha detto che non lo siete più."

"A lei piace dire bugie."

Mi guarda, e non riesco a rispondere.

Lui è il bugiardo.

La Barbie continua a spostare lo sguardo da me a lui, se gli sguardi potessero uccidere sarei già sottoterra.

"Oddio, voi non sapete il ben di Dio che c'è su quei dannati tavoli!"

Le entrate in scena di Veronica sono le migliori, sono la mia salvezza dal baratro.

Le sorrido mentre sento uno sguardo omicida su di me.

"Quindi mi hai detto una balla, ti interessa non è vero?"

La faccia sorpresa di lui non ha paragoni, la mia è sbiancata e ha paura.

"Che cosa interesserebbe a Bea?"

Interviene Veronica, che sta spostando lo sguardo dall'una all'altra, spaesata.

"Tu lo vuoi."

La sua voce mi fa paura.

"Alice, che cazzo stai dicendo?"

Lui si sposta verso la sua ragazza che però non lo degna di uno sguardo.

Mi attende la forca.

"No."

Dico, sperando di porre fine a questo incubo, anche mentendo a me stessa.

Lo voglio.

Non c'è bugia che tenga.

La sua bibita mi finisce sulla parte alta del vestito, rendendolo quasi trasparente.

Ho gli occhi di Mattia addosso, forse l'unica cosa positiva del momento, mentre Veronica inizia a dimenarsi e a insultare la Barbie.

Quasi nessuno si è accorto di noi, del mio vestito da buttare, del mio reggiseno che si vede e della morte che sto affrontando.

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