[quattordici]
[ Avverto che questo capitolo è scritto in terza persona.
Buona lettura kidz ]
Lui nell'altra stanza, lui addosso a lei, lei che ride, che lo tocca, che lo bacia, è questo ciò che sta pensando Beatrice, ancora distesa su quel letto tanto estraneo, con le mani sugli occhi, i capelli arruffati e sparsi sul copriletto, e nessuno che la sente piangere.
Vorrebbe andarsene, fuggire via di corsa, e tornare a casa, rifugiarsi nella sua stanza dove nessuno può entrare, dove nessuno può sorpassare quel muro di dolore che la circonda.
Perché Bea non può sopportare questa situazione, non può vedere lui con lei, non può vederli insieme, non dopo quello che è successo appena qualche giorno prima.
È appena arrivata e vorrebbe già uscire da quella casa, da quelle persone con cui lei non ha niente in comune.
E lei piange, versa lacrime, il dolore che le attorciglia lo stomaco e le fa sentire un senso di vuoto, incolmabile se non da una persona.
Se avesse con sè la lametta ora starebbe meglio, sfogarsi sul suo corpo, vedere il sangue che esce, le cicatrici che segnano la sua pelle bianca, la fa sentire meno sbagliata, come se con quel gesto riuscisse ad alleviare in parte il suo dolore.
Con grande fatica si alza e si porta davanti allo specchio circolare appeso alla parete, striscia le pesanti gambe sul pavimento, non ha la forza di essere felice.
Con una smorfia disgustata nota che non ci sono modi per non specchiarsi in quella stanza, sembra fatto apposta, così che lei possa vedersi sempre davanti agli occhi, in ogni suo difetto, in ogni sua imperfezione, in ogni sua lacrima.
Alza il viso e ciò che vede non la spaventa più di tanto: occhi gonfi e rossi, viso a chiazze, battito accelerato, mani tremanti, tutto rabbrividisce dentro di lei.
Chiude gli occhi e stringe i pugni sulla sua canotta che la fa sembrare ancora di più grossa, i fianchi ancora più larghi.
Digrigna i denti e soffoca un urlo di dolore, di disperazione, di rabbia, vorrebbe sparire e andarsene per sempre.
Deve calmarsi, riprendere il controllo di sè, respirare normalmente, non dare spettacolo davanti a tutti e fare la figura della bambina.
Sospira e si mette dritta, davanti allo specchio, si osserva e vorrebbe spaccare, ridurre in frantumi, l'immagine riflessa.
Un piede davanti all'altro, esce da quella stanza che la fa sentire in una gabbia e percorre il corridoio, fino al bagno.
La porta è chiusa, vorrebbe bussare, ma sente delle voci e delle risate provenire dal salotto e ne deduce che tutti siano lì, a ridere senza di lei.
Allunga la mano e afferra la maniglia, la abbassa ed entra, richiudendosi la porta alle spalle con un tonfo, dettato anche dalla sorpresa di non trovarsi da sola.
Rimane a fissarlo, senza respirare, per qualche secondo, fino a quando decide che forse era meglio se continuava a piangere nella sua stanza.
«S-scusa, pensavo fosse libero» balbetta e deglutisce, cercando di non guardarlo, di non fissare nella mente ricordi dolorosi.
«Tranquilla, puoi restare» dice lui, osservandola da capo a piedi, e avvicinandosi a lei, che indietreggia fino ad avere le spalle contro la porta.
«Non ti mangio Bea» accenna una risata senza smettere di guardarla, non curandosi minimamente del fatto che sia senza maglietta davanti a lei.
Deglutisce e ora lui è così vicino che non può più guardare il pavimento, non può più distrarsi da lui, ma deve resistere per non toccarlo e stringerlo, come se lui fosse la medicina a tutti i suoi mali.
«Allora, scommetto che è stata Veronica a portarti qui, giusto?»
chiede e lei annuisce senza scomparsi, senza parlare, senza guardarlo negli occhi.
«Ti sei mangiata la lingua, di nuovo, Bea? Almeno guardami» dice indispettito prendendo il suo mento tra le dita per alzarle lo sguardo e scoprendo il suo segreto.
Lo sguardo fisso su di lei, occhi negli occhi, un semplice contatto e il cuore che sembra volarle via dal petto.
Lui la guarda interrogativo e aggrotta la fronte, come se volesse capire il motivo delle sue lacrime, come se volesse scavare dentro e scoprire tutti i suoi inganni.
«Perchè hai pianto?» chiede, e lei vorrebbe trasmettergli la risposta dal suo sguardo, spento e immobile.
Sospira e le sue dita passano ad accarezzarle la guancia, e lei diventa creta nelle sue mani.
«Ti tagli ancora?»
E Bea rimane impalata, rigida, non si sarebbe mai aspettata quella domanda da lui.
Ha solo la forza di negare con la testa e non rendersi conto che lui si è fatto ancora più vicino, e le loro fronti si toccano.
Sorride e le prende il viso tra le mani, lasciandole un bacio a fior di labbra, solo un semplice contatto, ma che a lei provoca la pelle d'oca.
Lei ne vorrebbe ancora e ancora di suoi baci, e, come se lui avesse il potere di leggerle nella mente, unisce di nuovo le loro bocche, in un vortice di desiderio.
Si staccano per prendere fiato, gli occhi di lui, neri come la pece, fissi in quelli di lei, azzurri come il mare d'inverno.
Di nuovo, fronte contro fronte, sospiri contro sospiri, mani tremanti che si toccano.
«Non prendertela male se Alice ti dirà qualcosa, è stronza e deve fare la dura. In realtà, non è poi tanto diversa da te, anche se lo nasconde bene. Forse è per questo che sto con lei»
Sussurra le ultime parole, come se non volesse veramente dirle ad alta voce, ma a Beatrice arrivano come un coltello conficcato nello stomaco.
Lo guarda con espressione confusa e accigliata, mentre lui sembra essersi accorto di aver sganciato una bombardamento si guarda intorno a disagio.
«Scusa, ora dovrei fare la doccia» ammicca per sciogliere la tensione nell'aria e le lascia un'ultima carezza, prima di lasciarle varcare la porta.
[ Boom boom
Sarà l'unica volta in cui pubblico in questo periodo, il capitolo l'avevo iniziato da un po' e volevo finirlo.
Che ne pensate?
Preferite terza persona o normale?
Baci kidz ]
⚠️RICORDO CHE HO CREATO UN GRUPPO SU FACEBOOK PER LE MIE STORIE, SI CHIAMA alicehorrorpanic's stories
ISCRIVETEVI✌️
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