[nove]

Oggi è l'ultimo giorno di scuola, e sentirò ancora per una volta quello stridulo e assordante suono della campanella che mi ha fatto tremare ed esultare per tutto l'anno.

Non vedrò più per tre mesi quelle facce noiose che mi guardano male come se venissi da un altro pianeta.

E loro non vedranno più me, e saranno ancora più felici, mentre io resterò sempre la solita depressa e cicciona che passerà l'estate a muffire nella sua stanza.

Perché alla fine, sono un essere indesiderato da tutti, e anche mentre attraverso i corridoi mi sento un'estranea, fuori dal mondo, cosa ci faccio qui?

«Ehi Bea!»

Mi sento chiamare da una voce squillante e non ho bisogno di girarmi per sapere chi é, so già che si tratta di Veronica, l'unica persona che potrei considerare mia amica in questo inferno.

«Ciao!»

Le sorrido, perché alla fine se lo merita, passa sopra tutti gli sguardi spalancati e sorpresi e mi abbraccia forte: mi sta stringendo così forte da farmi male, anche attraverso tutta la ciccia di cui sono piena.

«Come stai? Finalmente siamo fuori da questa cazzo di scuola, non vedevo l'ora di uscire! Magari possiamo vederci qualche volta questa estate, che ne dici?»

Il tornado Veronica mi colpisce in pieno, e dentro di me sento nascere un fiore, che sboccia e mi riempie di gioia, tant'è che scoppio a ridere senza neanche accorgermene.

«Bea, stai bene?»

Mi guarda stranita ma allo stesso tempo sorridente, tra poco mi imiterà anche lei.

«Ma cosa c'era nel tuo caffè stamattina? Me lo devi passare assolutamente se fa questo effetto!»

E stiamo cinque minuti buoni a ridere senza un motivo, e credo che questi sia stato lo sprazzo di tempo più bello della mia vita, uno spiraglio di luce in mezzo al buio.

«Ma che avete bevuto?»

Una voce e il mio cuore si ferma, la risata si smorza e il respiro si affanna.

«Ha iniziato lei e non riesco a smettere.»

Dice Veronica, che ormai a furia di ridere ha le lacrime agli occhi.

«Tu?»

Dice lui con tono sorpreso.

Non lo guardo, non ci riesco, non a quella poca distanza di sicurezza, che già in questi giorni è stata ampiamente superata.

Abbozzo un sorriso, ho lo sguardo abbassato quindi lui non può vedermi in faccia, ma sento il suo sguardo su di me, che pesa come un macigno e mi fa arrossire.

«Mi piaci quando ridi.»

Mi sussurra all'orecchio e vengo scossa da fremiti, il tono roco della sua voce dovrebbe essere illegale per tutto l'universo femminile.

Deglutisco, sento freddo e non capisco il motivo, visto che fuori ci saranno quasi 27 gradi, e lui continua a sorridermi, incurante delle reazioni che provoca dentro di me.

«Oddio Bea, io vado, ti scrivo io!»

Veronica, che fino a quel momento sembra non essersi accorta di nulla, mi bacia una guancia e corre verso la fermata del pullman.

Mattia è ancora di fianco a me, non si muove, mi chiedo dove sia finita la sua Barbie, voglio stare da sola con lui ma allo stesso tempo non voglio.

Troppo silenzio, troppo imbarazzo, è come se non ci conoscessimo, forse se le cose fossero andate diversamente, se fossi magra, se fossi bella, se fossi perfetta, a quest'ora saremmo amici o magari fidanzati.

Non posso lasciare che questi pensieri sfiorino la mia mente, fa troppo male, la realtà mi fa schifo e non posso cambiarla.

Tossisce e ritorno coi piedi per terra.

Alzo la testa e i suoi occhi scuri come la notte mi fissano così intensamente che trattengo il respiro.

«Allora, oggi tua madre è in casa?»

Mi chiede e non capisco il senso di questa domanda.

«Non credo.»

«Bene.»

Dice sicuro passandosi una mano tra i capelli già scompigliati e socchiudendo gli occhi.

«Perché bene?»

Si passa la lingua sulle labbra, si avvicina ancora di più a me e io perdo un battito.

«Lo vedrai.»

Mi sussurra in tono malizioso e si allontana, lasciandomi impalata a guardarlo a bocca aperta.

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