COME MIO NONNO PRIMA DI ME
*tre anni dopo la fine di Rise of Light*
A Jun Jen erano sempre piaciuti i colori. Poteva passare ore intere ad osservare i profondi arancioni di un tramonto che lentamente sfumavano nel rosa e poi nell'azzurro scuro della sera, o l'azzurro terso del cielo dopo un temporale, o le coreografie danzanti di rosso e giallo che volteggiavano insieme nel fuoco che crepitava nel camino. Una volta, aveva trovato un datapad a palazzo, con delle foto di Alderaan ed era rimasta incantata davanti al verde acceso e profumato degli immensi prati di quel mondo perduto. Un peccato, non avere più la possibilità di vederli di persona. Il pensiero la riempiva di una tristezza che la sua mente di bambina non riusciva ancora a processare bene.
E, principalmente per questa sua spiccata passione, Jun Jen detestava Mandalore con tutto il cuore. Tutto quel grigio, per la sua mente da pittrice, significava noia e depressione. Non riusciva proprio a capire come suo padre, e tutto il resto della sua famiglia, se era per quello, adorassero così tanto il loro pianeta natale da dedicargli così tanta attenzione e così poca a lei. Aveva perso il conto delle volte in cui era stata affidata ad una tata, perché suo padre, Harry Krytze il Duca di Mandalore, doveva partecipare ad una riunione di emergenza o incontrare qualche ambatore, o qualcosa del genere.
Jun Jen passava le sue giornate ad imparare ad essere una brava contessina, a fissare fuori dalla finestra i grattacieli di Sundari, la capitale chiusa nella sua bolla di protezione che le permetteva di esistere nel gelido deserto di Mandalore, creato da anni di incessante guerra, o a disegnare su un vecchio blocco da disegno fantastiche avventure che si immaginava e che le apparivano in mente non appena chiudeva gli occhi e lasciava vagare i pensieri.
Sognava spesso che un Cavaliere forte e potente, sarebbe arrivato con la sua astronave e l'avrebbe portata via da lì per vivere fantastiche avventure al suo fianco. Le avrebbe insegnato tutto ciò che sapeva e insieme avrebbero sconfitto il male nella Galassia. Jun Jen non dubitava che un giorno sarebbe accaduto.
Quando suo padre Harry era entrato nella sua stanza qualche giorno prima, e le aveva annunciato che sarebbero partiti per un viaggio su Coruscant, all'inizio era stata eccitatissima. Poteva contare sulle dita della sua manina le volte in cui suo padre aveva passato con lei più di qualche ora, e sempre comunque con il comm-link che squillava ogni tre per due, e ora avrebbero addirittura fatto un viaggio insieme. Finalmente avrebbe visto mondi nuovi e sarebbe uscita da quella bolla che sembrava sempre toglierle l'aria dai polmoni. Un sogno diventato realtà.
Mentre Jun Jen sedeva accanto a suo padre sul sedile posteriore di un taxi di Coruscant, stava rapidamente rivalutando la situazione. Il tempo era pessimo e la pioggia ticchettava incessantemente sul vetro dello speeder, rendendo quasi impossibile vedere qualcosa della città a più di un palmo di distanza dal finestrino oscurato.
La piccola sospirò e si osservò il vestitino rosa chiaro che le avevano fatto indossare quella mattina, sperando di poter indossare dei pantaloni colorati e una maglietta a strisce multicolor. Peccato che avesse poca voce in capitolo nelle scelte dell'abbigliamento.
"Quanto manca papà?" chiese dopo quelle che le sembravano ore di viaggio.
"Poco." Rispose suo padre che stava seduto dritto sul sedile come se gli avessero conficcato un palo nella spina dorsale. "E lo sai, Jun Jen, che non mi devi chiamare così. Io sono tuo padre." Disse sottolineando per bene l'ultima parola per chiarire il concetto.
Jun Jen non rispose e si fissò i piedi incastrati in due ballerine di seta. Sapeva che suo padre le voleva bene. Riusciva in qualche modo a percepirlo. Così come percepiva che lei gli ricordava la mamma che non c'era più e questo lo faceva soffrire, ma non si nascondeva dietro rigidezza e serietà perché non teneva a lei. Tutto il contrario.
Lo speeder si fermò ai piedi di un grattacielo e suo padre pagò il taxista, lasciandogli una generosa mancia che era quasi il doppio del prezzo della corsa. Una volta nell'atrio Jun Jen si guardò intorno e notò che era interamente realizzato con pietre verde chiaro, un colore gentile e delicato. Suo padre la guidò fino all'ascensore e insieme salirono fino all'ultimo piano.
Suonarono alla porta e attesero qualche secondo prima che si spalancasse per rivelare un droide dorato. "Salve, Vostra Altezza. Sono C-3PO, relazioni umane cyborg. Se volete accomodarvi, il Maestro Skywalker sarà da voi in un attimo."
Jun Jen e suo padre vennero scortati dal droide in un salottino dalle parti azzurro pastello e con due divani color crema uno di fronte all'altro, disseminati di cuscini. Padre e figlia si accomodarono uno di fianco all'altro.
"Gradisce qualcosa da bere, Altezza?" chiese ossequiosamente il droide protocollare.
"No, grazie." Rispose suo padre senza consultarla e Jun Jen arricciò il naso. Avrebbe davvero gradito qualcosa con cuoi sciacquarsi la bocca.
Dopo pochi minuti una porta in fondo alla sala si aprì ed un uomo alto fece il suo ingresso nel salottino. Era vestito tutto di nero, con solo una maglietta marrone scuro che spuntava dalla tunica, aveva i capelli biondi che gli si arricciavano sulle orecchie e due occhi azzurro cielo che catturarono immediatamente l'attenzione di Jun Jen.
"Buongiorno, Altezza." Disse l'uomo parlando con voce rauca.
"Buongiorno, Maestro Skywalker."
I due uomini si scambiarono una stretta di mano, poi il nuovo arrivato si sedette sul divano dritto di fronte a loro. "Oh, può chiamarmi Anakin, se vuole."
"E ciao Jun Jen." Aggiunse, puntando i suoi magnetici occhi azzurri su di lei. "Caspita quanto sei cresciuta."
Jun Jen gli rivolse un largo sorriso, decidendo che quel tipo le piaceva. Nessuno la trattava mai in modo così rilassato su Mandalore.
Harry lo gelò con lo sguardo. "Mia figlia un giorno diventerà la Duchessa di Mandalore e merita il rispetto che si addice al suo titolo."
L'espressione gentile di Anakin vacillò per un attimo, prima che la rimettesse sotto controllo e sfoggiasse una tipica facciata Jedi di calma serenità.
"Scusate. Non era mia intenzione essere scortese." Disse, abbassando il capo in un gesto di scusa.
"Se si sta chiedendo il motivo per cui sono, qui Maestro Skywalker," cominciò il Duca senza perdere tempo in altri convenevoli. "E' questo."
Estrasse dalla tasca interna un foglio di carta piegato e lo tese ad Anakin che lo osservò per un lungo istante.
"Quando l'ha fatto?" chiese, lanciando un'impercettibile occhiata verso Jun Jen.
"Una settimana fa. E non è il primo." Rispose suo padre con voce tesa. "Volevo... un'opinione, ecco."
Anakin sospirò. "E' a conoscenza della mia opinione a riguardo, Altezza. È sensibile alla Forza, ha bisogno di addestramento."
Tutto il corpo del duca di Mandalore si irrigidì. "Questo non succederà. Ci deve essere un'altra soluzione."
"Non c'è una soluzione. Non può negare chi è, chi siete. Che lei lo voglia o no, l'eredità di suo padre scorre in entrambi, perlomeno quella genetica. Era un grande Jedi e-"
Harry lo interruppe con un gesto di derisione. "Sì. Proprio grande." Esclamò sarcasticamente, poi chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. "Ho bisogno del bagno. Poi ce ne andiamo. Mi sembra chiaro che non possa aiutarci, Maestro Jedi."
Anakin sospirò di nuovo e gli indico la direzione da seguire.
Una volta rimasti soli, Jun Jen puntò i suoi occhi grigio-azzurri su di lui. "Stavate parlando di me?" chiese secca e diretta.
L'uomo che sapeva chiamarsi Anakin esitò. "Non precisamente." Rispose poi vagamente.
Jun Jen aggrottò le sopracciglia. "Cos'è un Jedi?" chiese, con aria curiosa.
Anakin rimase in silenzio a fissarla per parecchi secondi, poi parve prendere una decisione. "Un Jedi è una persona che sa usare la Forza e decide di dedicare la sua vita a mantenere la pace nella galassia."
"E anche mio nonno era un Jedi come te?" chiese innocentemente Jun Jen.
Anakin spalancò gli occhi, colpito dal suo intuito. "Sì." Rispose poi lentamente. "Sì, lo era."
"E come si chiamava?"
Anakin rimase di nuovo in silenzio per un lungo istante. "Obi Wan. Si chiamava Obi Wan Kenobi."
Jun Jen se lo ripetè tra sé un paio di volte, per assicurarsi di non dimenticarlo. Tante domande le frullavano nel cervello, prima fra tutte perché suo padre doveva essere sempre così scortese.
"Vuoi un biscotto, Jun Jen?" chiese all'improvviso Anakin.
La bambina sobbalzò sorpresa, poi gli sorrise con adorazione ed annuì. Anakin la guidò fino ad una piccola cucina accogliente, poi la fece sedere al tavolo con un pacchetto di gocciole al cioccolato e un bicchiere di thè freddo.
"Grazie, Maestro Skywaller." Disse Jun Jen, masticando allegramente.
Anakin ridacchiò. "E' Skywalker. Ma puoi chiamarmi Anakin."
Jun Jen sorrise e fece per dire qualcos'altro, ma un ragazzo fece il suo ingresso in cucina, interrompendola.
"Oh, abbiamo un'ospite." Esclamò, sorridendo alla bambina che notò che sembrava una versione in miniatura di Anakin. "Ciao... Jun Jen, giusto?"
Jun Jen annuì seria. "Tu come ti chiami?"
"Luke." rispose il ragazzo, afferrando un biscotto e infilandoselo intero in bocca. Poi si rivolse ad Anakin. "Io vado al Tempio. Ciao papà, Jun Jen."
"Ciao, 'Uke." Rispose la bambina, scuotendo la manina dietro al ragazzo che se ne andava. Poi corrugò la fronte, pensierosa.
"Qualcosa ti tormenta, giovane Jun Jen?" chiese Anakin sorridendo.
Jun Jen lo inchiodò con il suo sguardo magnetico grigio-azzurro. " 'Uke ha il permesso di chiamarti papà. Il mio non vuole mai." Disse con sospirò ed uno sguardo triste.
Questa rivelazione parve scioccare Anakin, che non aprì bocca per parecchi minuti. Jun Jen finì il suo thè e rimase ad osservare la pioggia che cadeva lenta fuori dalla finestra.
"Tuo padre... ti vuole molto bene, Jun Jen. Anche se ha il suo modo particolare di dimostrarlo." Offrì esitante alla fine, e Jun Jen alzò le spalle, come se dopotutto la cosa fosse di poco conto.
"Senti, Jun Jen." Disse all'improvviso Anakin, guardandola con un fare serio, che lei subito imitò. "Se dovessi avere bisogno di me, sappi che io ci sarò sempre. Qua ci sono la mia frequenza e l'indirizzo di questo appartamento e del Tempio Jedi. In qualunque momento tu abbia bisogno del mio aiuto, chiamami, okay?" disse, mettendogli in mano un foglietto di carta. Jun Jen annuì con serietà e se lo infilò nella tasca del vestitino.
Anakin le sorrise dolcemente, poi le sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli castano-ramati che era sfuggita alla treccia. Prima che Jun Jen potesse ringraziarlo però, il droide protocollare che li aveva accolti all'ingresso entrò svelto in cucina.
"Padron Ani, scusate l'interruzione, ma Sua Eccellenza il Duca, mi ha mandato a chiamare la Signorina Jun Jen per andarsene."
Jun Jen si alzò svelta dalla sedia e seguì Anakin fino all'ingresso dove suo padre la stava aspettando con un'espressione severa sul viso. "Spero non sia stata un peso." Disse rivolgendosi ad Anakin.
"Oh no, al contrario." Rispose allegramente il Jedi, voltandosi verso la bambina e strizzandole l'occhio con complicità.
"Auguro buon viaggio a lei e a sua figlia, Duca." Disse Anakin, chinando appena la testa.
Harry gli rivolse un sorriso freddo ed annuì poi si voltò, prendendo per mano la figlia. Jun Jen si voltò un'ultima volta e lo salutò con la mano, prima che suo padre la trascinasse via, lungo il corridoio.
Una volta usciti Anakin sospirò sonoramente, poi si avvicinò all'enorme finestra che dava su Coruscant ed osservò i fiumi di speeder sfilare come sentinelle sotto la pioggia della capitale della Repubblica, cercando di individuare quello su cui se n'erano appena andati i discendenti del suo maestro. Tirò fuori di tasca il foglio che gli aveva dato Harry e lo soppesò, stringendo gli occhi. Era certo che prima o poi, quella bambina sarebbe entrata in contatto con i Jedi e con la Forza, era scritto nel suo sangue, che il padre fosse d'accordo, oppure no. Di certo, il disegno che raffigurava due uomini, uno con i capelli dorati e l'altro con i capelli rossicci, che combattevano droidi metallici armati di spade laser azzurre, diceva un sacco sulle sue capacità. Questa volta però, Anakin non avrebbe forzato la mano. Decise che avrebbe semplicemente lasciato che il destino facesse il suo corso.
***
5 anni dopo...
Un bussare concitato alla porta del suo ufficio fece scattare Anakin Skywaker immediatamente all'erta. Era notte inoltrata, e si era fermato al tempio per sbrigare dei documenti che rimandava da settimane e che non potevano più aspettare. Si chiese chi potesse essere a quell'ora e quale tipo di cattive notizie potesse portare con sé. Svelto, si avvicinò alla porta e la spalancò. La vista che lo accolse aveva dell'incredibile. Una ragazzina di circa 12 anni stava ferma sulla soglia. Aveva i capelli rossicci raccolti in una lunga treccia che le arrivava fino alla vita, due brillanti occhi grigio-azzurri e l'aspetto di chi si è infilato tutto intero in una lavatrice impostata sulla centrifuga. I pantaloni militari rosa shocking che indossava erano strappati sul ginocchio, la maglia a strisce arcobaleno era macchiata e stropicciata e veniva nascosta sulle spalle da un mantello nero che aveva visto giorni più felici in fatto di igiene.
"Ciao, Anakin!" esclamò la ragazzina con un sorriso radioso. "Sono Jun Jen. Hai una stanza libera?"
Dopo che Anakin si fu ripreso dallo shock e dopo parecchia opera di persuasione, Anakin dedusse che la ragazzina era semplicemente troppo testarda. Aveva scoperto che era scappata di casa lasciando solo un biglietto a suo padre, aveva viaggiato da sola da Mandalore fino a Coruscant e voleva unirsi a tutti i costi all'Ordine Jedi. Alla fine aveva acconsentito al fatto che Anakin facesse almeno una chiamata a suo padre, per rassicurarlo che stava bene e che non l'avevano rapita i pirati dell'Orlo Esterno. Dopo che Anakin aveva assicurato al Duca di Mandalore che la sua pargola in fuga era al sicuro e che se ne sarebbe preso cura, questi si era spiaccicato un sorriso da armistizio sulla faccia, l'aveva ringraziato e pregato di 'rimanere in contatto'.
"Allora sei proprio sicura?" chiese a Jun Jen dopo aver chiuso la chiamata. "Vuoi davvero diventare un Jedi?"
"Sì." Rispose la ragazzina con determinazione. "Ho investigato su mio nonno. Obi Wan. Ho scoperto tutto il grandissimo contributo che ha dato durante le Guerre del Cloni e prima, che avete dato. E voglio farlo anch'io, aiutare le persone. È questo ciò che sono destinata a fare, non rimanere chiusa in una torre a fare la contessina sul pisello. Voglio essere Jun Jen Kenobi, qualunque cosa pensi mio padre a riguardo. E voglio diventare un Jedi, proprio come mio nonno."
Anakin la osservò con un sorriso sornione. "D'accordo allora. Vieni, ho una cosa per te." le disse, facendole cenno di avvicinarsi.
Aprì un armadio e tolse una piccola scatola di legno. La aprì e ne estrasse un manico di metallo scintillante, lungo e affusolato. Glielo mise in mano lentamente.
Jun Jen strinse il pugno intorno all'impugnatura dell'arma, e avvertì come una corrente di ricordi lontani, tornare in vita insieme al suo proprietario. Storie di guerra e di pace, di amicizia e di fiducia tradita, di amore e paura e di compassione e tristezza. "Che cos'è?" sussurrò.
"La spada laser di tuo nonno." Rispose Anakin, con voce seria. "E' l'arma dei Cavalieri Jedi. Molto più elegante ed efficiente di un blaster."
Jun Jen incrociò lo sguardo azzurro di Anakin come per chiedere il permesso e lui le fece un cenno di incoraggiamento con la testa. Fece un respiro profondo poi premette il pulsante di accensione.
Dopo quasi 10 anni la spada laser di Obi Wan Kenobi tornò a brillare di azzurro con un sonoro sibilo.
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