Capitolo 1: Indecisione

Quel pomeriggio estivo, caldo e afoso anche sotto l'ombra di una quercia, le sorelle Tudor parlavano del fanciullo più bello del momento in paese. Spostandosi gioiose, la crinolina le stringeva in una morsa più forte ma che non bastava ancora per farle zittire. La sera arrivava in fretta ma a loro sembrava importargliene poco. Era ancora caldo, il sole baciava le punte delle spighe di grano e tutto il mondo in quel momento sembrava essersi messo ad ascoltare in silenzio quelle chiacchiere così immaturamente spinte. Che poi, spinte, era un puro modo di dire. La sorella più grande, parlava di quanto fosse bello lo sguardo del fanciullo, ed invidiava l'età della sorella più giovane perché anch'essa aveva diciotto anni. Dunque la sorella più giovane si scoraggiava, complimentando la sorella più grande per la sua bellezza naturale. Non gli serviva nemmeno il fard che la mamma teneva chiuso in un cassetto, credendo che le figlie non lo trovassero facilmente. Tuttavia, lì teneva i carboncini che perquisiva alla figlia più grande quando scappava di casa nel bel mezzo della notte. Questa punizione infatti era una tortura per Clarke, dato che dopo lo studio, disegnare era il suo passatempo preferito. Anche in quel momento, infatti, Clarke non aveva portato appresso i suoi carboncini, ne il suo blocco di fogli giallastri preferiti. Avrebbe potuto approfittare del giro al mercato che la madre fece quel pomeriggio, ma non se la sentì di sgattaiolare fino in camera sua per prendere i carboncini. Non ne aveva la voglia. La sorella più giovane, Jennie, le chiese infatti dove fosse finito il suo strano capriccio nel rappresentare la natura umana quella sera. Per tutta risposta ottenne un'alzata di spalle da Clarke che continuava a ballare, cullata dalla fantasia delle braccia di Paul attorno al suo corpo. Era più piccolo di lei di due anni e si sentii quasi in colpa per tali pensieri. Ma non durò abbastanza il senso di colpa. Uno sparo si fece sentire in lontananza ed il silenzio venne spezzato da uno squarcio metallico di un arma da fuoco. Le due sorelle si fermarono ad osservare dei ragazzi che uscivano correndo in gruppo da un boschetto lì vicino. Ridevano e si dimenavano in aria, saltellando di gioia. Quando si avvicinarono di più alla quercia dove le due sorelle guardavano la scena sbigottite, uno di loro diede una piccola spallata ad un'altro ragazzo, indicando in direzione delle due fanciulle. Il più basso di statura disse qualcosa al gruppo di ragazzi che per un momento si fermarono a guardarle. Clarke, si sedette immediatamente ai piedi dell'albero come per confondersi tra le spighe di grano. Jennie, presa da quel gesto d'attenzione, fece un cenno di saluto ai ragazzi, trasformando il bianco pallido delle gote di un colore rosso acceso. Sapevano entrambe che di lì a poco quei ragazzi si sarebbero avvicinati. Arrivarono in cinque e due di questi iniziarono a fare a gara per prendersi l'attenzione di Jennie, colta impreparata da quel gesto. Gli altri tre si sedettero a terra, quasi buttandosi per la stanchezza. Clarke individuò subito il giovane Paul in mezzo ai tre ragazzi seduti vicino a lei. Dovette trattenersi dal sorridergli in modo sfacciato, contenta che le avesse raggiunte. O meglio, che l'avesse raggiunta.

"Cosa ci facevate qui donzelle?" Chiese sfiancato uno dei tre ragazzi vicino a lei.

"Guardavamo il tramonto signore. E voi, che ci facevate in mezzo al boschetto?" Chiese leggiadra, senza sembrare una ficcanaso.

"Abbiamo cacciato. Era da ore che cercavamo di acchiappare una lepre." Disse mostrando il premio con un sorriso sornione.

Clarke vide il sangue della lepre colare sul suo vestito e dovette spostarsi in fretta per non sporcarlo ulteriormente. La madre le avrebbe fatto una ramanzina sicuramente quella sera, il sangue era davvero difficile da far sparire.

"Oh mi dispiace!" Il ragazzo si affrettò subito a porgerle il suo fazzoletto. Benché fosse sgualcito, lo accettò comunque, facendo un cenno col capo a quel ragazzo gentile.

"Mia madre mi ucciderá..." mormorò poi, notando che la macchia si espandeva sempre di più ogni volta che cercava di passarci sopra col fazzoletto.

"Parlerò personalmente a vostra madre, signorina. Mi scuserò di persona stasera stessa." E continuò, porgendogli la mano più pulita. "Mi chiamo Luke Benoit. E lei signorina?"

Clarke gli prese la mano che si chiuse ferrea sulla sua.

"Mi chiamo Clarke, Clarke Tudor signore." Sorrise gentilmente. Il sole iniziò ad appoggiarsi sulle lontane colline ed i loro occhi risplendevano degli ultimi raggi di luce della giornata.
"Piacere mio! Loro sono i miei amici: Paulito Velazquez, Maxime Pakston, John McDilly e James Junior McKane."

Alcuni fecero un cenno verso la sua direzione, ma notò che Paul, ovvero Paulito, aveva gli occhi fissi sulla sorella più giovane, che intanto ballava su note inesistenti assieme a Maxime e John. La invidiò abbastanza in quel momento. Ma si dovette arrendere che quella con Paul era solo una mera fantasia. Pur sempre bella, ma pur sempre una fantasia. Decise di dedicarsi pienamente ai discorsi del giovane Luke, anche se dimostrava aver più di qualche anno rispetto alla media del gruppo. Era un bel ragazzo, occhi neri e capelli corvini che prendevano una direzione tutta loro. Alcuni erano più dritti di altri che invece formavano veri e propri boccoli deliziosi. Clarke si focalizzò sulle linee del viso, longilineo e asciutto. La mandibola leggermente squadrata donava al suo volto un pizzico di maturità in più. Il baffo era completamente disordinato, ma adorabile allo sguardo di Clarke che si mise quasi a ridacchiare. Non era l'unico fortunatamente. Gli altri ragazzi avevano un aspetto trasandato, tipico di chi era stato a caccia per più di qualche ora. I loro abiti erano completamente sporchi e sgualciti, ma ai ragazzi non sembrava importargliene nulla. Non era l'abito che impediva loro di fare conversazione con due adorabili fanciulle come loro, pensò Luke. Anche se un po' si vergognava del suo incredibile odore di sudore e sperava tanto che Clarke non lo notasse. Confidava sul suo bell'aspetto da ragazzo venticinquenne e sul vento che faceva sfregare i rami della quercia sopra di se.

Clarke ai suoi occhi era adorabilmente dolce da guardare. Il labbro carnoso, la pelle pallida e leggermente curvata delle gote. La sua corporatura gentile, nascosta sotto al vestito da passeggio, avrebbe rivelato sicuramente un corpo tutto curve, ma perfettamente equilibrato ai suoi occhi. Non sapeva perché si perdeva a pensare queste cose di una ragazza mai vista prima, e ne rimase piacevolmente stupito. Si soffermò sui suoi capelli castani, raccolti in uno chignon dove gli sarebbe piaciuto poggiargli un fiore piccolo e delicato. Se solo non avesse avuto le mani sporche di sangue e una lepre sanguinolenta tra le mani, si sarebbe avvicinato di più al suo viso per tracciarne la fisionomia e per imprimerla per sempre tra i suoi ricordi. Pareva così bella da toccare che quasi quasi non gliene importava nulla delle mani sudicie. Con la scusa di spostargli una ciocca di capelli dietro l'orecchio, forse sarebbe riuscito a tracciare con la punta dei polpastrelli quelle gote che lo stuzzicavano tanto. Le sue labbra si sarebbero appoggiate volentieri a quella bella pelle morbida e invitante. Ma dovette reprimere i suoi desideri all'istante perché Clarke intimò alla sorella minore di ritornare a casa. Luke non si accorse subito che quella conversazione così breve e semplice si fosse tramutata in qualcosa che avrebbe potuto miglioragli l'intera serata. Ma non c'era verso, voleva sapere di più. Clarke tuttavia non era rimasta così soddisfatta della conversazione. Il ragazzo parlava davvero poco e di cose che principalmente non si aspettava di trattare in quella conversazione così povera. Gli sarebbe piaciuto sapere di più di quel ragazzo che sembrava esternare un carattere estroverso quando invece celava tutto in un mistero. Quando chiese dei suoi genitori, notò con rammarico che la sua mascella si contrasse e il suo sorriso si spense. Era un sorriso tirato, lei lo sapeva bene, tuttavia l'aveva lasciata con l'amaro in bocca. Era stata troppo invasiva? Si tirò su, un po' barcollante e camminò verso Jennie che era presa a ballare con Maxime.

"Andiamo, mamma ci aspetta." Gli intimò sentenziosa.

"Ma Maxime ed io stavamo ballando!" Jennie sembrava irremovibile.

"Andiamo!" Gli disse un po' più dittatoriale. Temeva comunque di essere sembrata cattiva agli occhi dei ragazzi, anche se in quel momento avrebbe preferito apparire così che stare un attimo in più con Luke. Lui, tuttavia aveva altri piani. Voleva accompagnarla a casa come le aveva promesso.

"Vi accompagno io a casa, signorine. Se me lo permettete ovviamente." Luke fece un sorriso gentile, il cuore gli si scaldò subito quando gli occhi di Clarke incrociarono i suoi a quella domanda repressa che non voleva sentire risposte negative. La voleva ancora un po' accanto, nonostante la sua apparenza. La sorella più giovane, prese per mano Maxime che sembrava aver capito immediatamente l'antifona. Se Luke la portava a casa, Jennie si sarebbe fatta accompagnare da Maxime. Tuttavia non avrebbe lasciato che la dolce diciottenne, facesse la terza incomodo.

Clarke a suo modo cercò di declinare l'offerta. Ma le fù impossibile. La sorella stava già camminando verso la direzione di casa, lasciando Paul assieme ai due amici con un'espressione ferita in volto. Era strano che in un'ora avesse già rimpiazzato la bellezza e la galanteria di Paul con un ragazzo nettamente diverso da quelle caratteristiche. I giovani cambiavano in fretta le opinioni, e un po' rimproverò se stessa per questo. Anche lei sembrava aver rimpiazzato la bellezza di Paul in una questione di qualche minuto. Luke aveva quell'aurea misteriosa che l'attirava a se come una calamita. Dopo che il ragazzo porse l'animale agli amici che dovevano ritornare in paese da soli, prese a braccetto Clarke che approfittò del buio della sera per arrossire indisturbata. Il blu del cielo rivelava le stelle più lucenti e le guardò per un attimo prima d'incamminarsi verso casa con Luke. In lontananza si sentì il fragore di un temporale che minacciava di avvicinarsi.

Il silenzio tra di loro era pura e densa tensione, nessuno dei due era capace di fare la prima mossa. Luke pensò a qualche cosa di sensato da dire, mentre Clarke sperava in quel silenzio scomodo ma che risultava essere confortevole da un certo punto di vista. Più confortevole di qualsiasi domanda. Ma sperava invano. Luke era curioso, voleva sapere tutto di lei. A piccole dosi si sarebbe preso qualsiasi informazione avesse voluto sapere e lei glielo avrebbe permesso. Sicuramente.

"Quindi cosa studiate?" Chiese Luke, marcando di più la voce per non far trapelare la sua insicurezza.

"Letteratura inglese. Mio padre è uno scrittore e vorrebbe che portassi in alto il suo nome, dove lui non è riuscito ad arrivare." Clarke però fece trapelare la dura verità che c'era dietro a quel sogno di conquista letteraria.

"Ma immagino non vi interessi così tanto come a vostro padre" Clarke annuì. Si sentì più leggera per un momento, come se le parole dette da Luke fossero da sempre state un peso dentro di lei.

"Vorrei diventare un'artista, scolpire, disegnare quadri e nel mio piccolo essere riconosciuta per ciò che amo fare, non per quello che vorrebbero gli altri da me." Luke annuì individuando in lontananza una casa.

"Sembra essere un lavoro molto richiesto al giorno d'oggi. Pure mio padre sta facendo ereggere alcune statue nel giardino di casa." Per la prima volta Clarke non si dovette sentire in imbarazzo per quell'affermazione. Aveva deciso di parlarne di sua spontanea a volontà con lei, ed era stato più semplice di quanto richiedeva, pensò Luke. Nominare il padre, nei suoi pensieri scatenava la bufera più violenta che si potesse mai manifestare in natura. Odiava quell'uomo. Tuttavia, il calore che emanava Clarke, fece in modo che quella bufera non si manifestasse. Le era segretamente grato di questo, nonostante la conoscesse da un'ora soltanto.

"Mentre a voi cosa studiate e cosa piace fare?" Chiese lei osservando il suo profilo attento.

"Studio medicina, vorrei essere in grado di aiutare i più bisognosi. Mentre per passione leggo. Nella mia dimora ho molti libri, può darsi che pure vostro padre faccia parte della mia raccolta. Tudor... Archelot Tudor giusto?" Si fermò attendendo una risposta dalla ragazza accanto a se.

"Il sogno di un vagabondo." Dissero all'unisono. Clarke sorrise contenta.

"Un libro rivoluzionario, pubblicarlo in questo momento storico se posso permettermi, è un vero spreco di forze e buone parole. Vostro padre condivide con me molte idee di libertà espresse in esso. Ma questa concezione di libertà non è ancora apprezzata da una moltitudine di persone al giorno d'oggi. Finché i nostri giudizi saranno sempre a loro volta giudicati non saremmo mai liberi." Luke sospese la conversazione quando Maxime e Jennie davanti a sè, si fermarono per salutarsi nel giardino senza confini della dimora di Clarke.

Il buio della sera ormai aveva iniziato a presenziare sopra la testa dei quattro ragazzi. Clarke fece per staccarsi dalla presa di Luke che però non sembrò apprezzare il gesto. Perciò la tenne vicina a se ancora per un po'. Ci avrebbe pensato qualcun'altro a dividerli.

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