30. Di rispettabili conoscenze
Un paio di grosse gocce precipitarono dal cielo, colpendola dritta sul naso. Una manciata di secondi, il tempo di infilarsi nella station wagon parcheggiata di traverso, e un rombo vicino annunciò lo scatenarsi di un temporale coi fiocchi.
Una volta sbattuta la portiera Lór borbottò un ciao a mezza bocca, infinitamente gutturale e a sé stante, mentre litigava con l'aggancio della cintura di sicurezza, difettoso da tempi immemori.
Anaïs, che fino a quel momento aveva avuto un'aria spensierata nonostante il maltempo, ora la guardava con le mani ancora inchiodate al volante e le sopracciglia pinzettate a dovere sollevate a formare due curve perfette. Dalla radio provenivano i borbottii sommessi di uno speaker con un marcato rotacismo, il che alimentò la tensione calata nell'abitacolo.
"Ciao anche a te, raggio di sole" cantilenò ironicamente la donna. "Sei di cattivo umore?"
La più piccola roteò gli occhi accompagnando il sordo click dell'aggancio. "No" mugugnò, schiacciandosi poi contro il sedile. Non la guardava. "Perché?"
"No?"
"Preferisci un sì come risposta?"
Anaïs sfarfallò le ciglia come per aiutarsi a carburare quanto sentito. "Hai il ciclo, per caso?"
"Che fiuto".
"Ma sarebbe dovuto arrivarti la settimana scorsa... no, il sedici" osservò l'altra, sempre più perplessa. "Il tuo è regolare come un orologio svizzero".
"È stato un mese piuttosto... intenso" si limitò a risponderle Lóreley, omettendo la valanga di catastrofi che si erano susseguite una dietro l'altra. "Mi è arrivato giusto qualche ora fa".
Anaïs, perfetta come al solito nel suo bel completo grigio cenere, continuò a fissarla insistentemente, poco propensa a issare bandiera bianca. Il solco che le spaccava la fronte in due da ormai qualche minuto sembrava scavato nel marmo più duro.
Solo quando se la vide appiccicata alla guancia, intenta ad annusarla come soltanto un cane da tartufo potrebbe fare, Lóreley si voltò meccanicamente verso di lei alla stessa maniera di un automa che ha appreso d'esser vivo. Non seppe se urlarle contro l'ennesimo sei una sociopatica del cazzo oppure...
"Si può sapere che stai facendo?"
"Puzzi di sigaretta" e non soddisfatta le acciuffò pure una ciocca di capelli, schiacciandosela sotto le narici. "Sì, è proprio puzza di fumo" affermò Anaïs, gli occhi ridotti in due microscopiche fessure. Forse fu colpa di un fulmine vicino, ma il brillio che le accese le iridi tagliate a metà aveva un che di spaventoso.
Stavolta fu Lór a sollevare di riflesso le sopracciglia. "Mamma, non montarti la testa: non fumo".
"No?"
"No, diavolo, ma che ti salta in mente? Le sigarette costano" disse l'imputata cercando di dosare nello stesso istante il respiro, le giuste parole e il panico che l'aveva assalita. "Non sono così idiota, li conosco i trucchi del mestiere".
Con calma glaciale, l'avvenente matriarca degli Østergaard si ritirò a sedere con un gesto mellifluo, senza però smettere di trucidarla con gli occhi.
"Quest'università, per te, non mi piace per niente" le sussurrò con tono che non ammetteva repliche e girando la chiave nel cruscotto siglò lì quello che, a tutti gli effetti, era suonato come un ultimatum di guerra.
Non poteva darle torto e nemmeno incolpare il lunapark ormonale che aveva aperto i battenti nel suo corpo, sarebbe stata una stronzata bella e buona. Ma dagli eventi della notte precedente le uniche certezze avute fino a quel momento si erano sciolte come neve al sole, complici della disgrazia una prima sbornia finita male e l'apparizione mistica di Testa di cervo. Questo, manco a dirlo, l'aveva tesa come la corda di un violino. Rotto.
Su una cosa, però, non avrebbe potuto replicare a priori: era vero, la Fær Øer non faceva al caso suo. Croce sul cuore e pace all'anima sua. Tutto ciò che accompagnava, minacciava e stravolgeva la sua routine all'interno di quelle mura non faceva per lei, perché quello non era il suo posto nel mondo. Ostentava una normalità inconsistente quando di normale e soprattutto di reale, durante il quotidiano, aveva solo la pausa pranzo e i plumcake da trecentoventiquattro calorie. Il resto era da buttare e incenerire, se possibile.
Allora, sforzandosi fino all'inverosimile, cercò di non farlo pesare alla donna che finalmente si stava lasciando alle spalle il terrore di essere un pessimo esempio da seguire: Lóreley si era abbandonata alle torture dell'estetista a base di cera bollente e non soddisfatta aveva anche fronteggiato, con falso orgoglio, la sua immagine da perdente quando la parrucchiera aveva brutalmente sforbiciato le sue temibili doppie-punte.
Il colpo di grazia, lo stesso che era stato capace di farle vacillare nuovamente la sanità mentale, lo aveva però subìto nei camerini del Wool Gallery. La prima mezz'ora fatta di no, troppo scollato e questo t'ingrossa i fianchi le aveva sventolato in faccia l'ovvietà più scontata di tutte... accettare Bo', accettare la sua dote, accettare di poter sentire la morte come se fosse viva erano zucchero se comparati all'eterna insoddisfazione che aveva di se stessa.
Adesso rinchiusa in una gabbia dorata e con un mostruoso specchio a parete a troneggiare sulla sua figura, Lór si osservò come mai aveva fatto prima. E si sentì piccola, minuscola, insignificante, anche coi capelli sistemati a dovere e con addosso la sgradevole sensazione di unto in posti dove pensava fosse impossibile esserlo.
Si abbottonò e si sbottonò il colletto della camicia svariate volte, di un grazioso rosa perla, e s'aggiustò la gonna avvitata da una cintura piena di bigiotteria glitterata. Deglutì.
Da quant'è che... mi odio così tanto?
La testa di Anaïs fece capolino fra il velluto nero e la parete di compensato. Aveva già steso il braccio all'interno del camerino, porgendole un vestito lilla col copri spalle coordinato.
"Oh" esclamò invece, svelando una fila di denti bianchissimi. "Oh-oh! Ma sei uno schianto!"
Lór cercò di emulare quel gesto così spontaneo, fallendo miseramente al primo tentativo. "Magari, se cambiassimo la cintura..." e tossì.
"E va bene, accordato. Te ne troverò una meno appariscente. Però questo completo ti sta benissimo! E so già che scarpe abbinare alla camicia!" esultò Anaïs senza smettere di sorridere. "Ora cambiati, il tuo periodo di reclusione finisce qui. Sei stata brava, agli ultimi ritocchi ci penso io".
Lóreley si trovò a vagare senza meta e come un'anima in pena. Di tanto in tanto sfogliava con palese disinteresse qualche manciata di abiti in saldo, e così a ripetersi per il successivo quarto d'ora.
Mentre si rigirava tra le dita il cartellino di una felpa che aveva fatto breccia nel suo cuore, un cigolio regolare, a tratti snervante, la costrinse a sollevare la testa. Proveniva dalla corsia opposta alla sua.
In linea d'aria e distante da lei meno di quanto avesse voluto, si fermò una donna in sedia a rotelle. Di seguito e ordinatamente, due tipi smilzi e sghignazzanti si lanciavano frecciatine a non finire, agitando vivacemente il paio di console in loro possesso.
Tre teste bionde a cui se ne aggiunse una quarta. Una quarta che, suo malgrado, conosceva fin troppo bene per i suoi modi di fare un tantino... esagerati.
"Dóróthea!"
"Anaïs?" fece eco la sconosciuta, sporgendosi un pochino. E in un batter d'occhio si realizzò l'irrealizzabile, il tutto scandito dal ticchettare euforico di una corsa, la corsa a perdifiato di sua madre.
Lóreley rotolò gli occhi nell'esatto momento in cui le rispettabilissime donne si scambiarono un abbraccio che aveva del tenero, felici come bambine nel giorno di Natale.
Avrebbe voluto gioirne, sua madre era un po' complicata coi rapporti alla base della convivenza umana, ma la felicità non arrivò mai, calciata via da un improvviso attacco di nausea.
E Johanna, ora fossilizzata dietro i due giganti biondi, si ritrovò a reprimere lo stesso disgusto.
✖ Nel prossimo capitolo, "Buon sangue non mente":
Quando fu abbastanza vicina Anaïs le cinse le spalle con un braccio e le diede due schicchere giocose sulla guancia – tipico comportamento da mamma orgogliosa: la matriarca stava mostrando la mercanzia.
Che mercanzia di merda, Anaïs.
"Non te l'ho mai presentata, lei è mia figlia Lóreley" annunciò la donna, sollevando il mento e sprizzando orgoglio da tutti i pori. Lór azzardò un sorriso timido per enfatizzare quella patetica presentazione, tuttavia la smorfia che le increspò la faccia ebbe il potere di zittire i due giganti-gemelli. "È entrata giusto quest'anno alla Fær Øer"
✖
Sì, sono un po' infame perché continuo a buttare benzina sul fuoco (e a interrompere i capitoli sul più bello...). Ma non scherzo affatto quando dico di voler complicare (volutamente) la vita ai miei pg :3 E poi, nel prossimo capitolo, riuscirò finalmente a presentare i due "giganti biondi", fiore all'occhiello che mi trascino dietro da anni u.u
Al prossimo aggiornamento!
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