14. Fare parte di qualcosa
Uno-due-tre-quattro, stop. Uno-due-tre-quattro, stop. Bergljót marciava a piedi scalzi dall'incirca un quarto d'ora e percorrendo al centimetro la distanza che divideva la sua scrivania dall'armadio sfatto di Lór rifletteva in silenzio. Si fermava, puntava i talloni sul tappeto che implorava di essere ficcato in lavatrice, storceva gli occhi al soffitto –come se fosse stata colta da una geniale illuminazione, che di geniale non aveva proprio niente– e assorta dalle sue mille e una ipotesi tornava sui suoi passi alla ricerca di risposte. Risposte che Lóreley doveva a se stessa, a Ían e, seppur in minima parte, anche al pupillo della famiglia Elías, il simpaticone del senza offesa, eh.
Mentre Lór mandava giù il terzo antidolorifico della giornata con la stessa facilità con cui si mangiano le caramelle gommose, Ber inveì con un eureka! tanto brusco da farla sobbalzare di paura. Inutile dire che la pasticca le si incagliò in gola assieme a un insulto.
"Uops, scusa".
Lóreley, tra un colpo di tosse e l'altro, la mortificò con un'occhiataccia. "T-tranquilla" annaspò, senza fiato. "Sto sol-o per morire affogat-a, ti pare".
"Pensavo di esserci, insomma, di esserci a tanto così, ma..."
"Ma?"
"Niente. Cacchio, sei strana forte. Non credo di aver mai sentito parlare di una dote simile".
Dote, dote, dote. Cavolo, ora ci si metteva pure lei a sottolineare che quel contatto in direttissima con la morte fosse in realtà una dote, un talento nascosto e prezioso per il genere umano, una qualità masochista del suo essere. E pensò: invece di finire a letto insieme durante un'ispezione all'Hekla, i suoi se la sarebbero pure potuta concedere una bella passeggiata per schiarirsi le idee; un gelato, una chiacchierata con l'equipe, o magari un goccetto ognuno per i fatti propri. E invece no. Ci s'erano impegnati, l'avevano desiderata nel modo più sbagliato e ingenuo possibile, e avevano infine dato vita a una sfigata perseguitata dalle epistassi croniche, dalla iella e, a quanto pareva, dall'occulto.
Intanto che si castigava su questo, Ber la richiamò a sé con uno schiocco delle dita. "Ricordi quando abbiamo litigato su Johanna?" le domandò, sedendosi a terra.
"Noi litighiamo sempre, Ber".
"Penso sia un tratto peculiare della nostra amicizia, il che mi piace. Cioè, non mi piace litigare, sia chiaro, è che abbiamo entrambe un carattere di merda. Di orgoglio, poi, non ne parliamo".
"Concordo" sospirò Lóreley. "Sì, comunque, lo ricordo. Lo hai trovato quel sacchetto?"
"Umh, sì, ma non è questo il punto. Ti ho chiesto se sei stata battezzata e tu hai negato. Però voglio domandartelo di nuovo, così, per scrupolo: lo sei o non lo sei?"
Lór negò con la testa. Lentamente e in maniera sospettosa, oscillandola da sinistra a destra, gli occhi azzurri ridotti a due spiragli. "No".
"... Sicura?"
"Ancora che insisti. Ti ho detto che non lo sono".
"Nemmeno..." Bergljót, la creatrice di suspense per eccellenza, s'incrociò le braccia sotto il seno e calibrò il tono della voce: in un sussurro, le chiese quanto non avrebbe mai dovuto avere una conferma. "... Nemmeno alla Cerchia?"
Silenzio provvisorio. Lóreley raddrizzò la schiena dolorante e una fitta al fianco le smorzò il respiro. Quando fu tornata composta tra le lenzuola di quel letto che tutto d'un tratto le era sembrato rigido come una tavola di legno, spalancò la bocca tante di quelle volte che Ber ci non sperò più in una risposta plausibile, o quantomeno veritiera.
Il labbro inferiore continuò a tremarle frattanto che una risatina incredula le varcava la bocca. "Che diavolo dici, Ber? Ma di che stai parlando?"
Gli occhi dell'altra guizzarono di lato, in direzione della parete imbrattata di foglietti colorati. "Sto parlando della Cerchia" ribadì, in un sibilo, adesso seria. "Dovresti saperlo".
"Io" Lór respirò profondamente per placare il panico che, come un'onda, le sbatteva e moriva nel petto a intervalli regolari. "Io non so davvero di cosa tu stia parlando. Dimmi che è uno scherzo, dai, facciamola finita e non iniziamo a litigare come facciamo di solito. Mi stai prendendo in giro e sappi che non è divert-..."
"Johanna ti ha maledetta non una, ma ben due volte" intervenne Ber, la voce affilata come la lama di un coltello. "In luna piena, il ventisei settembre, e in luna nuova, il ventinove" puntualizzò. "Fattura penalizzante, per la precisione, ed è possibile solo tramite l'utilizzo di capelli, difatti ne ho trovati due, di sacchetti. In teoria dovresti essere già bella che allettata da alcuni giorni, se non settimane, eppure tu cammini ancora. Neanche io sono in grado di contrastare una maledizione simile, figuriamoci due... come hai fatto a svignartela? Cos'hai praticato?"
Lóreley s'alzò di scatto, ignorando il capogiro che le annodò le tempie. "Johannamihafattocosa?" boccheggiò, indietreggiando un poco. Un altro paio di passi e la mano sana tastò il bordo della finestra ermeticamente sigillata alle sue spalle – prima via di fuga scartata. "Tu hai qualche problema, voi tutti ce lo avete. Non siete normali, oh, eccome..."
Ber la indicò con fare accusatorio. "Se non sei protestante, allora che cazzo sei?"
"E cosa vuoi che ne sappia che cosa diavolo sono!" sbottò l'altra, terrorizzata.
"Smettila di sparare cazzate, biondina, quel tipo di fattura non attecchisce solo se..."
"Ma chi se ne frega! Voglio delle spiegazioni, e subito anche!"
"Adesso pretendi pure? Come faccio a fidarmi di te se non sono sicura di quello che sei? Guarda che tira brutta aria in giro, eh!"
Lóreley gridò tanto forte da sentire le corde vocali dolere. "Ma che – nel frattempo stiamo litigando ancora per colpa tua!"
"Colpa mia?"
"Sì, colpa tua! Perché mi accusi di essere qualcosa che –Cristo, oh, oh– non esiste né in cielo né in terra! Da quando avete cominciato a fare i vaghi su quel che è successo ad Edith è crollato tutto, tutto quanto, e detto onestamente non credo di volerci entrare più nei vostri deliri magici e da occultisti, perché siete pazzi e su questo non ci piove. Ma andate a farvi fottere voi, questa Cerchia, Johanna e le fatture... che cavolo!"
Le nocche di Ber, divenute bianche per il troppo stringere, si rilassarono. Il sangue tornò a fluire sulla faccia, acquerellandole le guance di rosso, e quella ciocca castana che le era sfuggita dalla coda nel momento in cui si era rimessa in piedi adesso ondeggiava mogia, accompagnata da un respiro calmo.
Entrambe si fissarono a lungo, circondate da una quiete post-litigio, tipica di ogni loro battibecco.
Bergljót si massaggiò la fronte imperlata di sudore con una mano: l'indifferenza che l'aveva assalita non c'era più. "Mi giuri – giuramelo, giuramelo. Giurami che... che non hai niente a che vedere con la Cerchia".
"Ber, sul serio-"
"Voglio sentirtelo dire" Bergljót si mosse cauta, avanzando verso di lei, le budella che le si contorcevano nel corpo assieme al respiro. "Dillo".
Ancora quell'inquietante lampo negli occhi. Un brillio bianco nel centro delle pupille scure di Ber, veloce come una saetta a ciel sereno, accompagnato da un ordine biascicato che tutto sembrava alle sue orecchie tranne che un obbligo. Lóreley ricordò dell'agente Ögrisson e della confusione che di punto in bianco lo aveva assalito durante il rilascio delle dichiarazioni. Di quando Ber lo aveva costretto a levare le tende perché l'insistenza non la sopporto proprio, e stringendogli il polso lo aveva stregato con un'occhiata solamente.
In che razza di situazione era finita? In un episodio crossover di Streghe?
"Te lo giuro, non so davvero di cosa tu stia parlando" Lór sollevò le mani in segno di resa. "E smettila di guardarmi così, sei un tantino inquietante, cazzo".
Ber sbatté le palpebre e si fermò. "Scusa, scusa. Stavo testando".
"Mi verrebbe da chiederti cosa, di preciso..."
"Cercavo di controllarti".
"Controllarmi?"
"O meglio" Bergljót si grattò il collo, imbarazzata. "Di manipolarti".
Lóreley emise un suono a metà tra un grugnito e un lamento. Sì, ora stava letteralmente dando i numeri. "Manipolarmi. Tu hai cercato di manipolarmi" mugugnò, inarcando un sopracciglio.
"Beh... sì. Non ci sono riuscita, però. Cioè, è strano. Di solito prende subito... nel senso" Ber strizzò gli occhi. "Nel senso che prende e basta, è facile. Oddio, teoricamente non potrei farlo sempre, sai, ho tipo... un codice da rispettare. O meglio, abbiamo" –colpo di tosse– "Abbiamo delle regole da seguire al di fuori, altrimenti non sarebbe corretto. Potrei laurearmi subito, ad esempio, oppure non pagare quando vado a cena fuori e so che questo può essere moralmente ed eticamente scorretto e... Dio, ho fatto una stronzata".
"... Quindi tu manipoli le persone".
"So fare tantissime altre cose, non solo questo, eh! Cose buone, intendo. In teoria. In pratica, ecco... è complicato".
Lór annuì debolmente. "Ah... okay" mormorò, senza arrestare il ciondolare della testa. "Okay. Pare figo. Tu manipoli le persone e io predico, forte".
"Già".
"Già, decisamente figo".
Bergljót non lasciò spazio e tempo al silenzio che minacciò di crollare nuovamente su entrambe: ne aveva abbastanza pure lei. "Penso che sia il mio turno di vuotare il sacco" suggerì.
"Però stavolta me la lasci finire la cioccolata calda" disse Lór. "... E mi fai vedere come riesci a non pagarla".
✖ Nel prossimo capitolo, "Ragazzate":
Lór sollevò gli occhi mentre con le unghie passava e ripassava un'incisione sul legno. A+B=sempre insieme. "Questa Cerchia è un po' strana".
"Selettiva, direi. E rompipalle".
"Domanda un po' stupida: non puoi tirartene fuori?"
"Risposta scontatissima: no".
"È la tua vita" osservò Lóreley.
"Sarai felice di sapere che a loro non interessa un cazzo di questo. Ci sono nata, lì dentro. E a quanto pare ci morirò pure".
"Ma, nel senso" Lór masticò una boccata d'aria e silenzio. "È tipo un qualcosa di... genetico? Ereditario?"
"Credo. O meglio, molto probabilmente è così" disse Ber.
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