Capitolo XII: Interruttore - Dith
«Mi spieghi cosa credevi di fare, poco fa?» chiede Aunius ancora sconvolto per le parole che Dith ha pronunciato poco prima. Il ragazzino, nel frattempo, cerca di mangiare l'insieme di focaccia sbriciolata e radici che ha di fronte a sé senza poter usare le mani, aiutandosi con le gambe e poggiando la testa direttamente nella ciotola.
«Non lo so. Ho detto quello che pensavo, fine»
'Grazie anche al mio aiuto'.
'Tu non centri nulla. E smettila di intervenire, mi farai impazzire'.
'Infatti, era tutta farina del tuo sacco. Ma io ti ho dato una mano affinché riuscissi a rimuovere i freni inibitori' si gongola la voce.
«Cos'è che pensi? Ti vedo strana. Riflettendoci, non c'è stato un momento in cui mi sei sembrata tranquilla, in questi pochi giorni».
«Sto bene, davvero».
«Non insisto, ma di me puoi fidarti, capito?»
Dith annuisce, sforzandosi di non cedere al raccontare cosa sta succedendo nella sua testa.
«Allora, che ne diresti di raccontarmi qualcosa di tutti questi anni trascorsi qui?»
«Sei sicuro?»
«Certo. Qualche aneddoto, quello che ti pare. Qualcosa che ti è rimasto particolarmente impresso».
La giovane ci pensa su, ripercorrendo ben dieci anni passati rinchiusa in un buco. Ricorda di quella volta in cui un forte temporale aveva provocato l'allagamento della sua cella, e di quanto alta era la febbre che le era salita per aver tenuto capelli e vestiti bagnati per molti giorni. O di quando le avevano portato del cibo - se ne ricorda perché lo stomaco le brontola insistentemente - e nella ciotola ci aveva trovato un animale non identificato, morto e in putrefazione. Nessun buon racconto utile per intrattenere.
Aunius sembra attendere in paziente, dando il tempo a Dith di scavare nei suoi ricordi. E finalmente, qualcosa da raccontare la trova.
«Ricordo di un vecchio che stava lì, al tuo posto. Si chiamava Donbus. Era molto gentile con me, sai. Per questo è l'unico mio vicino di cella che ho il piacere di ricordare». Dith fa una pausa, emozionata nel ricordare quell'uomo anziano che era stato così dolce con lei, anche se per poco tempo. «È rimasto qui per un anno, più o meno. Io avevo dieci anni quando arrivò e, sai, mi ero sentita sola per i primi quattro anni. È stato grazie a lui che ho cominciato a capire cosa significa avere qualcuno che ti ascolta, qualcuno che ci tiene a te. Ho capito cos'è la sincerità». E infatti, in un posto come questo, non è difficile creare dei legami. «Oserei dire che Donbus è la persona più vicina a un familiare che io riesca a ricordare».
«Deve essere stato difficile per te, quando se n'è andato».
«Moltissimo. Mi ha insegnato molti termini, parole di cui oggi non saprei nemmeno l'esistenza, se non fosse stato per lui. Era un insegnante, a Gelaria. Insegnava artifisiano e anche qualcosa di noviano, la vecchia lingua - anche se è proibito, mi diceva».
«Già, non è possibile insegnarla nelle scuole. Era molto coraggioso a farlo»
«Sì, ed è per questo che è stato rinchiuso» un sorriso nostalgico compare sul volto della giovane. «Ricordo la prima volta che mi vide. Mi guardò e, stupito, mi chiese se mi ero accorta che il mio corpo era quasi interamente ricoperto di segni scuri indecifrabili. Io non sapevo cosa fossero, tutt'ora non ne ho la minima idea. E lui, per far sì che io mi considerassi normale, mi disse che erano dei disegni magici; questi mi avrebbero concesso di sognare realtà parallele e universi leggendari, conferendomi dei poteri straordinari. Ero felicissima di questo, mi sentii speciale per la prima volta». Una lacrima scorre sulla candida guancia di Dith, cadendole sulle mani tatuate. «È a lui che ho pensato prima, quando quel bifolco mi ha chiamata in quel modo orribile. Non fraintendermi, non mi sono offesa. Mi sono ricordata di lui semplicemente perché vorrei che ci fossero più persone così al mondo. Persone che amano il prossimo, senza badare al colore della pelle, alle origini o alle razze, a cosa hanno disegnato sulla propria pelle. Siamo tutti figli di questo Continente, di Prima Nova, me l'ha insegnato lui».
«Non si sbagliava affatto, è proprio così. Purtroppo le persone che governano attualmente non sono dello stesso parere». Aunius sospira, afflitto.
«Alla fine, purtroppo, è venuto a mancare. È stato male per qualche giorno prima di esalare l'ultimo respiro».
«Mi dispiace molto».
«Sì, anche a me. Però sono contenta che ci sia qualcun altro disposto ad ascoltarmi» confessa Dith.
«Sono contento anch'io. Direi che ci siamo salvati a vicenda».
'Che carini' si intromette nuovamente quella.
«Aunius, c'è un'altra cosa di cui ti dovrei parlare»
«Certo, dimmi tutto. Non avere timore»
Dopo alcuni rapidi respiri, Dith vuota il sacco con voce tremante: «Ho paura di essere pazza».
'No che non lo sei, sciocca'.
«C'è una voce nella mia testa. Non è molto nitida, però mi parla. È dall'altra notte che dialoghiamo, qui dentro» dice, toccando un paio di volte il suo cranio col dito. «È in più, è da settimane che sogno cose stranissime, senza alcuna spiegazione. Un bosco, fiamme, una spada, spilli che si conficcano nella mia pelle. E se c'entrassero questi tatuaggi? Non lo so, credo che la verità che si cela in questi disegni sia opposta a quella che Donbus mi volle far credere da bambina. Sto impazzendo, non riesco a...»
«Ehi!» la interrompe Aunius. «Calmati, Dith. Forse sei solo stanca, può capitare. Parlarne con me può solo aiutarti a liberarti. Non dar retta a nessuna voce che ti parla, fa finta che non esista. Io e te esistiamo, qui e adesso, in questo posto orrendo».
Dith gli sorride, continuando a respirare profondamente, nel tentativo di mantenere la calma.
«Spero tu abbia ragione».
«Certo che ce l'ho!» Poi avanza verso le grate, attento a non rovesciare il triste pasto sul pavimento, appoggiando la ciotola delicatamente a terra e spostandola verso Dith. «Riesci ad afferrarla? Non puoi non mangiare nulla. E scusami, ci ho mangiato letteralmente dentro».
Lo stomaco di Dith continua a brontolare, avrebbe proprio bisogno di mangiare qualcosa.
«Sei sicuro?»
«Avanti, allungati».
Dith tende le braccia rinsecchite verso la cella di Aunius, riuscendo con le unghie a trascinare la ciotola verso di sé e a far in modo da metterla di traverso, per farla passare attraverso le sbarre; per fortuna, il contenuto è talmente appiccicoso dal rimanere ben attaccato al fondo della ciotola. Grazie all'aiuto di Aunius che spinge la ciotola coi suoi piedi, Dith riesce a mangiare.
«È davvero disgustoso, oggi» gli dice in tutta sincerità.
«Lo so, ma l'alternativa è morire di fame. Il che non sarebbe nemmeno troppo male».
I due scoppiano a ridere, continuando a scambiarsi sguardi di complicità e affetto.
«Grazie».
«Figurati, mangiala tutta».
«Non per questo. Grazie per trattarmi come se ne valessi la pena».
***
Il solito bosco, il solito incendio. La spada che sfreccia spedita, l'onda di luce che si espande, il calore, il gelo. Gli spilli le si conficcano nella carne. L'oscurità che infine la cinge, la trascina con sé.
Dith apre gli occhi: buio. Le celle sono quasi indistinguibili nell'oscurità, le torce sono spente.
«Aunius? Sei sveglio?»
Ma nessuno risponde. Dith non riesce ad udire un singolo respiro. È completamente sola.
'Ma che cosa sta succedendo?'
Degli strani suoni attirano l'attenzione verso il corridoio: dei passi. Chiunque si stia avvicinando, trascina i piedi lungo il pavimento, lentamente. La paura cresce dentro Dith, ma il coraggio che ella ha dentro sé la spinge ad affrontare qualunque minaccia si stesse approcciando a lei.
«Chi c'è? Mostrati!»
Con un balzo, una creatura mostruosa si aggrappa alle grate della cella. Dith grida e indietreggia. L'essere è umanoide, ha degli artigli affilati, pelo nero e due paia di zanne scintillanti nel buio che gli spuntano fuori da un muso molto simile ad un volto, ma orrendo. Gli occhi sono rossi, e un paio di corna lunghe gli spuntano dalla testa. La creatura continua a dimenarsi impazzita, cercando di accedere alla cella e di arrivare a Dith.
«Che cosa vuoi da me?! Chi sei?!»
La creatura si calma, mollando la presa e abbassando il capo. Il suo viso comincia a mutare, i suoi tratti cominciano a cambiare e ad assumere una connotazione più vicina alla norma. Il volto della belva comincia ad assumere una forma molto familiare a Dith...
«Sono te».
...è il suo viso.
***
«Noo!» Dith strilla nel bel mezzo della notte, in preda al panico.
«Dith! Che succede?!»
«Aunius! Ma allora...»
Il forte rumore della porta che sbatte verso la parete fa sobbalzare i due. Kraino avanza rapido verso Dith, con una torcia in mano e un altro paio di guardie al suo seguito.
«Ciao, strega. Felice di rivedermi?» Con un gesto della mano, Kraino dà il via libera ai due sottoposti, impartendo chissà quale ordine. I due, si avvicinano verso la cella di Aunius, aprendola.
«Che cosa fate?!» domanda lui scioccato.
Kraino entra nella cella, afferra Aunius per i capelli e lo sbatte violentemente a terra. Subito dopo gli assesta un calcio dritto nello stomaco, con i suoi scarponi doppi.
«Fermo! Smettila subito!» gli urla contro Dith.
«Così la prossima volta ci penserai due volte prima di alzare la cresta con me» le risponde, assestandogli un secondo calcio. Aunius comincia a tossire e a sputare sangue.
«Aunius... mi dispiace, io... non volevo!» Dith è in lacrime, inginocchiata sulla gelida pietra e aggrappata alle grate che la sostengono.
«Portatelo via» ordina Kraino alle altre guardie. «Spero che adesso tu abbia capito chi comanda. E no, non sei tu» le dice, sputandole addosso.
«Dith...» Aunius cerca di parlare, di dirle qualcosa, forse di dirle addio.
«Aunius, no! Ti prego, fermati!» Dith si alza i piedi e comincia ad agitarsi violentemente contro le grate, tentando in qualche modo di piegarle per poter uscire e salvarlo.
Ma è troppo tardi. I tre energumeni escono, trascinando il corpo inerme di Aunius fuori dal corridoio.
«Aunius! No!» Dith piange e urla disperatamente, sbattendo le grate arrugginite sperando che prima o poi cedano.
'Non c'è niente che possiamo fare, per ora'.
«Che?! No, per favore, basta. Basta!»
'Eh?' Per un attimo, a Dith pare di aver visto qualcosa di assurdo. Si asciuga le lacrime e si accovaccia a terra, priva di forze. Comincia a controllarsi le mani e i polsi, alla ricerca di qualcosa.
'Dith, io... comincio a ricordare'. La voce è molto più limpida: è una donna.
«Che? No, aspetta. Non può essere possibile ciò che ho appena visto. Io... Aunius...»
'Dith, non te lo sei immaginato'.
«I miei tatuaggi. Si sono... mossi. È come se...»
'... si fossero separati dalla tua pelle? Sì. Hanno preso vita, per un attimo. Credo che sia stata la tua rabbia, Dith. È stata l'interruttore che ha permesso che ciò accadesse, e che ha permesso che io ricordassi'.
«Posso sapere chi sei?» Dith, da un momento all'altro, ha iniziato a conversare con la voce nella sua testa, 'sta volta cercando il suo aiuto. È persa, sconvolta, sola. Senza Aunius, cosa farà? È possibile che questa voce è l'unica compagnia che le resta?
'Io sono Tililah. E i tuoi tatuaggi, altro non sono che la mia essenza. Sono io, ciò che hai impresso sulla tua pelle'.
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