Capitolo VI: Voci - Dith
Il ragazzino è anch'egli incatenato alla parete, oltre al particolare congegno metallico che gli intrappola le mani, fino ai polsi.
Incuriosita da questo particolare sistema di incarcerazione, non può fare a meno di chiedergli: «Perché hai le mani bloccate in quel modo?»
Nell'udire le parole della ragazza, il giovanotto si gira verso di lei, rivolgendole uno sguardo ricolmo di gioia.
«Apparentemente sono pericoloso» le risponde lui con un risolino.
«Devi aver ucciso parecchie persone, allora» lo provoca lei, con tono palesemente ironico.
«Affatto. Sono stato fatto prigioniero per ben altro motivo».
Dith continua a fissare il pavimento, mantenendo un atteggiamento da dura; in realtà, la curiosità la divora.
«Sei solo un ragazzino, chissà quali nobili deve aver fatto indispettire tuo padre» gli dice, continuando a schernirlo.
«Mi hanno bloccato le mani in modo che io non possa aprire la serratura, molto semplice. E allora sì che potrei uccidere qualcuno di questi rozzi trogloditi chiamati 'guardie'» il tono del giovane si fa più duro e cupo.
Al che, Dith alza lo sguardo e incrocia il suo: i due cominciano a ridere, senza alcun motivo.
«Silenzio, mocciosi!» urla loro un prigioniero qualche cella più avanti.
«Sul serio, perché mai ti hanno conciato così?» le chiede di nuovo la giovane, sta volta abbassando la voce.
«Quindi davvero non mi credi? Perché pensi che abbiano usato il novartro, altrimenti?»
Dith corruga le sopracciglia confusa, aspettando che il suo vicino dia finalmente una spiegazione.
«D'accordo, mi sembra che tu sia seria. Vedi...» si interrompe, aspettando che la giovane rispondesse: «Dith».
«Io sono Aunius, piacere. Vedi, Dith, io sono un discendente di quelli che gli Uomini chiamano 'Primordiali'. Ho la colpa di essere nato coi loro geni, grazie ai quali posso accedere al Flusso. Ma suppongo che tu non sappia nemmeno cos'è quest'ultimo, mi sbaglio?»
«Credo che questo sia chiaro» risponde innervosita «ti decidi a continuare?»
«Che caratterino, perdono»
Aunius si avvicina alle grate, affacciandosi anch'egli sul corridoio controllando che nessuno stesse ascoltando - prigionieri o guardie. Alla flebile luce di una torcia appesa lì vicino, i capelli biondi del ragazzo sono appena visibili, così come i suoi occhi chiari.
«Perfetto, nessuno pare ascoltarci. Cercherò di semplificarti il concetto»
«Non sono mica stupida, Aunius» controbatte immediatamente Dith.
«Certo che no» ironizza lui. «Il Flusso è l'energia che alimenta il Continente. Esso è astratto, non visibile o tangibile da tutti, ma è presente in ognuno di noi».
Dith sgrana gli occhi guardando Aunius in modo confuso e incredulo.
«D'accordo, e quindi tu riesci ad accedere a questo 'Flusso'. E cosa saresti capace di fare?»
«Modificarne il decorso a mio piacimento e sfruttarlo come mi pare. Gli Umani chiamano questo potere 'Il Maleficio', ma è tutt'altro che qualcosa di malvagio. Posso far sì che il Flusso si concretizzi, spostando oggetti, aprendo serrature...».
«Ed ecco perché ti hanno messo quell'arnese attorno alle mani» Dith indica l'ammasso di metallo che blocca le mani di Aunius.
«Già, anche se le mani non sono totalmente essenziali per plasmare il Flusso. E poi, il novartro altro non è che il tessuto che irrora la terra, permettendo al Flusso di nutrire ogni essere vivente. Compresi gli Uomini e noi Non-Uomini».
Il ragazzo si ferma per qualche secondo, e sembra riflettere intensamente.
«Che hai?» chiede Dith «all'improvviso ti sei incupito».
«Pensavo solo che, ironia della sorte, hanno usato proprio il novartro per forgiare armi contro di noi. Sai, in realtà questa è una lega che contiene altri metalli, e chissà se contiene qualche maleficio degno di questo nome. O almeno così diceva sempre Arelion».
«Chi? Ti ricordo che io non ti conosco, né so di cosa stai parlando» lo ammonisce la giovane, alquanto seccata.
«Perdonami. Arelion è il leader del mio gruppo. Vivevamo nascosti in una casa ad Aladoro, qui in Pietraltura. Io sono stato fatto prigioniero, mentre alcuni sono stati...» la voce del ragazzo si rompe in un singhiozzo, ma riesce a trattenere le lacrime forse per mantenere un certo pudore.
«Siamo entrambi nella stessa situazione, per quanto mi riguarda. Puoi lasciarti andare» gli dice Dith, cercando di essere gentile.
«Grazie. Insomma, alcuni di loro non ce l'hanno fatta. Molti pare siano riusciti a fuggire verso il Bosco Arcano, ma non so se sia un bene o un male».
Aunius si zittisce, respirando profondamente e cercando di riprendersi, mentre la sua espressione pare molto preoccupata. Dith rimane in silenzio.
«Invece tu? Qual è la tua storia?» riprende il ragazzo «Come mai qui?»
La giovane si sente attraversare da una potente fitta al petto, lo stomaco le si contorce e gli occhi scuri le si riempiono di tristezza.
«Non c'è molto da raccontare» gli risponde elusiva.
«Avanti, non ci credo. Sembri una ragazza interessante, con tutti quei strani disegni sul corpo avrai di sicuro una storia da raccontare!»
Il tono di Aunius le trasmette sensazioni positive: era la prima volta in dieci anni che qualcuno le parlava in questo modo, come se gli importasse di lei. Per anni, i suoi vicini di cella erano stati donne o uomini scontrosi, addirittura era capitato che per lunghi periodi non aveva avuto alcun vicino.
«Sembra che io abbia ucciso i miei genitori all'età di sei anni. E i tatuaggi non ho idea di come faccia ad averli» gli riferisce tutto d'un fiato la ragazza.
Aunius sgrana gli occhi in un'espressione di sorpresa mista a sgomento che dura un attimo, lasciando spazio ad un volto che prova dispiacere e comprensione per la giovane che ha di fronte. È chiaro che non ha alcuna intenzione di ferire Dith, la ragazzina che ha appena conosciuto e l'unica con cui può avere un dialogo.
«Deve essere dura convivere con tutto questo» le dice.
«È dura perché non ho idea di chi io sia»
Per la prima volta dopo un decennio, Dith si sta aprendo con qualcuno. Dopotutto, ella non è affatto insensibile. La vita le ha però insegnato che non esiste altro se non solitudine e sofferenza, e che le persone attorno a lei non le rimarranno per sempre accanto.
«Non ricordo nulla di loro, di com'era vivere con loro, di com'ero io, del momento in cui li ho uccisi o del motivo per cui l'ho fatto» continua lei con voce tremante, lo sguardo fisso sul pavimento del corridoio.
«Perché mai una bambina di sei anni dovrebbe assassinare i propri genitori? Probabilmente sono una pazza furiosa, ecco perché sono qui. Non perché abbia le tue capacità tanto ricercate, semplicemente sono fuori di testa».
«Sssh!» Fa un prigioniero più in là.
Dith ha alzato un tantino la voce, presa da un'impeto di nervosismo. Non passa giorno speso in quel buco in cui ella non pensi a quanto si senta sola, a quanto si senta vuota, a quanto poco si conosca.
«Non mi sembri fuori di testa» la consola Aunius «Mi sembri solo una persona che ha sofferto e che continua a soffrire. D'accordo, sarai anche priva di queste 'capacità tanto ricercate' che pare io possegga, eppure stiamo entrambi soffrendo, entrambi nella stessa situazione, come mi hai detto tu stessa poco fa. Non siamo poi così diversi, non ti pare?»
Dith alza gli occhi e incontra quelli di Aunius. Le sue parole riescono a calmarla, la rincuorano.
«Non ricordi com'eri fuori di qui, giusto? Bene, a chi interessa? Tu sei e rimani Dith, continui a essere tu, qui e ora, insieme a me».
La ragazzina comincia a sentire un leggero calore sulle guance, un leggero brivido lungo la colonna e gli occhi le cominciano a brillare: sta imparando cosa significa fidarsi di qualcuno. Ma non è così semplice per lei lasciarsi andare in così poco tempo.
«Come fai a dire queste cose con così tanta facilità? È la prima volta che mi vedi»
«Lo so. Però credo che in questo momento possiamo contare solo l'uno sull'altra» le risponde con tono quasi rassegnato, accennando un sorriso. «Adesso è meglio se proviamo a riposare, che ne dici? Se hai bisogno, sai dove trovarmi!» ridacchia lui.
Dith annuisce, alzando lievemente gli angoli della bocca e tornando a stendersi sul mucchio di paglia.
'Non sono più sola, è possibile?' si chiede.
'Non lo sei mai stata' le risponde una voce.
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