Capitolo III: Il nuovo prigioniero - Dith
Fra gli elevati picchi innevati nel Dominio di Pietraltura, ce n'è uno su cui sorge un gigantesco forte di roccia nera: l'inespugnabile prigione di Teskulya.
Al principio, gli antenati degli attuali regnanti non riuscivano a decidere dove far sorgere la fortezza, visto che ognuno di loro aveva intenzione di controllarla direttamente; inoltre, non avrebbero mai potuto accettare che un altro Sovrano potesse avere questo grande privilegio.
Alla fine, dopo molti conflitti, fu scelta Pietraltura, proprio per l'altezza dei picchi che caratterizzano l'Est di Artifisia.
C'è da dire, però, che i Sovrani scesero ad un compromesso: tutti e quattro avevano un equivalente controllo sulla struttura, tramite proprie squadre di Paladini che svolgevano la mansione di guardie carcerarie, concordando che queste ultime indossassero una divisa neutra, che non ritraesse nessun simbolo di nessuna delle Dinastie. Il patto vale ancora oggi.
Teskulya è circondata da mura elevatissime, nello spessore delle quali ben dieci torri ancora più alte permettono a chi è di guardia di poter avere una visuale molto ampia; le mura corrono lungo tutto il perimetro del corpo della fortezza, un mastodontico ammasso di blocchi in pietra scura. Se non fosse per le minuscole finestre - centinaia su ognuna delle quattro facciate, divise su cinque piani - e per la debole luce che fuoriesce da ognuna di queste, la prigione sarebbe quasi invisibile in una notte buia come questa. Le piccole aperture sono una per ogni stretta cella. Al loro interno, vi sono persone, esseri, che hanno compiuto i più efferati crimini, andando contro i princìpi dei quattro Domini e di Artifisia.
In una delle celle al quinto e ultimo piano, vi dorme Dith - per quanto sia possibile in una stretta e lurida gabbia.
La sua nerissima capigliatura unta le copre il volto magro, fino a giungere sul gelido pavimento di pietra; il suo 'letto' è un ammasso di paglia, e il lenzuolo che copre le gambe rinsecchite è uno straccio lercio e fetido. Indossa un vestito marroncino, stracciato e pieno di macchie, fra vomito, sangue e urina.
Ha sedici anni, ma le tremende condizioni in cui si trova la fanno sembrare di qualche anno più vecchia.
La prima particolarità che colpisce chi la vede per la prima volta, è senza dubbio la moltitudine di tatuaggi che ricoprono quasi ogni centimetro del suo corpo. Lungo le dita, linee nere si incrociano, formando segni di significato apparentemente inesistente, continuando lungo gli avambracci e le braccia, terminando sulle spalle. Il collo, il petto, il dorso sono coperti da questi enigmatici simboli, i quali non lasciano scampo neanche agli arti inferiori e ai piedi. I più fantasiosi potrebbero pensare ad una criptica mappa o, più semplicemente, ad una ragazzina un po' sopra le righe.
Il volto è l'unica porzione di cute libera: la sua pelle è candida, liscia, senza alcuna imperfezione; le ossa aguzze sono ben evidenti, data l'eccessiva magrezza, ma nonostante ciò ella appare elegante.
D'un tratto, Dith comincia ad agitarsi nel sonno, in modo sempre più esagerato; comincia a farfugliare parole senza senso, fino a dimenare le braccia e le gambe nel vuoto. Poi, si sveglia in un bagno di sudore, alzandosi di scatto e ansimando, il sudore che le gocciola dal volto i cui muscoli sono contratti dallo spavento; gli occhi neri, sgranati, le lacrimano.
Sono ormai svariate le notti in cui la ragazzina ha degli incubi molto vividi. Per lo più sono immagini sconnesse quelle che vede: un bosco che va in fiamme, un'intensa coltre di fumo, una spada che viene lanciata nel fuoco e poi tanta luce.
Ma non è la luce a farla svegliare in quel modo brusco, bensì l'oscurità che subito dopo tenta di afferrarla, facendole mancare il respiro.
Dith si mette seduta sul cumulo di paglia, scosta il ciuffo di capelli umidi che le copre il viso e si tampona la fronte con lo straccio che dovrebbe usare come lenzuolo.
Ancora scossa dagli incubi, il rumore della porta di ferro in fondo al corridoio che si apre la fa sobbalzare e le fa venire la tachicardia. Una coppia di guardie sta trascinando un prigioniero; camminano senza fermarsi con le loro armature grigie e anonime verso Dith, che si trova proprio all'estremo opposto rispetto alla porta di entrata.
La ragazza, spaventata dalla rapidità nella camminata delle due, si rimette distesa sul fianco sinistro, dando le spalle al corridoio e al trio in avanzata.
Sente il cigolio della porta della cella lì vicino, poi un tonfo sul pavimento e nuovamente la porta mentre si chiude con uno stridio, per poi sbattere fragorosamente. Infine, un rumore di chiavi che chiudono la serratura e i passi delle guardie che si allontanano.
Dith alza leggermente la testa, volgendo lo sguardo verso la cella alla sinistra della sua. Un ragazzo, molto giovane, giace sul pavimento sporco e umido.
Impaurita e non sapendo come reagire, si rigira sul fianco e prova a dormire, scossa da forti brividi.
La stanchezza e la lunga solitudine l'hanno fatta diventare quasi indifferente a tutto ciò che le capita intorno, anche di fronte all'arrivo del suo nuovo vicino.
***
Il sole sorge lento, illuminando appena il corridoio ai lati del quale ci sono numerose altre celle con altrettanti prigionieri rinchiusi.
La tenue luce dell'alba illumina i lastroni neri che compongono le pareti e il pavimento dell'intera prigione. Le scure e fredde lastre sono ricoperte da muschio ibrido e poisonedera; dal soffitto, cadono incessantemente delle gocce d'acqua, le quali hanno ormai formato una pozzanghera fra le crepe nel pavimento, producendo un fastidiosissimo e continuo suono.
Dith ha dormito forse qualche ora, e per questo ha una forte emicrania, paragonabile ad una lama che le trapassa la testa. Prova a massaggiarsi dolcemente prima le tempie, passa poi agli occhi e infine alla fronte, ma non sembra migliorare.
La ragazza si solleva quel tanto che le permetta di poter guardare il suo riflesso nello specchio d'acqua torbida, giusto per non dimenticarsi del suo pallido e scavato volto stanco.
Volge poi il suo sguardo aldilà delle sbarre, osservando il cubicolo di fianco al suo, per scrutare il suo nuovo vicino. Egli è ancora lì, rannicchiato e inerme.
Dith riesce però a notare qualcosa di insolito: egli ha le mani bloccate da un marchingegno di un metallo giallo con sfumature verdognole, diverso da qualunque altro metallo che lei avesse mai visto nelle celle.
Per quanto desideri capirci qualcosa in più, il forte mal di testa le impedisce anche solo di riflettere.
Per questo, si mette sulla schiena e chiude gli occhi, sta volta riuscendo ad addormentarsi più a lungo.
***
Un incendio in un bosco, fumo ovunque - o forse è nebbia?! - una spada brillante vola dritta nel fuoco, scintille si disperdono nel buio.
Una luce accecante circonda Dith. La giovane si sente avvolta da un caldo abbraccio, si sente al sicuro.
E tutto d'un tratto, il nulla. Improvvisamente sente la sua pelle punta da spilli, non riesce a capire se siano roventi o congelati.
Poi l'oscurità la circonda e la stringe, come in una morsa.
Dith grida, chiede aiuto a chiunque possa sentirla, ma nessuno può farlo.
Sente che il buio la attanaglia con forza sempre maggiore, mentre questa energia nera le entra in gola, zittendola e opprimendola.
La ragazza si desta dal sonno, terrorizzata come sempre, il fiato che le manca. È di nuovo notte fonda.
«Ehi, va tutto bene?» le chiede il giovane rinchiuso nella cella di fianco alla sua.
Dith aspetta qualche secondo per riprendere fiato, prima di rispondergli: «Sì, perché non dovrebbe?» in maniera scontrosa.
«Sembra tu abbia avuto degli incubi tremendi. Mi sono preoccupato».
«Pensa a preoccuparti dei tuoi, di incubi» continua lei infastidita.
«Come vuoi» conclude il ragazzo, visibilmente deluso dalle risposte della ragazza.
Nonostante tutto questo tempo trascorso da sola, ella pare non avere la minima voglia di contatto umano, e probabilmente non ha più idea di come si faccia a conversare.
Era solo una bambina quando fu rinchiusa a Teskulya, per un crimine che non ricordava nemmeno di aver commesso: l'omicidio dei suoi genitori. Spesso ci sono anche loro nei suoi incubi, manifestandosi come sagome senza volto che gridano il suo nome, implorandola di risparmiarli e di non ammazzarli con quella vecchia lama.
Dith si alza dal suo pseudo letto per sgranchirsi le gambe, quando un rumore metallico le ricorda che una catena arrugginita la tiene ancorata a un angolo del cubicolo, stringendole la caviglia destra.
Avendo realizzato che non ha molto altro da fare nello spazio soffocante in cui passa ogni secondo della sua vita, si avvicina alle grate della sua cella e vi si poggia, affacciandosi sul corridoio buio.
Il suo sguardo volge a sinistra, verso la cella del del misterioso nuovo prigioniero e, con ogni probabilità, nuovo amico.
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